Quei maledetti titoli di coda

the witcher 3 titoli di coda

Il momento in cui si finisce un videogioco è sempre traumatico, da qualsiasi parte lo si guardi. Nella maggior parte dei casi segna la fine di un viaggio, in altri solo il viatico verso l’ineluttabilità del multiplayer, in altri ancora una tappa obbligata dove prendere fiato, rifocillarsi e prepararsi per una seconda run. Qualunque sia lo scenario, durante lo scorrere sullo schermo dei titoli di coda il tempo si ferma, e noi cerchiamo di metabolizzare quanto appena successo, un po’ come quando ci si fa una bella doccia calda dopo una giornata passata a correre come forsennati.

Ci sono finali che non rendono giustizia a tutta la fatica spesa per arrivarci (Mass Effect 3), altri che non ti aspetteresti mai (The Witcher 3), altri ancora che chiudono il cerchio in maniera perfetta, tanto da chiedersi cosa mai potrebbero inventarsi gli sviluppatori per giustificare un seguito che abbia un senso (The Last of Us), oppure che insinuano nel cervello il tarlo fastidioso di aver optato per l’epilogo sbagliato (Life is Strange). In tutti i casi – almeno per quanto mi riguarda – quando si finisce un videogioco si vive una sensazione a metà tra l’appagamento e la tristezza, perché se è vero che è il viaggio e non la meta la cosa importante, al momento di arrivare in fondo è inevitabile rilassare improvvisamente tutti i muscoli, in un epifanico e liberatorio abbandono, scandito dal ticchettio del e adesso? che picchia nella testa, proprio mentre gli occhi registrano il nome di chi si è occupato del rendering addizionale delle scene di intermezzo.




quando si finisce un videogioco si vive una sensazione a metà tra l’appagamento e la tristezza

I titoli di coda sono quindi una benedizione e una maledizione al tempo stesso, compressi in quel microscopico limbo al confine tra la fine di un’esperienza (bella o brutta, poco importa) e l’inizio di quella successiva. La sospensione del tempo che ne consegue può essere vista come una liberazione, oppure alla stregua di una ferita che si apre e che non ne vuole sapere di cicatrizzare, trascinandosi nel tempo e riaprendosi di tanto in tanto, giusto per ricordarti che hai vissuto davvero quel fatto lì. Penso, ad esempio, a come – ancora oggi, a distanza di più di vent’anni – il mio cuore palpiti ogni volta che mi capita di ascoltare Tex’s Lament di Richie Havens, che non solo faceva da preludio a un passaggio fondamentale di The Pandora Directive, ma ne accompagnava melanconicamente anche lo scorrere dei crediti. Lo stesso vale, per quanto mi riguarda, se ripenso a come ho vissuto i titoli di coda di Spec Ops: The Line, durante il cui scorrere ho scolpito nella mente e fatto mie tutte le sensazioni contrastanti provate durante il dipanarsi della storia.

Non c’è niente di più taumaturgico – ludicamente parlando – del gettare il pad sul divano e assaporare il momento dei crediti, fosse anche solo per accorgersi che il viaggio non è stato poi così appagante come avremmo creduto al momento di lanciare per la prima volta una Nuova Partita. A prescindere dalla strada percorsa per arrivarci, i pochi minuti che intercorrono tra l’inizio e la fine dello scorrere dei titoli di coda dovrebbero rappresentare un passaggio fondamentale per fissare nella memoria e nel cuore quanto masticato per giungervi. Proprio non mi riesce di saltarli e tornare subito alla schermata iniziale, perché mi rimarrebbe addosso la sgradevole sensazione di aver lasciato indietro qualcosa di importante. È così anche per voi, o sto solo farneticando a causa della senilità imminente?

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