Oramai è una regola non scritta nella mia carriera di videogiocatore: non riesco ad apprezzare Dragon Quest, tuttavia rimango inequivocabilmente risucchiato dai suoi spin-off, partendo dal vecchio Torneko no Daibōken per arrivare al recente Dragon Quest Heroes, senza tralasciare il criminalmente sottovalutato Rocket Slime. La serie principale può tranquillamente continuare ad appoggiarsi a meccaniche e stilemi volutamente anacronistici per conservare la sua reputazione di JRPG classico per eccellenza nel cuore del pubblico nipponico, se ambientazione e bestiario vengono poi rielaborati in declinazioni così ispirate.
Dragon Quest Builders colloca lo spirito dell’opera omnia di Yūji Horii in una dimensione sandbox con lo scopo di ricostruire il mondo di Alefgard dalle sue ceneri, vittima della scellerata decisione del protagonista del primissimo episodio che, dopo aver messo alle strette la sua nemesi Dragonlord, decide di abbracciarne il potere oscuro, facendo sprofondare nelle tenebre lo stesso regno che aveva giurato di difendere. Un’idea – in seguito omaggiata nel brillante Magic Sword di Capcom – che avrebbe condotto al cosiddetto bad ending e al successivo spegnimento del NES/Famicom, mandandoci magari a dormire mesti e in preda al giusto magone.
WE BUILT THIS CITY ON ROCK AND ROLL
Immaginate Minecraft in terza persona, ambientato nel mondo di Alefgard. Ora rendetelo più accessibile, sicuramente meno profondo dell’inarrivabile colosso di Mojang, tuttavia più piacevole da vedere, caratterizzato dai personaggi che la matita del Bird Studio ha reso tanto familiari.
Dragon Quest Builders colloca lo spirito dell’opera in una dimensione sandbox
Il punto di forza è la struttura a base di missioni e livelli: ogni continente ci vede inizialmente intenti a piantare una bandiera in un centro abitato che ha visto giorni migliori e attirare così i primi abitanti, solitamente malridotti e demoralizzati. Dopo aver recuperato i primi materiali, iniziamo a delimitare le mura per far fronte all’assedio continuo dei mostri e ascoltiamo le richieste dei nostri concittadini, fino allo scontro con un gigantesco guardiano di fine livello, per poi muoverci alla regione successiva dove inizieremo daccapo l’opera di ricostruzione, spogli dei materiali e degli attrezzi recuperati fino a quel momento. Un’idea che funziona molto bene e che offre una narrazione facile da seguire e capace di motivare l’altrimenti sterile accumulo di risorse, dal quale, però, ci si può staccare in qualsiasi momento per esplorare, andare a caccia di nuove materie prime o, semplicemente, rendere più bella la città facendola quindi salire di livello, attirando nel frattempo nuovi abitanti. Square Enix pronosticava una longevità media di una ventina di ore, ma io ne ho investite molte, molte di più, lavorando sodo per sedici ore filate soltanto per riportare la pace nel primissimo livello, il più breve e semplice.
Andando avanti ci saranno mappe più vaste e, soprattutto, problemi considerevolmente diversi da risolvere; già nella seconda regione, infatti, ci troveremo in una terra messa in ginocchio da una continua pioggia venefica che ci costringerà a ricoverare i più deboli, cercando nel contempo di far fronte a una preoccupante carenza di oggetti curativi, il tutto durante l’assalto di nemici cattivissimi. Se nell’avventura precedente ero morto pochissime volte, qui ho perso il conto dei miei sconsiderati decessi e sono stato costretto a ripensare le mie priorità, prediligendo il bisogno di approntare rapidamente difese e strutture d’emergenza al posto di andare a fare lo smargiasso in giro per la mappa, prendendo spensieratamente gli slime a randellate.
CAN YOU DIG IT?
Il Costruttore, del resto, non è secondo a nessuno quando si tratta di impilare blocchi d’argilla o assemblare cassepanche, ma in combattimento è una vera schiappa. Tanto più che eliminare nemici non frutta punti esperienza, come vorrebbe la tradizione di Dragon Quest, e il suo potenziamento è dunque strettamente subordinato allo sviluppo del centro urbano.
Scoprire nuovi materiali permette di creare equipaggiamento migliore, mentre soddisfare le richieste dei concittadini frutta ricette (sì, con tutto il lavoro dovremo pur mettere qualcosa nello stomaco!) e progetti, assieme agli occasionali semi della vita con cui aumentare i punti ferita che – disdetta! – torneranno al valore di partenza all’inizio di ogni livello.
eliminare nemici non frutta punti esperienza, come vorrebbe la tradizione di Dragon Quest
Ecco, il combattimento, che avviene in tempo reale, avrebbe meritato una maggiore cura: i nemici non ci attaccano se non allertati, ma il tutto si riduce a uno scambio furioso di fendenti corpo a corpo senza particolari finezze, anche per colpa dello scarso raggio delle armi. Viene in soccorso la varietà del bestiario, con nemici dotati di diversi tipi di attacco e comportamenti in grado di donare la sospirata varietà: attirate la carica di un cavaliere contro un muro, ad esempio, e il marrano in armatura resterà stordito e vulnerabile dall’impatto. I diversi tipi di arma sono adatti a specifiche situazioni (il martello brilla quando si tratta di fare a pezzi rocce e raccogliere risorse), ed è anche possibile equipaggiare degli scudi, ma questi si limitano a fornire un bonus alla resistenza invece di offrire una qualsivoglia meccanica difensiva. Complessivamente il combattimento resta un elemento migliorabile, per quanto comunque godibile nell’economia di un gioco che fa della creazione il suo punto forte.
Costruire, del resto, è un’arte e può avvenire “a mano libera” o attraverso i progetti, praticamente i kit LEGO nel mondo di Dragon Quest Builders. Solitamente elargiti dagli NPC, i progetti spaziano da stanzette a torri di guardia, arrivando alle fortificazioni munite di trappole per il megalomane che non deve chiedere mai, cannoni e statuari demoni sputafuoco! Posato per terra, il progetto indicherà i punti dove posizionare oggetti e materie prime, con tanto di numero degli elementi richiesti e modellino ruotabile per capire bene dove ritoccare. Qualunque sia la scelta, è importante essere precisi, perché Dragon Quest Builders non permette funzioni tutto sommato basilari in un gioco simile, come la possibilità di spostare un oggetto posizionato o recuperarlo per dispiegarlo altrove senza passare per le maniere forti. Se, ad esempio, avete disposto un letto in un punto della stanza che non vi va a genio, dovete distruggerlo per recuperarlo, col rischio di colpire magari oggetti che invece stanno benissimo dove sono. Bizzarro.
DRESS TO IMPRESS
Dragon Quest Builders non vanta certo la complessità di Minecraft dall’alto dei suoi anni di sviluppo, idee e mod, ma graficamente siamo su un altro livello. Pur non facendo miracoli, la grafica è pulita, leggibile e piacevole, agli antipodi degli sgraziati (e caratteristici, ovviamente) blocchettoni dell’illustre ispiratore, specie quando pareti di terra e argilla cedono il passo a mura, pavimenti e decorazioni di ben altra fattura.
Costruire è un’arte e può avvenire “a mano libera” o attraverso i progetti
L’usabilità e l’immediatezza dell’esperienza sono nondimeno grandiose: se inizialmente i quindici slot dell’inventario ci andranno stretti, costringendoci a continue sortite al campo base per depositare gli oggetti non desiderati, presto metteremo le mani su una cassa magica direttamente collegata al personaggio. In questo modo, gli oggetti in eccesso finiranno automaticamente nel forziere e, viceversa, potremo recuperare le scorte necessarie in qualsiasi momento, anche a distanza dalla civiltà. Un’agevolazione che potrebbe far storcere il naso agli avventurieri “duri e puri”, ma che rende l’esplorazione e la raccolta di materiali più fluida e godibile, specie quando c’è bisogno di avere sottomano una grossa varietà di materiali, come nella modalità multigiocatore. O meglio: il gioco non permette di giocare assieme, ma consente di innalzare enormi opere d’arte e condividerle con gli altri aspiranti costruttori in un apposito hub, sbloccabile al termine del primo livello, un limbo privo di mostri dove vige la creatività, a patto che la costruzione venga realizzata in un’apposita area delimitata per superficie e altezza.
A seconda dei mondi completati, potremo accedere, attraverso dei portali, a particolari dimensioni in cui fare incetta di materiali, così se vorrete ricreare Mos Eisley non dovrete far altro che visitare il deserto di turno, oppure prelevare tonnellate di roccia altrove da investire nella creazione del castello di Grayskull, a seconda dell’ispirazione. Un’idea brillante che, purtroppo, non ho potuto assaporare come si deve, dato che al momento scarseggiano sia i giocatori che i frutti della loro fatica.
Nella recensione ho forse calcato la mano sulle imperfezioni di Dragon Quest Builders, ma tengo a sottolineare quanto mi stia divertendo con l’ultimo spin-off della saga di JRPG per antonomasia. Notti insonni, fughe dall’ufficio nella pausa pranzo e la mente fissa al mondo di Alefgard: questo è uno dei titoli che attendevo maggiormente nel 2016, e non ne sono rimasto affatto deluso. Non è perfetto, ma è accessibile, appassionante e soprattutto longevo, se non avete fretta di raggiungere lo scontro finale e preferite dare libero sfogo alla vostra creatività. Un Minecraft ridimensionato e dagli occhi a mandorla insomma, divertente e dal carattere forte. Se siete fan di Dragon Quest, e avete voglia di una boccata d’aria fresca, non potete sbagliare.