La libertà di giocare a ciò che mi pare – L'Opinione

Facce da TGM – L’Opinione è lo spazio dedicato alle “columns” di The Games Machine: articoli e visioni su argomenti caldi o fortemente dibattuti che animano le discussioni, anche molto dure, all’interno della redazione di TGM, talvolta con posizioni – davvero o solo in apparenza – antitetiche. L’obiettivo è dar voce ai nostri redattori come specchio del quadro complesso e articolato, talvolta persino controverso, che circonda il mondo dei videogiochi, all’interno di confini dettati da etica e buon gusto ma senza depotenziare il messaggio e, così, la ricerca di confronto su temi sensibili e delicati. Buona lettura!

La libertà di giocare a ciò che mi pare? Ve lo racconto: in uno strano universo alternativo, Celeste è uscito per Commodore 64 nel 1986. Allungo settemila lire all’edicolante, e compro la compilation su cassetta Giochi Molto Piratati 7. Torno a casa, ne carico distrattamente tre o quattro trovandoli poco interessanti. Poi ne arriva uno chiamato Montagna Molto Alta, ma si sarebbe potuto chiamare anche Scalata Folle, o semplicemente Maria, tanto bizzarri erano i nomi che assegnavano i pirati.

C’è questo omino che deve saltare come un matto per arrivare in cima a una montagna, e se cade giù deve ricominciare quasi daccapo. Bello. Passo al prossimo, promettendo a me stesso che di tanto in tanto tornerò a farmi una partitella. Spengo il Biscottone, esco. Finisce lì.

VOLEVO SCALARE UNA MONTAGNA, È ARRIVATA UNA VALANGA DI BOTTE: ALTRO CHE ESSERE LIBERO

In un altro universo parallelo, gioco a Celeste così come lo conosciamo, acquistandolo da Steam. Mi diverte parecchio, al punto che quando devo uscire di casa per andare a fare la spesa non quitto nemmeno, per potermici ributtare a capofitto non appena rientrato. Scendo, e in strada mi fermano due energumeni in divisa. Mi domandano se per caso ho giocato a Celeste. Penso siano le truppe Anti Pirateria e dico che sì, ce l’ho nella raccolta Steam, posso dimostrare il regolare acquisto mostrando la transazione dall’app della carta di credito, senza chiedermi come accidenti avranno fatto a sapere che è nella mia libreria. Loro però non si occupano di verificare la genuinità del sofware, poiché sono agenti della Straight Police. Ne avevo sentito parlare.

È un corpo paramilitare che controlla le tue abitudini affettive e sessuali. Mi viene contestato che, da maschio, avrei giocato a un platformer in cui la protagonista è una ragazza. “Ragazza”, sottolinea ridacchiando con sadica ironia il più muscoloso dei due. Rispondo che in realtà io tutti gli sprite dei protagonisti in pixel art li chiamo “omino” e che ci ho speso del tempo perché mi stavo divertendo e rilassando. Vengo accusato di promuovere l’ideologia gender e che per colpa mia i maschietti pretenderanno il fiocco rosa sulla porta quando nascono. Spiego che in realtà stavo solo saltando su delle piattaforme, e non vedevo il nesso tra un motore fisico che gestisce un impulso verso l’alto quando premo Jump e il fiocco di non so cosa. Mi portano in una stanza fatiscente che ricorda le sale interrogatori della Stasi, dove giace una ragazza nuda, probabilmente sequestrata.

Chissà a che avrà giocato per finire così. Vengo invitato ad accoppiarmi con lei e dimostrare così la mia mascolinità, proprio come Viggo Mortensen in La Promessa dell’Assassino. Faccio notare che non mi sembra molto consenziente. Mi massacrano di pugni e calci, per poi abbandonarmi all’alba in un campo. Mi dirigo verso casa barcollando, quando mi ferma una pattuglia.

Scendono due energumeni in divisa. Mi chiedono se abbia giocato a Celeste ultimamente. Determinato a non ricevere un’altra gragnuola di botte, rispondo con fermezza che sì, sono un maschio ma ho giocato a un platformer in cui la protagonista è una ragazza – alzando gli occhi al cielo mentre pronuncio con ironia “ragazza” – solo per vederla precipitare dalla montagna, è quella la fine che si merita, e che sono un maschio alfa, alfissima, e pretendo di poterlo dimostrare subito sessualmente. I due si avvicinano minaccosi dicendomi che credevano fossi un Ally, ma si son dovuti ricredere in seguito al mio atteggiamento sprezzante verso il genere femminile. Veramente parlavamo di Celeste, non di Day of Defeat, spiego, perché mai dobbiamo tirar in mezzo gli Alleati? Si qualificano come ispettori della Woke Police, mi portano nella medesima stanza del giorno precedente, mi massacrano di pugni e calci per poi abbandonarmi all’alba in un campo. Torno a casa in ginocchio, taglio la testa al toro disinstallando Celeste.

DIMMI A COSA GIOCHI, TI DIRÒ CHI SEI

Se non hai colto il senso di questa sorta di incubo, sei un’anima candida e ti invito a smettere subito di leggere per rimanere tale, non prima di aver acquistato Celeste, che è davvero un gran bel gioco, parola di redattore. Ancora qui, delfino curioso? Te la sei cercata: Madeline, la protagonista, è un PG transgender, e la montagna che deve scalare è una metafora su ansietà e depressione. Va detto che l’autrice del gioco non accenna nemmeno lontanamente a ciò nella pagina Steam, e bisogna spendere un po’ di tempo impicciandosi della vita privata di Madeline Stephanie Thorson per reperire tutte le informazioni. Ma non è questo il punto: ora che lo sai, nulla sarà come prima. Da adesso, se giochi a Celeste sei woke e schiavo di una lobby.

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Continuando ad estremizzare all’ennesima potenza, se non ci giochi sei omofobo. Se ci giochi e non ti piace, de gustibus, sei ugualmente omofobo. E gli orizzonti si espandono: avrai mica in libreria Call of Duty? Sei un filoamericano imperialista. Helldivers 2? Fascista. Horizon: Zero Dawn? Woke. La tua collezione Steam dice molto sul tuo credo politico, e verrai giudicato ed etichettato per questo. Nemmeno una puntata pilota di Black Mirror avrebbe mai immaginato tanto. Una comunità che per anni si è battuta per spiegare al mondo che uccidere innocenti in GTA non farebbe di te un potenziale assassino, e che investire robot invece che pedoni nella versione tedesca di Carmageddon non avrebbe portato più disciplina nelle strade, ora ti punta il dito contro perché il tuo log indica ben otto ore a Train Simulator e quindi sei sicuramente un nostalgico dell’Epoca dei Treni in Orario. Se invece l’hai lasciato sullo scaffale reputandolo divertente come l’orchite, devi essere comunista, e manderemo Tanya di Red Alert a eliminarti.

NON VENDI? COLPA DEL PUBBLICO

In base a quale criterio politico preferirei i boxer agli slip? E il tiramisù ai cannoli siciliani? Il problema è che questa mentalità condiziona un mercato che – non sempre, ma in diversi casi – non punta né all’inclusione né alla Nostalgia dei Valori di Una Volta, ma solo al profitto. Come è giusto che sia, in un mondo capitalista in cui a fine mese arrivano le bollette. Dunque c’è il rischio che politicizzando ogni prodotto si trascuri la qualità in favore del messaggio. Ho creato un FPS mediocre? Lo chiamo Duce Nukem et voilà tutta l’estrema destra spammerà recensioni stellari in ogni dove. Il mio RPG è una schifezza buggata? Rendo quel Necromancer transgender e punto ai woke. È tutto marketing e ci si scanna sul nulla, mentre il movimento woke e quello conservatore sono due mostri che si alimentano l’uno dell’altro, in un loop infinito che genera tsunami di soldi.

Chi si ricorda la canzone One in a Million dei Guns N’ Roses in cui le persone di colore venivano chiamate con quel termine con la N? I Guns erano razzisti? Davvero? Con Slash nel gruppo? Googlatene la madre, si chiamava Ola Hudson. Non è più plausibile che fosse il genere di messaggio che in quel particolare contesto sarebbe andato per la maggiore? E che dire di Glenn Hughes, il motociclista del gruppo gay Village People, in realtà etero? Fatemi vedere un po’ di bigliettoni, e mi improvviso salumierofobo. Odierò I salumieri. Ma c’è di peggio. Avvallando la teoria della nostra fede politica che decide su tutto, finiremmo per dar ragione a quel dirigente di Walt Disney Studios che accusa un non precisato pubblico sessista per il flop di The Marvels. Non si interroga sulla qualità della pellicola, scaricando la responsabilità all’utente finale.

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Siamo arrivati al paradosso: se lancio una merendina farcita in un certo modo, e mi resta sullo scaffale, non è colpa mia se ho realizzato un prodotto immangiabile ma è la ggggente che vuole boicottarmi. Io non voglio finire in nessuna casellina in base a ciò che gioco, già è un’agonia far digerire alle persone che alla mia veneranda età sono ancora appassionato di videogame, figuriamoci se devo anche spiegare perché lancio proprio Quake e non Unreal ritrovandomi immischiato in discussioni politiche portate avanti con fede calcistica.

CI SONO POSTI IN CUI FUNZIONA DAVVERO COSÌ. SPOILER: FANNO SCHIFO

Parafrasando la Ferragni – wow, ho raggiunto il vertice! – pensatevi liberi di giocare a quel che volete senza dover dare spiegazioni a nessuno, e ovviamente vivete lasciando vivere. Ci sono posti in cui davvero fruire del media ritenuto sbagliato può portare guai seri. In Corea del Nord tutto ciò che è considerato “cultura reazionaria”, termine che indica qualsiasi pensiero random passi per la testa di Kim Jong Un, porta alla reclusione.

La lunga lista al momento include jeans, serie TV americane e anche tagli dei capelli simili a quelli dei cantanti sudcoreani. Pensate come andrebbe a finire un LAN Party con Call of Duty. Personalmente ritengo legittimo non considerare nemmeno chi vuole politicizzare tutto: giocare non definisce la vostra personalità, la vita vera comincia un istante dopo aver risposto Yes alla domanda “Quit to desktop?”.

 

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