Dragon Age: The Veilguard – Recensione

PC PS5 Xbox Series X

Dieci anni dopo aver indossato i panni dell’Inquisitore in Dragon Age: Inquisition, BioWare torna con Dragon Age: The Veilguard, l’effettivo quarto capitolo del franchise che, sin dall’annuncio, ha promesso di essere il continuum narrativo del terzo episodio e, dunque, delle vicende dark fantasy ambientate nel Thedas (come esplicato da John Epler, director del nuovo titolo). Ce la fa? Non ce la fa? Bella domanda. Ve lo racconto celermente. 

Sviluppatore / Publisher: BioWare / Electronic Arts Prezzo: 59,99 euro Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 18 Disponibile su: Nintendo Switch, PlayStation 5, Xbox Series X/S Data d’uscita: 31 ottobre 2024

Dieci anni sono tanti. Nonostante i fumetti pubblicati, le fanfiction su EFP scritte e le innumerevoli aspettative da parte dei vecchi fan dell’opera ideata nel 2009 dalla software house canadese, in pochi speravano di vedere un quarto capitolo che si ponesse come il diretto seguito di Dragon Age: Inquisition, opera che, ricordo, si è discostata molto dal tanto criticato – ingiustamente – Dragon Age II, pubblicato nel 2011, che tesseva la trama di Hawke e portava i giocatori nell’ambientazione più oscura della serie, in quella Kirkwall, la città dei Liberi Confini, in cui Varric figurò come narratore, divenendo un personaggio iconico (sia nel secondo che nel terzo capitolo).

Dieci anni dopo l’allontanamento di Solas, il cui finale fu l’effettivo cliffhanger di Dragon Age: Inquisition, BioWare è una software house che è cambiata. È vero, ha perso i pezzi simbolo, arriva da un Mass Effect: Andromeda che non ha convinto i fan e si è lasciata alle spalle il capitolo Anthem, promettendo l’Anthem Next che, menomale, è stato accantonato. Di Dragon Age: The Veilguard si sa solo che è cambiato il nome, in corso d’opera: era Dreadwolf, per richiamare il Temibile Lupo, il Solas che ha il desiderio di stracciare il Velo per assicurare l’immortalità al suo popolo. Il Solas che non piaceva a Cole, per sua stessa ammissione in Dragon Age: Inquisition, in un dialogo che ora, a distanza di anni, suona come un avvertimento.

Dragon Age: The Veilguard è il videogioco più comunicato male della storia

Tra Dragon Age: Inquisition e Dragon Age: The Veilguard, comunque, ci passano nel mezzo un libro e dei fumetti. Parlo de “L’Impero delle Maschere”, di Tevinter Nights e di Dark Fortress. Solas vive con la persistente convinzione di fare la cosa giusta, di essere necessario al mondo, di essere la soluzione. Non potendo espressamente parlarvi di lui, che resta un personaggio rilevante all’interno della narrazione di Dragon Age: The Veilguard, è meglio dunque spostarci altrove. È bene concentrarci su altro, su come arriva sul mercato questo capitolo, che si avvicina più al secondo capitolo per quanto concerne il gameplay. Voglio però dirvi una cosa in tutta schiettezza: anche se Baldur’s Gate apparteneva a BioWare, con lo studio attuale non c’entra più nulla. Ed è dunque un errore madornale paragonare l’ultima opera di Larian Studios con quella attuale dello studio canadese.

Il mio personaggio su Dragon Age: The Veilguard.

Immaginate, insomma, pubblicare un videogioco similare nell’anima a Baldur’s Gate 3. In realtà, Dragon Age: Origins, al tempo pubblicato dallo stesso team di KOTOR e di Baldur’s Gate. Per Ray Muzika, co-fondatore di BioWare, il primo capitolo era a tutti gli effetti un continuum di quest’ultimo. È incredibile quanto tempo sia passato da allora e come, specie nelle intenzioni, le idee produttive siano mutate. Dapprima pensato come progetto multigiocatore, Dragon Age: The Veilguard è divenuta un’esperienza single player. Esattamente come gli altri capitoli della saga, è un action RPG. No, non c’è la pausa tattica. Se qualcuno si sta chiedendo se è possibile usare un personaggio diverso dal proprio, nel corso delle fasi di combattimento, dimenticatelo completamente. È Rook-centrico. Chi è Rook? Ve lo spiego, un attimo, prima un po’ di geopolitica fantasy.

PROBLEMI AL NORD DEL THEDAS

Come accennavo, Dragon Age: The Veilguard è un continuum effettivo della trama di Inquisition, il cui legame è rilevante nella nuova esperienza di BioWare. Subito dopo la creazione del personaggio, si prendono effettivamente tre decisioni fondamentali collegate all’ultimo capitolo del franchise, che preferisco non rivelarvi. Se avete giocato a Inquisition, probabilmente qualcuno di voi potrebbe ben ricordare i tarocchi che dettagliavano il background del proprio personaggio. Essi tornano prima di cominciare l’esperienza, sia nel decidere che personaggio creare, sbizzarrendosi tra le razze disponibili, ovvero gli umani, gli elfi, i nani e i Qunari, nonché fra le classi su cui è possibile optare, limitate ma comunque arricchite dalle varie specializzazioni, di cui vi parlo poco più in basso.

Un pochino di Lyrium rosso per gradire…

Tornando comunque alla domanda precedente all’inizio del paragrafo, Rook è il personaggio principale dell’esperienza. Il suo background è nelle mani del giocatore sin dall’inizio: esso può essere un Corvo di Antiva, un Custode Grigio, o chi vi pare, con una buona possibilità di scelte su chi creare, e come. Optando per un elfo ben diverso da un comunissimo dalish (sono elfi dei boschi, delle foreste, insomma: quelli che hanno un loro legame con la natura reale e tangibile; se ricordate la foresta di Brecilian, in Tamlen, sono sicuro che quelli di Arlathan potrebbero farvi venire le lacrime agli occhi), ho scelto che fosse legato ai Dellamorte di Treviso, una delle due principali città della produzione. L’altra è Minrathous, che finalmente, dopo essere stata accennata in molteplici occasioni (sia nei videogiochi che nei fumetti), compare. L’editor del personaggio, particolarmente pieno zeppo di scelte di personalizzazione, è intuitivo e ben curato. Le opzioni sono messe per accontentare qualunque tipo di giocatore, che può sbizzarrirsi come meglio gli aggrada, tra capigliature, forme del volto e tanto altro.

Tante possibilità di creare un proprio personaggio

Arrivando alla trama, il racconto inizia in una locanda, in un posto malsano di Minrathous in cui Varric, Rook e Harding sono alla ricerca di Solas. La prima parte della storia, non eccessivamente lunga e in realtà estremamente coincisa (già, nessun preludio lungo lunghissimo in salsa Dragon Age: Inquisition), vede i nostri tre alla prese proprio con il Temibile Lupo, intento a voler stracciare il Velo per inondare il mondo di demoni. Un tentativo che viene interrotto da Rook, che si ritrova, però, a dover fronteggiare due nemici ben più brutali di Solas. Quest’ultimo, e ci tengo a sottolinearlo, non è un personaggio marginale. Non lo è neppure Varric, che resta fondamentale, al netto di scelte che, sotto diverse luci, non mi sono piaciute.

Quel baffo lo renderebbe antipatico a chiunque…

Quando scrivo che il videogioco di BioWare è Rook-centrico, non scherzo. Il racconto parla dell’Egida del Velo, una compagine che si ritrova, a causa dello squarcio nel Velo causato da Solas, a dover fronteggiare due entità elfiche corrotte, intente a voler fare quello che farebbero due entità elfiche che ce l’hanno con il mondo intero: sottomettere l’intero Thedas e schiacciare il Ferelden, il Tevinter e l’Orlais, schiacciando ogni popolo. Insomma, nulla che non si sia visto in qualsiasi libro di Sanderson o Markus Heitz. La narrazione è buona, seppure ingenua sotto diversi fronti, specie quando si tratta di inserire personaggi già noti e di dettagliare elementi che potrebbero in qualche modo collidere con il passato del franchise, portando all’amara consapevolezza che no, alcuni eventi importanti non sono stati approfonditi e alcuni di essi dovevano essere spiegati. Ecco, in Dragon Age: The Veilguard quel genere di approccio non viene seguito. La narrazione si collega con Dragon Age: Inquisition, come già accennato, ed è in realtà più legata ai precedenti capitoli di quanto mi sarei immaginato. È il come si arriva alle cose, però, a risultare talvolta stiracchiato e non amalgamato a dovere. Il motivo è che l’intera trama si focalizza sul rapporto e i legami tra Rook e i vari compagni dell’avventura. Sia chiaro, il racconto è scritto bene, ma per un Dragon Age, se comparato di misura alle altre produzioni del franchise, rasenta un pochino deludente. Ciò significa che i rapporti, sempre centrali in Dragon Age, non siano approfonditi a dovere? Nossignore. È la linearità con cui sono splicati ad avermi sorpreso, tanto che le sottotrame e le missioni secondarie sono scritte meglio. Su alcuni personaggi, lo ammetto, ho avuto forti dubbi sulle loro rivelazioni e su chi siano in realtà, come accade con Harding.

È il come si arriva alle cose, però, a risultare talvolta stiracchiato e non amalgamato a dovere. Il motivo è che l’intera trama si focalizza sul rapporto e i legami tra Rook e i vari compagni dell’avventura

I legami sono importanti, in Dragon Age: The Veilguard. Lo ha messo in calce più volte persino il team negli ultimi mesi, spiegando come ognuno di essi abbia una sua storia e debba raggiungere la sua consapevolezza. Ebbene, Rook, che è un personaggio che può replicare a ogni domanda come può (non ci sono le opzioni presenti in Dragon Age Origins, dunque non aspettatevi di far scappare a gambe levate dal party un compagno chiave), come far arrabbiare qualcuno, facendosi approvare come disapprovare, ha una sua voce. Ciò non ha rinunciato BioWare, che ha investito in doppiatori del calibro di Alex Jordan, Bryony Corrigan, Erika Ishii e Jeff Berg per dare più voci a Rook (voci sia maschili che femminili del Rook uomo, donna o non binario).

L’altro mio personaggio. Un mago, di nome Viktor.

Qualcuno si domanderà, anche legittimamente, da dove possa uscire un personaggio del genere, nel folto worldbuilding di Dragon Age. È un personaggio nuovo come lo era, d’altro canto, l’Inquisitore. Il team ha scelto un approccio che, per quanto mi riguarda, è vincente sotto questo aspetto perché dà la possibilità di delineare il personaggio come meglio si preferisce. Tornando ai legami, che sono fondamentali soprattutto per la trama principale, aumentare il rango di rapporto con gli altri companion è fondamentale perché può decidere il fato effettivo del finale. In tal senso, ho visto due dei finali disponibili; uno è il bad ending e l’altro il good ending; di entrambi non posso parlare perché altrimenti scateno una guerra termonucleare, ma è davvero fondamentale aumentare il rapporto con i compagni, così tanto importante che, da essi, si possono approfondire anche dettagli importanti degli stessi.

Da dove esce Rook? Sarete voi a deciderlo

Si tratta di sei compagni, di sei persone – come spesso sottolineato da BioWare – da conoscere davvero. Sotto questo aspetto, il team ha saputo dettagliare bene quasi tutte le storie principali. Alcune di esse vanno anche a trattare argomenti importanti, arcinoti all’interno della serie, parlando in modo chiaro e diretto di argomenti rilevanti come l’inclusione. I personaggi, come Davrin e Emmrich, hanno storie interessanti. Tornano le romance, a mio modo di vedere piacevoli, anche se piuttosto frettolose. Il Rook-centrismo, ripeto, è alla base di tutto. Potrebbe far storcere il naso a qualcuno il fatto che l’ultima ruota del carro – come spesso si è descritto Rook per quasi tutta l’avventura – debba sfidare le divinità elfiche. D’altronde, Ghilan’ain e Elgar’nan non si battono da soli e, citando qualcuno di alto e serafico, anche la persona più piccola può cambiare le sorti del futuro.

DRAGON AGE: THE VEILGUARD, COME TI ROOK-CENTRICO IL GAMEPLAY

Dragon Age: The Veilguard è un videogioco action RPG in terza persona. Il sistema di combattimento, diverso rispetto al passato, è completamente in tempo reale. La pausa tattica non è dunque prevista, se non inserita marginalmente quando si tratta di dover usare delle abilità. A differenza del passato, si muove solamente Rook, sia quando si esplorano le varie località dell’avventura, sia quando si combatte. Ho optato inizialmente per il ladro, combinando dunque attacchi ravvicinati e distanti. Andiamo con ordine, però. Il combattimento avviene in modo efficace e coinvolgente, distanziandosi completamente – e meno male, dato che quello di Dragon Age: Inquisition non mi fece impazzire – da quello del passato. Si avvicina maggiormente all’approccio del secondo capitolo del franchise.

Gli scorci di Dragon Age: The Veilguard sanno come arricchire il tutto.

Intanto, è bene ribadirlo, ma è chiaramente inutile sottolinearlo: se decidete di indossare i panni di un mago, di un ladro o di un guerriero, l’assetto nel combattimento cambia. Ed è una cosa importante da ribadire perché il Rook che creerete combatterà in modo diverso. Se il ladro userà un arco per eliminare i nemici quando si tratta di affrontarli dalla distanza, il guerriero potrà lanciare lo scudo addosso ai nemici e, in seguito, recuperarlo. Il mago, che è davvero piacevole da giocare, può invece adoperare la magia con un’onda d’urto in grado di allontanare gli avversari. Dunque, la varietà è presente. Le classi sono poche, ma BioWare ha puntato tutto sulle specializzazioni, raggiungibili attraverso l’albero delle abilità, consultabile in ogni momento o quando, semplicemente, dovete far progredire il personaggio. E di scelte ce ne sono tante, così tante che sono tre per ciascuna classe. Il sistema di combattimento proposto da BioWare, concentrato sulla spettacolarizzazione quanto sull’offrirne uno dinamico e piuttosto violento. I colpi si percepiscono, quando si affronta un nemico, e talvolta è bene schivare, oppure insistere con le offensive. E la differenziazione di nemici è ricca, molto ricca.

Dunque, la varietà è presente. Le classi sono poche, ma BioWare ha puntato tutto sulle specializzazioni

Alcuni di essi, protetti da una corazza, che può essere magica o materiale (già, in giallo, esattamente come in Dragon Age: Inquisition), devono essere battuto premendo l’attacco pesante, che può essere risolutivo in qualsivoglia modo, e lo stesso ovviamente vale quando si tratta di attaccare le difese magiche. Il combat system è dunque immediato, perché permette di mettere mano alle abilità che si preferiscono, equipaggiabili di conseguenza nel menu del personaggio. Il sistema di combattimento è comunque ibridato, nel senso che il giocatore può concatenare gli attacchi con altri personaggi, come avviene in Mass Effect, quindi scatenando le abilità altrui. La grossa novità è, quindi, questa cosa: non necessariamente una buona notizia per chi si aspettava di mettere mano all’intero party, ma il team ha sottolineato spesso l’intenzione di rendere la produzione, per l’appunto, Rook-centrica nel modo più assoluto.

Bellara e Rook: tipo cinquanta ore e qualcosa fa.

Comparare il gameplay odierno con quello del passato è un pochino fuorviante, dunque, specie se si ricerca com’è cambiato nel corso del tempo. Da un combattimento più statico all’azione, dall’azione a un sistema tra azione in tempo reale più tattico, e un sistema ora totalmente mirato all’azione. Ciò significa che non ci sia spazio per la pianificazione? Provate ad affrontare un drago, uno dei tanti presenti nelle missioni secondarie, e ne riparliamo, specie quando la difficoltà scelta è quella più intricata. Poi, in combattimento è possibile scatenare un attacco speciale che permette di prendersi un grosso vantaggio: non esiste nulla di più action di un tasto che lo consente. Una cosa poco elegante, ma probabilmente necessaria, è la costante presenza di vasi verdi che corrispondono alla salute; quelli blu, al contrario, servono per riempire la barra dell’abilità speciale da adoperare.

Comparare il gameplay odierno con quello del passato è un pochino fuorviante, dunque, specie se si ricerca com’è cambiato nel corso del tempo

Io ho optato per la più complessa, specie per sfruttare a dovere ogni aspetto del sistema di combattimento. Voglio, però, sottolineare una cosa importante per chi, invece, vuole semplicemente vivere un’esperienza senza impazzire: BioWare ha consentito, dal menu dell’accessibilità, di poter semplificare di molto l’esperienza a chi non è nuovo a opere di questo tenore. La difficoltà “Cantastorie”, infatti, semplifica gli scontri, e consente soprattutto di togliere la morte come immediato game over. Qualche hardcore gamer dovrà farsene una ragione, ma Dragon Age: The Veilguard è pensato soprattutto per un pubblico ampio, il più ampio possibile, e questa scelta può avvicinare, di molto, i giocatori che non hanno mai toccato prima una produzione del franchise – anche se consiglio, specie perché Dragon Age: Origins, Dragon Age II e Dragon Age: Inquisition sono spesso venduti a prezzi stracciati su Steam, nonché retrocompatibili.

Combattere permette di usare facilmente le abilità senza particolari problemi, attivando quelle corrispondenti.

Tornando tuttavia a Rook, e in generale al sistema di combattimento, assicuro che la sua personalizzazione è effettivamente vasta e piuttosto buona. Lo si comprende soprattutto quando si tratta di dover indossare delle armature oppure armarlo a dovere. Una caratteristica che non mi ha convinto molto, e che critico aspramente, è la scelta di far sviluppare le armi già possedute quando se ne trovano altre nei vari scrigni durante l’esplorazione. È un’opzione che, per quanto mi riguarda, avrei preferito dare solamente al giocatore, perché comunque non mancano i potenziamenti e gli incantamenti (enchantment!!!!!) al Faro. Cos’è il Faro? Un attimo, ora ve lo dico.

DAL FARO, L’ELUVIAN, ALL’INTERO THEDAS

Ricordate, sì, quelle ampie aree in Dragon Age: Inquisition? Bene, dimenticatele. Non scherzo quando dico che Dragon Age: The Veilguard è molto più vicino al secondo capitolo che al terzo. Con il primo, insomma, è meglio mettersi una pietra sopra: da quel punto di vista, mi spiace, è bene farsene una ragione. Per accedere a ogni singolo luogo del Thedas settentrionale, è necessario prima sbloccare il Faro, accedere all’interno dell’Eluvian, uno specchio dimensionale in stile Nightingale, e poi perdersi un pochino in quello che si ha davanti; si può decidere dove andare in base alle necessità, da Treviso fino alle Coste di Rivain. Insomma, in fatto di ambientazioni, di luoghi e di biomi non si può dire alcunché alla produzione. Oltre a poter raggiungere i vari regni e luoghi noti, come le Vie Profonde, perciò un collegamento con il passato esiste eccome.

Bellara è davvero uno dei personaggi più affascinanti della storia principale.

Ora, questa è proprio una cosa molto da multigiocatore: mi viene da pensare che abbiano deciso di tenerlo e usarlo come pretesto narrativo. Ammetto che avrei preferito qualcosa di diverso, poiché è di fatto un controsenso, specie quando si sblocca il viaggio rapido, che consente di andare dappertutto senza problemi. Scelta discutibile a parte, il Faro è sospeso tra l’Oblio e i reami del Thedas, ed è il punto in cui ogni decisione viene presa da Rook, che funge da capo della squadra.

Ammetto che avrei preferito qualcosa di diverso, poiché è di fatto un controsenso, specie quando si sblocca il viaggio rapido

Al suo interno si possono potenziare le armi del personaggio, le sue armature e usare il laboratorio, pensato soprattutto per aumentare le pozioni nel corso dell’avventura. L’esplorazione, comunque, unita alle missioni secondarie, non è allungamento del brodo, ma approfondisce, di molto, l’intero worldbuilding di questo quarto capitolo del franchise. Tornano per l’appunto i popoli già conosciuti in passato, inclusi i Qunari. Considerando che è bene sottolinearlo, il popolo Qunari è stato profondamente ritoccato da Dragon Age: Origins, che appariva certamente più umano, seppure sprovvisto di corna, aggiunte nel secondo capitolo del franchise, con ulteriori dettagli in Dragon Age: Inquisition. L’art direction della produzione non abbandona affatto il suo approccio al dark fantasy, e lo dico perché alcune missioni principali, secondarie e dedicate ai personaggi conducono in luoghi alquanto oscuri e tenebrosi. Il cambio di stile, specie nel design, è qualcosa che ha sempre contraddistinto la produzione di BioWare. È un look cartoon che, dunque, non pesa ed è pure ben integrato.

No, non è chi pensate voi. Non è Morrigan.

Le espressioni facciali, dopo quegli obbrobri in Mass Effect: Andromeda, sono finalmente ben curate. Dragon Age: The Veilguard non è certamente il più riuscito dai Dragon Age, specie dopo dieci anni. In dieci anni è davvero, ma davvero cambiato tutto nel panorama, e probabilmente ci si poteva augurare qualcosa di certamente migliore, qualcosa che sapesse essere il prosieguo narrativo che ci si augurava. È un Dragon Age che riesce, ma non eccelle, lasciando un pochino con l’amaro in bocca.

In Breve: Dragon Age: The Veilguard è un’opera che arriva dopo dieci anni alla proverbiale prova del nove. Si comprende subito quanto sia stato complesso il progetto e come il mondo videoludico sia cambiato, nel corso del tempo. Forte di un bel combat system, di una narrazione comunque convincente e di un buono sviluppo dei rapporti con gli altri personaggi, su alcuni punti non riesce pienamente ad arrivare all’obiettivo. Ammetto che così tante parole siano effettivamente troppe, e spero in realtà che qualcuno sia arrivato alla fine… ma non poteva esserci davvero altra analisi per un’opera così delicata. Saranno le vendite a decidere se sarà l’effettivo rilancio della serie. Oltre, ovviamente, a noi giocatori del franchise.

Piattaforma di Gioco: PC
Configurazione di Prova: i5-12400F, 16 GB RAM, GeForce RTX 3080, SSD
Com’è, come gira: Giocato su PC, il lato tecnico soddisfa alla grande e regala una buonissima prova. Da segnalare la presenza di una valida foto.

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Pro

  • Piacerà ai fan meno dogmatici / Adatto a chiunque, davvero a chiunque / Il combat system è coinvolgente e ben realizzato / Ottima art direction / Belli i legami e come essi siano centrali per la trama

Contro

  • Finali poco d'impatto / La storia, talvolta, perde il focus / La telecamera fa le bizze / Non piacerà ai fan di Dragon Age / I legami con il passato potevano, e dovevano, essere trattati meglio / Aspettarsi di più è legittimo
7.8

Buono

Cosa succede se unite letteratura, tanta curiosità e un mix letale di videogiochi indipendenti e di produzioni complesse? Otterrete Nicholas, un giovane virgulto che scrive tanto e vuole scrivere di più. Chiamato "Puji" ben prima di nascere, dovete dargli una penna per tenerlo calmo. O al massimo un pad.

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