Mank è senza ombra di dubbio il film più atipico, ricco e incredibilmente avvincente che abbia mai girato David Fincher.
Per la prima volta il regista crea un film per parlare di un altro film. La lavorazione di Quarto Potere vista dagli occhi e dalla molestia derivata dall’alcol di Herman Mankiewicz, sceneggiatore che dapprima accetta l’incarico di ghostwriter, per poi mettere volontariamente i bastoni tra le ruote del produttore e infine, dopo innumerevoli epifanie date da diversi e frequenti flashback presenti nel film, chiedere a Orson Welles, ragazzo prodigio, di reintegrare il suo nome alla sceneggiatura, diatriba che ha visto i due litigare per diverso tempo anche in virtù del futuro Oscar alla sceneggiatura. Un premio vinto da Mankiewicz stesso, per quella che ha definito la sua opera più bella.
Quarto Potere nasce dal malcontento e dalle ispirazioni di un uomo che ha visto passare gli avvenimenti più importanti della sua vita davanti agli occhi, senza dargli nessuna importanza. Improvvisamente, quelle parole, quelle pagine, quei caratteri battuti a macchina assieme all’irriverenza di un giovane rampante quale Welles, assumono connotati più morbidi e sinuosi; vale la pena battersi per quel manoscritto, vale la pena vivere i ruggenti anni ’30/’40 del Cinema americano, tra scommesse, elezioni e problemi di alcolismo puro.
Mank è un film insolito e Fincher lo dirige in tre tempi, facilmente divisibili. Se nella parte centrale si fa più fatica a seguire tutte le vicende, “a causa” dei vari flashback tra eventi narrati e particolari momenti passati dello sceneggiatore, il largo incipit e la fase finale – compreso il faccia a faccia di Mank con Welles – hanno tutto un altro gusto e sapore, restituendo una spettacolo più ricco e pop di quanto ci si potesse aspettare.
Mank è al contempo il film più atipico e intrigante mai diretto da David Fincher
Questo perché davanti una realizzazione che rende omaggio e cerca di avvicinarsi a un film degli anni ’40, con un girato su pellicola, audio filtrato e brillante bianco e nero, nei contenuti Mank è un film di straordinaria attualità.
Ci sono le dipendenze e le ricerche. Non una Rosebud in particolare, bensì un fuoco che brucia nel cuore dello sceneggiatore e che viene alimentato a suon di superalcolici, somministrati con estrema diligenza, quasi fossero parte del compenso firmato nel contratto di lavoro. Poi il rapporto con i media, uno sfondo storico contestualizzato da difficili elezioni e la dedizione per il proprio lavoro.
Mank non vuole necessariamente raccontare la realizzazione del copione di Quarto Potere, bensì lanciare questo uomo piccolissimo verso un’inaspettata e gigantesca sfida, che diverrà improvvisamente importante per lo stesso, tanto da mettersi contro il sistema.
Il film si eleva verso un nuovo piano di considerazione quando Gary Oldman riesce davvero a prendere e strattonare il personaggio, quando lo mette dentro queste quattro mura, gamba ingessata, a trangugiare brodaglie alcoliche e sputare parole e sangue su quel copione, produttori al telefono a ricordare le scadenze e una vita che gli ha contrapposto gli ideali, pronti a frantumarsi nella rigida politica di un paese che lo ha reso un uomo piccolo, con un talento enorme, schiacciato da una produzione titanica.
l’interpretazione di Gary Oldman è assolutamente sbalorditiva
Mank è, nella sua forma più stretta, Cinema di altri tempi, forgiato, modellato e venduto con una forza travolgente dove al centro c’è un uomo, inserito in un circuito a noi molto caro e conosciuto. Da tutta quella grandezza ne fuoriesce un affresco di un individuo piccolo, delle sue debolezze e dei suoi demoni. Se il cinema tende a raccontare queste storie con piglio epico e, talvolta, manie di grandezza autoriali, qui Fincher decostruisce l’uomo, lo spoglia di tutti questi feticci per farcelo vivere e assaporare sbronzo sul letto, fogli volanti nella stanza. Niente di più vero e di più affascinante come metafora di un’industria che vende sogni da decenni a tutti noi, senza mai raccontarci degli uomini, degli addetti ai lavori che vivono questa realtà ogni giorno e ne subiscono le bellezze come le stesse ingiurie.
VOTO 8.5
Genere: biografico, storico
Publisher: Netflix
Regia: David Fincher
Colonna Sonora: Trent Reznor
Interpreti: Gary Oldman, Amanda Seyfried, Lily Collins, Charles Dance, Arliss Howard
Durata: 131 minuti