Cocoon – Recensione

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Geometric Interactive con Cocoon reinventa la puzzle-adventure intrappolando mondi, dentro mondi, dentro mondi, dentro mondi…

Sviluppatore / Publisher: Geometric Interactive / Annapurna Interactive Prezzo: 22,99€  Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 7 Disponibile su: PlayStation 5, PlayStation 4, PC, Xbox One, Xbox Series X|S, Nintendo Switch Data di lancio: Già disponibile

Cocoon è un rituale; alieno, misterioso e magnetico. È un gioco di gesti che vanno fatti in un ordine prestabilito da secoli, forse millenni; non serve sapere il perché, poiché è l’istinto a guidarci per soddisfare un bisogno profondo, come attirati da una voce ancestrale. Ci si trova davanti a meccanismi perfetti, circondati da silenzi che lasciano spazio a un gameplay subliminale, che si infila sottocute e si innesta nel cervello, provocando un solletico estremamente piacevole, quello tipico di un level design rifinito al pixel, di quando si toccano materiali particolari, di pregio, o di quando ci si abbandona a un video ASMR fatto bene.

Un “brain toy” formato avventura spaziale, costantemente stimolante, che è una goduria rigirarsi tra le mani, come se sul nostro palmo ci fossero davvero quelle biglie-pianeta che il nostro alter ego, uno scarabeo umanoide, si porta sulla schiena: liscie, tintinnanti, ripiene di mondi. Stercorario sci-fi in un universo artificiale, allegorico.

MECCANISMI PLANETARI

Non è un’opera emotiva, quella di Geometric Interactive, software house danese fondata dagli ex-Playdead Jeppe Carlsen e Jakob Schmid. Il nome del team, d’altronde, tradisce la loro visione: Cocoon gioca con le geometrie, ha una precisione maniacale, terribilmente vicina a una perfezione tecnica rarissima, che lascia trasparire tutto il tempo dedicato al polishing, alle rifiniture, al connettere senza soluzione di continuità ogni enigma, nascosto dentro un altro enigma e un altro ancora. Un puzzle design a matrioska, di stampo artigianale, più materiale che virtuale, capace di trasmettere una chiara sensazione tattile, estremamente manuale, dove ogni azione attiva un ingranaggio, sposta elementi architettonici, apre porte e strade, chiudendone altre. È decisamente più difficile descriverlo che giocarlo, fluido com’è, basato su regole leggibili, consolidate ma remixate in architetture inedite

Un puzzle design a matrioska, di stampo artigianale, più materiale che virtuale, capace di trasmettere una chiara sensazione tattile, estremamente manuale

I mondi in miniatura sono sia “livelli” che sferiche chiavi d’attivazione per meccanismi più complessi, regolati da una scienza impossibile. Ed è proprio quando queste due funzioni si incontrano che i neuroni esplodono e brillano come costellazioni organiche nella notte. Tutto è interconnesso e, allora, se la sfera viene posta su un particolare piedistallo, ecco che la pozza sottostante riflette un pianeta, lontano chissà quanti anni luce eppure istantaneamente disponibile, a portata di tap sul tasto dedicato; lo schermo si curva, il nostro scarabeo salta e ci si ritrova dall’altra parte, con una transizione graficamente efficacissima. Zero stacchi, zero caricamenti. Questa meccanica spettacolare crea situazioni dove è necessario ragionare su più livelli, astrarre, immaginare, provare, compiere azioni per osservare reazioni e poi mettere tutto in ordine, sfruttando soprattutto le proprietà uniche di ogni biglia.

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I mondi di Cocoon sembrano un’interpretazione Pixar delle suggestioni di Giger, con colori sgargianti e macchinari biomeccanici un po’ inquietanti.

Creare percorsi altrimenti nascosti alla vista, attivare/disattivare rampicanti fantasma, sparare proiettili di energia e così via, sorprendendo in continuazione per l’intelligenza e la logica delle soluzioni, sempre più complesse, varie e geniali. Il livello del game design si alza costantemente durante le 6 ore circa di gioco, la scala del mondo si evolve, arrivando a coinvolgere quattro dimensioni contemporaneamente e portando a conseguenze di gameplay fuori di testa. Ma come si fa a tenere sotto controllo questo tipo di puzzle? Carlsen e Schmid in questo dimostrano non solo di avere idee folgoranti, ma anche un controllo totale del loro progetto. Intanto le ambientazioni sono prive di pericoli, mostri, trappole che avrebbero distratto il giocatore, spezzato il ritmo. Seconda cosa: ogni area ha le dimensioni, più o meno, di un dungeon medio di uno Zelda 2D, solo che è come se fossero tanti labirinti uno dentro l’altro. Qui interviene una trovata per me fondamentale, che combina sound design e level design.

Amore totale per la propria opera ma anche gentilezze semi-nascoste nei confronti dei giocatori che, di conseguenza, sentono di stare comunicando col gioco

Quando un enigma viene risolto e si lascia quella micro-zona, se la stessa ha esaurito la sua funzione ludica, semplicemente viene archiviata. Se prima c’era una piattaforma che faceva avanti e indietro, ora quella sarà disattivata. Spesso non è neanche una cosa di cui ci si accorge, perché il gioco sa benissimo come indicare la direzione giusta e spingere sempre avanti il giocatore, ma è una caratteristica che stronca sul nascere la dispersione, quell’effetto “metroidvania” dove ogni tanto non si sa dove andare e allora si torna indietro di 2, 3, anche 4 aree per vedere se si è lasciato indietro qualcosa, senza cavare un ragno dal buco. Perché chiaramente capita più volte di doversi arrovellare qualche minuto su un puzzle, ma si è consapevoli che la soluzione è comunque vicina, talmente vicina da poterla sentire: la colonna sonora ambientale che si anima, vibra, bisbiglia quando stiamo per trovare finalmente l’idea giusta. Occhio, ho detto “stiamo per”, perché, meraviglia, il gioco “legge” il fatto che abbiamo compiuto un’azione nuova, determinante per il funzionamento dell’enigma di turno e, mentre il cervello accende l’iconica lampadina, la musica fa esattamente lo stesso, come se il suono venisse dalla nostra testa. Eureka!

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Il momento in cui si trova una nuova sfera è una gioia, perché non si vede l’ora di scoprire cosa si sono inventati di nuovo gli sviluppatori.

Non quando ormai tutto è stato risolto, ma mentre andiamo a risolverlo. Fantastico. E questa è la cura per il dettaglio, amore totale per la propria opera ma anche una serie di gentilezze semi-nascoste nei confronti dei giocatori che, di conseguenza, sentono di stare comunicando col gioco, imparando la sua lingua, i suoi gesti, guidati in modo non invadente, sentendosi più che altro spinti da una forza invisibile per liberare questi mondi dalle mostruosità che le hanno infestate. Perché si, di combattimenti canonici neanche l’ombra; però, che boss fight fantastiche!

PUZZLE FIGHT CON COCOON

Quasi un gioco nel gioco, questi scontri con entità aliene che, per caratterizzazione, non sfigurerebbero in un episodio di Metroid. Sfide mnemoniche, con pattern da interpretare, ma anche molto fisiche, con momenti bullet hell e la necessità di affinare i riflessi, reagendo velocemente alle mosse di queste creature bizzarre che, in quanto tali, hanno anche modi bizzarri di attaccare e di comunicare le proprie intenzioni, non esitando a buttarci letteralmente fuori dal loro mondo con un solo colpo ben assestato

Niente game over, niente morti truculente alla Limbo/Inside; solo il fastidio di essere stati scacciati via, proprio come insetti, tornando poi a chiedere la rivincita più determinati di prima

Niente game over, niente morti truculente alla Limbo/Inside; solo il fastidio di essere stati scacciati via, proprio come insetti, tornando poi a chiedere la rivincita più determinati di prima. Bellissime da vedere e da giocare, con le sfere che in questi frangenti risvegliano poteri unici, sperimentando meccaniche one-shot, create apposta per essere gustate una volta sola, una manciata di minuti.

Certi scorci sono lì solo per essere fotografati al volo, peccato non ci sia una vera e propria modalità fotografica.

Come delle dolcissime caramelle di gameplay da sciogliere in bocca, dal sapore intenso e persistente, che accompagna la soddisfazione di aver liberato un altro pianeta. Non che questi mondi abbiano una canonica bellezza naturale, sono più dei bellissimi diorami, lucidati e disinfettati, quasi asettici ma coloratissimi. Funzionali, ecco, non certo posti dove si andrebbe volentieri a fare del turismo, nonostante i bei reperti archeologici che si trovano qua e là. Il colpo d’occhio però è sicuramente d’impatto, assolutamente coordinato all’impianto ludico, diretto, low poly ed essenziale ma capace di sfoggiare imponenti e dettagliatissime architetture, esaltate da un’illuminazione che si carica sulle spalle il grosso dell’atmosfera. Un perfetto equilibrio ludo-estetico. Questo è Cocoon.

In Breve: Instant classic, senza tanti giri di parole. Cocoon è un’opera magnetica, subdola, di quelle che non sai proprio quando smettere di giocarci, talmente è organica, fluida, stimolante, assolutamente determinata a non concedere pause cerebrali. Una puzzle adventure che ricerca costantemente l’inedito, lo stupore, con il riutilizzo virtuoso di elementi di design conosciuti che, utilizzati con sapienza, sorreggono e permettono l’esplosione di idee di puro genio videoludico. Colpi da fuoriclasse, che mi hanno spesso portato a rivivere l’impatto di Fez e dei primi, sorprendenti capolavori indie del decennio passato. Un videogioco speciale, di quelli che non ci si scorda facilmente e di cui ritroveremo i geni in molti altri titoli negli anni a venire.

Piattaforma di Prova: PlayStation 5
Com’è, Come gira: Giocato su PlayStation 5, tecnicamente perfetto, levigato, curato nei minimi particolari.

 

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Pro

  • Momenti di puro genio ludico / Tecnicamente pulito in maniera maniacale / Level design e puzzle design allo stato dell’arte / Atmosfera aliena conturbante

Contro

  • Colonna sonora ambientale non particolarmente memorabile / Poco emotivo
9.5

Ottimo

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