Dragon's Crown Pro – Recensione PS4

PS4

I giochi di ruolo giapponesi hanno un inestinguibile debito nei confronti dell’occidente. Prendete per esempio Dungeon di Koei, pubblicato nella primavera del 1984 e oggettivamente riconosciuto come primo esponente del genere nella terra dei samurai: la sua genesi proviene dalla presentazione di The Black Onix, tenuta presso la software house di Yoichi Erikawa da uno speranzoso Henk Rogers, all’epoca desideroso di far capire al popolo giapponese cosa diavolo fossero quei benedetti GDR che spopolavano oltreoceano. Koei portò il concetto di plagio agli estremi, non limitandosi a prendere ispirazione dalla creatura del giovane Henk, ma addirittura ricalcando diversi nemici dal Monster Manual di AD&D, oltre a copiare dettagli da due copertine del gruppo progressive rock Greenslade (opera del celebre Roger Dean) per la schermata iniziale del gioco!

Senza arrivare a questi estremi, è noto come Wizardry sia stata una delle muse di Ryuichi Nishizawa nella creazione di Wonderboy in Monster Land, mentre Alex Jiminez (introdotto in Capcom come consulente da James Goddard; ho parlato di lui nel nostro speciale sulle origini di Street Fighter) fu l’uomo chiave per colmare il gap filosofico e culturale tra Capcom e TSR durante il concepimento di Tower of Doom e Shadow over Mystara, due dei più amati giochi di combattimento a scorrimento dell’epoca CPS2. Al di là del prezioso marchio AD&D, i due titoli restano ancora oggi nel cuore degli appassionati delle sale giochi grazie alla profonda differenziazione dei personaggi e a un sistema di gioco non lineare, capace di offrire un’esperienza differente a ogni partita attraverso un buon numero di variabili come passaggi segreti, bivi e oggetti da recuperare.

SHADOW OVER HYDELAND

Una simile profondità di gioco fu un vero e proprio miracolo di game design, sufficiente a rinvigorire un genere sul viale del tramonto (Mystara uscì pochi mesi prima di Battle Circuit, ovvero l’ultimo brawler scritto da Capcom) senza alienare l’avventore tipo dei game center.Dragon's Crown PRO Recensione PS4

All’epoca, una simile profondità di gioco fu un vero miracolo, sufficiente a rinvigorire un genere sul viale del tramonto

La formula funzionò e, a quel punto, imitatori come Knights of Valour di IGS si presentarono puntuali sul mercato, fallendo, però, nel replicare il successo e lasciando i due giochi privi di un degno erede, a eccezione forse di Guardian Heroes su Saturn. Poi, nel 2013, avvenne l’impossibile. Proprio quando il genere pareva non importare più a nessuno, Vanillaware tirò fuori dal cilindro il più sincero tributo ai due capolavori Capcom con Dragon’s Crown, un gioco che, come da copione, stregò un po’ tutti grazie all’incredibile arte bidimensionale con cui la compagnia di George Kamitani è da sempre riuscita a distinguersi in un mercato dominato da mondi poligonali. Anche oggi, il titolo non si limita ad apparire bello come il sole, ma vanta una profondità notevole grazie a sei personaggi assai differenti tra di loro per moveset e caratteristiche: dagli incantesimi “succhia-mana” del mago al ruolo di tank del guerriero, da giocare completamente attorno alla gestione di scudo e “aggro”, ogni archetipo garantisce uno stile di gioco peculiare, sottolineato da un sistema di crescita e di sviluppo delle abilità bisognoso di più partite per essere padroneggiato a dovere.

I nove dungeon sono dei capolavori in quanto a caratterizzazione e ricchezza di situazioni e segreti, mentre i boss bucano lo schermo con sprite giganteschi e montagne di cattiveria. Non mancano ovviamente citazioni ad altri celebri esponenti del genere, come le belve da cavalcare che omaggiano i bizzarrian di Golden Axe. Il tutto incorniciato da un città-hub dove fare spese, ottimizzare l’equipaggiamento e visitare la Gilda degli Avventurieri per acquisire abilità e missioni secondarie, con cui incrementare ulteriormente la rigiocabilità (da soli o con amici) grazie alla modalità cooperativa per quattro giocatori, in locale e online.Dragon's Crown PRO Recensione PS4

Al di là della bellezza estetica, Dragon’s Crown vanta una profonda giocabilità

Il fatto che ogni cosa sia al posto giusto non è un caso, giacché Kamitani ha contribuito alla creazione di Tower of Doom proprio negli anni in cui Alex cercava di far capire ai suoi colleghi giapponesi che un anacronistico battello a vapore avrebbe fatto arrabbiare non poco i piani alti di TSR! Nonostante tutto questo ben di dio, Dragon’s Crown non fu un grande successo in occidente, giacché, pubblicato su PS3 e Vita, venne adombrato dall’arrivo della nuova ammiraglia SONY.

UN NUOVO INIZIO

Dragon’s Crown PRO è lo stesso gioco del 2013, ora nello splendore dei 4k e della evocativa colonna sonora di Hitoshi Sakimoto, finalmente orchestrata. In parole povere, se lo avete spremuto come un limone all’epoca (un’impresa lodevole, dato che il gioco va completato tre volte, con i livelli di difficoltà avanzati che sanno farsi odiare) e sperate di trovare nuovi motivi per scaricare il vecchio salvataggio dal PSN, sul fronte dei contenuti persino il prezzo contenuto della nuova edizione non vi impedirà di rimanere delusi. Andando a cercare col lumicino, un’altra aggiunta è rappresentata dall’uso del touch screen per indirizzare il ladro PNG Rannie verso serrature e interagire con il fondale; non si tratta, tuttavia, di un’opzione più comoda o precisa del vecchio sistema, affidato senza problema alcuno all’analogico di destra.Dragon's Crown Pro Recensione PS4

Dragon’s Crown PRO è ora nello splendore dei 4k, con la colonna sonora di Sakimoto finalmente orchestrata

Qualunque sia la vostra storia col gioco, comunque, sarete i benvenuti (o bentornati) nel regno di Hydeland, dove fare a pezzi mostri è sempre una festa. Merito del sistema di combattimento veloce, brutale e incredibilmente piacevole, con attacchi speciali capaci di riempire letteralmente lo schermo con la furia degli elementi o le raffiche di colpi. Tutto questo senza rallentamenti di sorta anche nelle situazioni più indaffarate, quando quattro compagni si scatenano all’unisono costringendo spesso e volentieri ad aguzzare la vista per capire chi colpisce nella bolgia. A tal proposito, la modalità multigiocatore viene curiosamente sbloccata finendo i nove dungeon per la prima volta, e permette il crossplay con gli utenti delle vecchie versioni VITA e PS3; durante la nostra prova, l’azione è sempre rimasta fluida, confermando la stabilità del netcode.

Tra i difetti di Dragon’s Crown PRO trova posto una certa ripetitività di fondo, esacerbata dai livelli di difficoltà più ripidi che spingono a rigiocare gli stessi dungeon fino allo sfinimento, così da guadagnare livelli e loot fondamentali per una possibilità di vittoria. Con il level cap fissato a quota 255, l’endgame ha luogo tra le mutevoli mura del Labirinto del Chaos, dove ogni piano presenta scenari e nemici generati casualmente.

La carenza di novità rende Dragon’s Crown PRO quasi ridondante per i veterani, ma il gioco continua a funzionare così divinamente che è difficile resistere al richiamo: a distanza di cinque anni, l’opera d’arte di Vanillaware resta la più sincera lettera d’amore a Tower of Doom, e non è affatto poco. Ripetitivo a lungo andare, tuttavia mai monotono grazie a una rosa di personaggi assai diversi l’uno dall’altro, Dragon’s Crown PRO è un arcade della vecchia guardia realizzato con uno stile audiovisivo da sogno, e si qualifica nuovamente come un acquisto indispensabile per gli amanti dei buoni vecchi brawler a gettone.

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Pro

  • Presentazione audiovisiva da urlo, come Vanillaware impone.
  • Possibilità di recuperare il vecchio salvataggio e cross play con PS3 e Vita.
  • Prezzo inferiore alla media.

Contro

  • Nulla di nuovo per i veterani.
  • Ripetitivo e votato al grind a lungo andare.
  • Caotico con quattro giocatori che pestano come fabbri.
8.5

Più che buono

Il retrogamer della redazione, capace di balzare da un Game & Watch a un Neo Geo in un batter di ciglio, come se fosse una cosa del tutto normale. Questo non significa che non ami trastullarsi anche con giochi più moderni, ma è innegabile come le sue mani pacioccose vibrino più gaudenti toccando una croce digitale che una levetta analogica.

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