Old - Recensione

C’è un aspetto fondamentale che contraddistingue tutti i film firmati dal tanto amato e odiato Shyamalan: la forza dirompente con cui il regista, di origine indiana, decide di raccontare una storia, di qualunque natura sia, che abbia come sfondo superuomini, invasioni aliene o bambini che vedono fantasmi.

Old è tutto ciò che si può trovare nel cinema del regista, pregno del suo stile e di tutti i suoi stilemi classici. Per fare un paragone azzeccato che ha mandato in confusione tantissimi appassionati, Old sta a Shyamalan quanto Tenet sta a Nolan, con un film che forse il pubblico potrebbe non capire approfonditamente, ma che conoscendo le opere del regista e la sua visione autoriale nel mettere in scena una determinata storia, ci si ritrova in una confort zone di inestimabile e stimolante bellezza.

Si arriva con estrema calma al nocciolo della storia, dandoci il tempo di assaporare una gustosa polpa fatta di personaggi, comportamenti sinistri di questo ambiguo resort esotico e la terribile verità: famiglie e coppie vengono invitate a passare una giornata, impossibilitati a fuggire, in una spiaggia dove il tempo non segue il normale scorrere del quotidiano, con i protagonisti che ora dopo ora guadagnano dieci anni di vita mentre i loro corpi cambiano.

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Se gli adulti cominciano a manifestare le prime rughe, la più grande violenza fisica appare sui corpi dei bambini: Trent, Karen e Maddox sono i tre bambini che crescono minuto dopo minuto, i corpi maturano e si passa dalla pubertà all’età adulta nel giro di un pomeriggio. Quello che dovrebbero essere ricordi felici coltivati in anni e anni di divertimento, si trasformano in una prigione temporale emotivamente distruttiva, tanto per i piccoli, che si ritrovano concretamente a non concepire idealmente questo passaggio, tanto per i genitori che impauriti cercano di dare una spiegazione logica a quella serie di eventi inspiegabili.

Shyamalan prende spunto dalla graphic novel Castello di Sabbia per poi delineare la sua di storia

La parabola di Old prende vita dalla graphic novel Castello di Sabbia di Pierre Oscar Lévy e Frederik Peeters, ma quella di Shyamalan è solo una citata ispirazione di partenza per poi delineare la sua di storia. Il punto di vista del regista è dunque assai personale, tacitamente la stessa che ha ispirato Nolan per il suo Interstellar e dunque il ritrovarsi genitori per vedere ancor prima del proprio corpo invecchiare, quello dei propri figli. Qui il processo è così veloce che i bambini non crescono, ma invecchiano direttamente. Arriverà il momento in cui saranno i nostri figli che dovranno badare a noi e forse il tempo che avranno a disposizione per arrivare a “quel momento” non sarà mai abbastanza.

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La componente genitoriale è incredibilmente forte, così come il sentimento che lega Guy e Prisca, coppia forse in crisi, forse no, unita dall’amore per i figli. Uno scudo contro tutto il mondo, come la realtà di questa spiaggia, isolata dal tempo e dallo spazio (e lo Shyamalan twist darà una saggia spiegazione, sempre allineandosi con il tema ecologista, battaglia molto cara al regista che aveva già provato a esporre in modo assai bislacco con E Venne il Giorno) che sembra preservare e puntellare i ricordi di chi c’è stato prima, ma il poco tempo a disposizione non ha dato possibilità di lasciare un segno.

Old – purtroppo – non è più lo Shyamalan di Unbreakable, della cura maniacale nel modo in cui posizionava la camera da presa lasciandosi andare in movimenti sinuosi, del rendere concreta quella cornice attorno ad ogni frame. Come già successo con Glass, il regista sta mutando il suo stile, cercando di essere appetibile per tutti, pur mantenendo la sua peculiare vena narrativa, quindi i comportamenti umani non sono ordinari, sono confusi, eterei, astratti, difficilmente comprensibili o in preda agli acciacchi prematuri della vecchiaia (l’abbassamento dell’udito o della vista sono le incombenze a cui, in una sfida di sopravvivenza contro il tempo, non si tiene conto) eppure alla fine di tutto, è così dannatamente concreto nel modo in cui si incastrano gli eventi temporali e il distruggersi del proprio corpo.

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Art ispirata al film realizzata da Leonardo D’Angeli per The Games Machine

Fedele al suo stile, Shyamalan non cerca il disgusto corporeo, la modifica di quello che è stato concepito in un modo e mutato o mutilato successivamente, bensì lo scopo finale è di regalare uno spettacolo unico, incanalare la gioia del vedere e del raccontare. In questo, a suo modo, Shyamalan continua a essere uno degli outsiders più bravi che ci sono a Hollywood.

VOTO 7

old recensioneGenere: thriller
Publisher: Universal
Regia: M. Night Shyamalan
Colonna Sonora: Trevor Gureckis
Interpreti: Gael Garcia Bernal, Vicky Krieps, Alex Wolff, Rufus Sewell, Ken Leung, Thomasin McKenzie
Durata: 108 minuti

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