Ho sempre cercato di finire i giochi che compro, specie in passato, quando la maggior parte degli acquisti veniva fatta al day one o nei giorni immediatamente successivi, e quindi a prezzo pieno. Avevo più tempo, allora, nonché pazienza, quest’ultima erosasi con l’avanzare inesorabile dell’età. Nondimeno, ci sono stati (e ci sono, naturalmente) dei casi limite. Personalmente, ho battuto ogni precedente statistica con Torment: Tides of Numenera. Ammetto che, nello specifico, il mio non si è rivelato un atteggiamento prettamente “professionale”, e che forse, un dì, farò ammenda. Premetto anche che spoilerare i primi 5-10 minuti di un gioco non mi pare un crimine esecrabile, ma in ogni caso siete avvisati, qualora vogliate proseguire nella lettura.
Orbene, l’erede spirituale del primo, indimenticabile Torment inizia con una schermata nera, attraversata da quelle che paiono bianche brezze, in cui campeggia una finestra di testo piuttosto ingombrante che descrive – come una meteora – la poetica caduta dell’avatar. Il gioco di Fargo presenta senza indugi una mole di caratteri considerevole. In questo contesto, alcune scelte ordinate secondo le voci di un elenco numerato ci pongono immediatamente davanti a un bivio che – qualora non ci dimostrassimo particolarmente cauti – si rivela essere alquanto… “impattante”. Esiste difatti la possibilità di accorciare il tempo di attesa prima di arrivare a contatto con il suolo, immediatamente selezionata dal sottoscritto sperando di giungere al dunque. E invece, ho sbloccato l’achievement “Terminal Velocity”: protagonista spiaccicato, con tanto di titoli di coda! Game Over, dunque, senza nemmeno aver intravisto, in precedenza, una schermata per la creazione dell’eroe, una scena d’apertura, un ambiente o un personaggio secondario. Splat, e tanti saluti.
Ho sempre cercato di finire i giochi che compro
Non ha resistito molto neanche The Bard’s Tale (la recente incarnazione del 2004, sempre ad opera di inXile): dopo un inizio con un protagonista caustico e alcune gag ben riuscite – ricorderò sempre l’iconico cartello segnaletico che recitava “Salva il mondo” (da una parte) e “Moneta e scollatura” (nell’altra direzione) – mi sono accorto di aver acquistato un clone malriuscito di Diablo con visuale dall’alto. Il gioco ha perso ogni attrattiva nel momento in cui mi sono ritrovato a duellare con gruppi di evocatori che sfruttavano gli “imbuti” della mappa per rimanere al sicuro e riversarmi addosso orde di minion. Anche Homeworld 2, nonostante abbia amato alla follia il titolo originale, si è rivelato una delusione. La seconda odissea spaziale di Relic abbandona difatti la calma e la compostezza dell’installazione precedente, calandoci in un contesto frenetico che vede i primi scenari iniziare sempre con la nostra flotta sotto attacco, non consentendoci dunque di “respirare” la bella atmosfera tracciata da galassie poligonali e stelle lontane. Allorché è stato chiaro che le missioni andavano affrontate tutte col senno di poi, e che al minuto 10 sarebbe apparsa l’armata nemica nel settore H12 mentre il grosso delle mie navi stazionava in H1, Homeworld 2 ha tristemente salutato.
Ho disinstallato in fretta persino South Park: Il Bastone della Verità
E qualora il mio atteggiamento di base vi apparisse frettoloso, sappiate che ho “pagato pegno” dedicando circa 100 ore a Dragon Age: Origins, con la sua natura grindosa, e le orde “infinite” di Dark Spawn, lupi mannari e cultisti; e che contro ogni buon senso ho portato a termine Still Life, nonostante lo scoglio rappresentato da quell’enigma dei biscotti.
E voi? Qual è il videogioco che avete disinstallato con una velocità che nemmeno Speedy Gonzales?