Yoshihisa Kishimoto, sempre ti sarò devoto. Difficile trattenere l’assoluta ammirazione per uno dei miei game designer preferiti, l’uomo che ha “sporcato di sangue” la strada del picchiaduro a scorrimento inaugurato dallo Spartan X (Kung-Fu Master in occidente) di Takashi Nishiyama. In gioventù Furyo shonen e Bōsōzoku (avete presente i teppisti motorizzati che imperversano negli shōnen manga?), Yoshihisa Kishimoto ama il cinema alla follia, trova il modello di vita ideale nella figura di Bruce Lee e approda in Technōs Japan dopo una breve, ma significativa parentesi presso Data East, gettando le basi per il fenomeno dei picchiaduro a scorrimento che abbiamo amato all’epoca d’oro dei game center con Nekketsu Kouha Kunio-kun e, soprattutto, Double Dragon.
Sono passati circa trent’anni dal debutto in sala giochi dei gemelli Lee, e Arc System Works ha riunito Yoshihisa ai collaboratori di un tempo per un omaggio particolarmente significativo, creando un quarto capitolo che, al momento del suo annuncio, ha spaccato in due gli entusiasmi dei vegliardi.
DI NUOVO INSIEME
Double Dragon IV è un seguito diretto del secondo capitolo per Famicom in tutto e per tutto, che sposta cronologicamente gli eventi del bizzarro The Rosetta Stone, subito dopo l’episodio originale. Con una resa audiovisiva a base di pixel e chiptune dall’inconfondibile retrogusto nintendiano, il gioco è stato immediatamente visto come un atroce tradimento da chi ha amato Double Dragon principalmente in sala giochi, una gomitata alla volta.
Arc System ha probabilmente pensato di stuzzicare la memoria e il portafogli della generazione NES, quando l’idea di avere una conversione domestica (e successivamente portatile, su Game Boy) dignitosa del blockbuster arcade era ad appannaggio di Nintendo, almeno fino a un discreto adattamento per Megadrive, uscito però fuori tempo massimo, nel 1992. No, la versione Master System non se la filavano, ché l’otto bit SEGA non vendeva in Nord America.
Billy e Jimmy non sembrano invecchiati bene, legati a un parco mosse inadeguato a un assedio particolarmente furioso, specie ai livelli più avanzati
In dodici brevi missioni, Double Dragon 4 riporta dunque la memoria ai pomeriggi passati davanti alla console Nintendo, amplificando l’intensità dell’azione con un quantitativo di nemici su schermo assolutamente inimmaginabile per un sistema casalingo di quegli anni. Si inizia con calma, strizzando l’occhio ai fan con un cammeo dell’auto di Road Blaster (uno dei laser game creati da Yoshihisa in Data East) nel primo degli intermezzi che descrivono lo sviluppo degli eventi tra una missione e l’altra, ma presto ci si troverà con lo schermo affollato da un gran numero di nemici. Il che, di base, sarebbe una cosa fantastica, ma Billy e Jimmy non sembrano invecchiati parecchio bene, legati a un parco mosse inadeguato a un assedio particolarmente furioso, specie ai livelli più avanzati, quando la CPU inizia a spammare gli attacchi più fastidiosi. Sì Rowper, sto parlando con te, e se non fossimo su un sito rispettabile ti direi cosa farci con quelle dannate bolas.
Quando lo schermo è letteralmente soffocato da nemici inalberati che attaccano all’unisono, si sente tantissimo l’assenza della corsa per riposizionarsi a dovere, e l’unico momento di respiro è spesso rappresentato dai fotogrammi d’invulnerabilità in seguito a un atterramento, quando è possibile spedire in orbita la folla con un uppercut. Principalmente, manca lo straordinario repertorio visto nello spettacolare Double Dragon Advance per – indovinate – Game Boy Advance e, in misura minore, nell’ottimo Return of Double Dragon per Super Famicom. Ci sono, è vero, un paio di tecniche nuove, create principalmente per continuare l’attacco in seguito a un colpo effettuato con il pad in posizione neutrale, ma nella folla spesso non c’è tempo per simili finezze, e arriveremo – spesso e volentieri – a preferire attacchi un attimo più diretti, come combo base o il sempre popolare “calcio ciclone”. C’è un timido accenno di juggle, che dà il meglio di sé in seguito ai nuovi attacchi di cui sopra o giocando con un amico, quando si può letteralmente passare con una proiezione il cattivo di turno verso l’altro fratello, ma complessivamente mi aspettavo di più, specialmente dopo aver apprezzato per anni i due capitoli sopra elogiati.
Per fortuna, le trappole non sono tremende come ai tempi di Double Dragon 2 per Famicom, dove si spaccavano le ossa altrui, senza paura, solo per perdere vite intere in stanze piene di piattaforme rotanti, spuntoni, salti nel vuoto e pavimenti cedevoli. Cattiverie simili sono ancora presenti, ma in numero limitato, e molto più gestibili rispetto al passato in una serie di livelli dal layout adeguato. Sul fronte delle armi non ci sono purtroppo aggiunte degne di nota, a parte le casse giganti dal contenuto casuale, ripiene di bonus o – addirittura – nemici, a seconda di come butta la sorte. Inoltre, mancano gingilli come il nunchaku o i tonfa di Double Dragon Advance, con il loro moveset rapidissimo e galvanizzante. E, come insulto finale, non è possibile giocare online, né si può sfidare la CPU nella modalità versus uno contro uno. Cose da pazzi!
GAME OVER?
Non si tratta, però, di una tragedia completa. Prima di tutto, perché parliamo pur sempre di un Double Dragon che ripercorre le orme di uno dei capitoli più apprezzati, e questo quarto capitolo si gioca che è un piacere. Poi, siccome non ci sono livelli di difficoltà tra cui scegliere, i nemici sotto steroidi garantiscono comunque un sano livello di sfida, supportato da soli cinque “continue”.
i nemici sotto steroidi garantiscono comunque un sano livello di sfida, supportato da soli cinque “continue”
Visto che abbiamo nominato Kishimoto e Ogata, applaudiamo anche l’audio di Yamane-san, sempre in forma e qui all’appello con il giusto mix tra tracce nuove e storiche che potrete ascoltare in versione rimasterizzata o nel più classico chiptune, meritevolissime in entrambi i casi.
Double Dragon IV mi è piaciuto, ma avrei potuto amarlo di più. È spesso confusionario e frustrante, con gravi carenze (niente gioco online, ma si può?!) e un arsenale tutto sommato monco se paragonato a capitoli molto più riusciti; tuttavia, ha dentro di sé il DNA di Double Dragon, con la modalità Torre che – da sola – varrebbe l’acquisto grazie ai tanti personaggi sbloccabili. Aggiungete un prezzo particolarmente interessante e direi che ci siamo. Solo, la prossima volta, cerchiamo di lasciare la nostalgia a casa, magari prendendo esempio da omaggi molto più riusciti come Double Dragon Extreme e Gaiden, realizzati dai fan con il motore di Beats of Rage, tuttavia assolutamente fedeli allo spirito della Technōs Japan che fu.