Devil May Cry - Recensione

Il superpotere del Dante targato Netflix è quello di non aver paura di reinventarsi, andando ad abbracciare una dimensione narrativa del tutto inedita. Astenersi dunque cultori e appassionati della fedeltà: esattamente come Nolan ha riletto la figura di Batman facendolo diventare vettore di contesti e messaggi, anche Adi Shankar, creatore della serie per Netflix, si lancia in una rilettura generale del mondo partorito da Capcom, puntellando nuove direzioni narrative, lavorando per un obiettivo forte e concreto che si spalma attorno tutte le otto puntate.

Lasciate a terra i forconi però, Dante è sempre un semi demone figlio di Sparda, alla ricerca del fratello Vergil e pronto ad affettare orde di demoni che vengono dal mondo demoniaco ancora presieduto da Mundus, ma sul piano terreno molto è cambiato. Lady per esempio è un agente paramilitare della Darkmon, società che gestisce il controllo dei demoni sulla Terra, mentre il nemico di turno, il Bianconiglio, è una rilettura efficace dello stesso nemico visto per la prima volta nel manga ufficiale di Devil May Cry 3, questa volta introdotto con un background diverso, ma ogni scelta, ogni movimento, ogni modifica, nasconde dietro dei fili che conducono a una dimensione ben impostata.

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Al netto delle ottime animazioni e della qualità di gran pregio generale del prodotto, ciò che rende speciale questo adattamento animato sono proprio i taciti obiettivi finali. Mai come in questa occasione, la storia aggiunge un tassello inedito alla già conosciuta mitologia di Devil May Cry, ovvero la critica politica. Non ricordo altre versioni cinematografiche o televisive di personaggi tratti da videogiochi che si portano sulle spalle un carico e una visione politica ben definitiva, una critica, come in questo caso, che punta il dito alla corsa agli armamenti e agli Stati Uniti. Il tutto non riducendo al solito brandello di azione di Dante contro i demoni, bensì curiosando nel mondo demoniaco, scendere di persona nella tana del bianconiglio e scoprirne tutti i segreti, così da capirli, avviluppare un contesto.

la rilettura messa in piedi da Adi Shankar è raffinata, funzionale ed estremamente consapevole della portata e qualità del franchise di capcom. Un vero azzardo che porta a casa la vittoria a mani basse

Nota di merito alla puntata numero sei, che si può mettere facilmente a confronto con il quarto episodio della terza stagione di BoJack Horseman “Un pesce fuor d’acqua”: animazione e sperimentazione visiva pura, accompagnata solo dalla musica e dall’inedita traccia degli Evanescence, qualche battuta di chiusura, ma è un episodio fondamentale, che tira le somme sul messaggio che la serie fino a quel momento stava tacitamente veicolando. È un episodio fortemente emotivo, che regala spessore e qualità proprio a chi aveva bisogno di più supporto (Lady e il Bianconiglio) e rende palese il messaggio politico della serie.

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Il salto della fede che questa serie d’animazione chiede è da accogliere ad occhi chiusi. Troppe sono le riletture proposte da opere crossmediali che si adoperano in rivoluzioni sempre troppo superficiali e mal supportate. Devil May Cry invece dedica un intero episodio non solo a sperimentare, ma a dimostrare che l’idea alla base è forte, dando anche il plauso all’opera genitrice di Capcom nel modo in cui va a sottolineare quanto l’immaginario proposto è applicabile anche a più riletture che, se fatte con criterio e consapevolezza, possono regalare piacevoli emozioni.

Adesso sì, una seconda stagione non è solo uno sfizio, è decisamente necessaria.

VOTO 8

devil may cry recensioneGenere: Animazione
Publisher: Netflix
Regia: vari
Colonna Sonora: Power Glove, Jarome e Joel Harmsworth
Interpreti (doppiatori nella versione originale): Johnny Yong Bosch, Hoon Lee, Scout Taylor-Compton
Durata: 8 episodi

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