L'eterno dilemma fra soggettiva e terza persona

soggettivaCi sono snodi della storia dei videogiochi in cui taluni dettagli vengono discussi con più forza del solito. Sicuramente stiamo vivendo uno di questi, e l’attenzione va a posarsi con particolare insistenza sull’inquadratura usata negli “action adventure” – definizione nella quale faccio rientrare, in questo caso, qualsiasi accezione (pura azione, dettagli survival o RPG) applicata a forme moderne e ambiziose di contestualizzazione ambientale (open world su tutte). Ed ecco che, inevitabilmente, il pensiero va al reveal di quest’estate sull’uso della soggettiva in Cyberpunk 2077, accostato alle scelte, ormai arrivate alla prova diretta dei giocatori, delle diverse visuali di Red Dead Redemption 2 (qui la nostra fresca nonché entusiastica recensione).

Chiaramente, l’impostazione del gioco Rockstar è , allo stesso tempo, capace di accontentare tutti e porsi fuori portata rispetto ai concorrenti: si tratta (anche) di una prova di forza bella e buona, di un riaffermare che, se già era stato possibile in un titolo “middle generation” come GTA V, a maggior ragione un convincente switch tra prima e terza persona è applicabile in Red Dead Redemption 2, complice il pazzesco livello di dettaglio che gli sviluppatori hanno ulteriormente rafforzato. Un impatto estetico che, peraltro, fa ancora più impressione una volta accostato ad hardware vecchi più di cinque anni come PS4 e Xbox One, lontano mille miglia dalle capacità tecniche anche degli studios più blasonati. D’altra parte, qualcuno in quel di Rockstar deve per forza aver recepito, come accaduto al sottoscritto tanti anni fa, l’incomparabile suggestione della soggettiva in termini di pura simulazione visiva. L’ho già detto in altre occasioni, e d’altronde per me si tratta di un “ricordo primario” al pari di altre cruciali memorie d’infanzia: la sorpresa per le possibilità avveniristiche della visuale in prima persona mi sono arrivate da Advanced Dungeons & Dragons: Treasure of Tarmin, pazzesco esperimento (1983) degli altrettanto folli sviluppatori di Mattel Electronics per il sistema Intellivision.soggettiva

A distanza di 35 anni dai primi esperimenti in soggettiva, Red Dead Redemption 2 e Cyberpunk 2077 sono i perfetti interpreti di quelle stesse pulsioni

A distanza di 35 anni, Cyberpunk 2077 è il perfetto interprete di quella stessa pulsione, e poco male se in mezzo ai fattori c’è anche l’opportunità tecnica (sintetizzata, senza scendere in particolari più elaborati, nel non inquadrare l’inevitabilmente dettagliatissimo PG). Come ho avuto modo di scrivere nel numero di TGM in edicola, il glorioso 358 del trentennale, il gioco di CD Projekt RED va ad affiancare le immersive sim non per intenti paragonabili a quelli di Warren Spector o Arkane Studios, più liberi nella scelta degli elementi di genere e volutamente simulativi, ma per l’eccezionale contestualizzazione da “sci-fi realistica” che sembra permeare ogni dettaglio, facendo passare skill o stat attraverso cyberware “a vista” sull’HUD o sul corpo di V. Personalmente tendo a rispettare qualsiasi gusto od opinione, comprese le preferenze integraliste per i giochi in terza persona; nondimeno, non posso essere che entusiasta del fatto che una delle software house più capaci della storia recente, forse paragonabile solo alla succitata Rockstar, si sia inaspettatamente ricongiunta a una linea di evoluzione dei giochi in soggettiva che venero da sempre, ancor prima che System Shock e Deus Ex dessero forma a questo peculiare genere di simulazioni.

Un altro punto centrale, quello con cui concludo volentieri questa disamina consapevolmente incompleta (senza intenti, cioè, da “dossier di TGM”; magari sarete voi a completare le possibili riflessioni), è tuttavia il mix di credibilità e interazione di quel che passa su schermo. Red Dead Redemtion 2 può richiamare nella mente dei più visionari l’esempio di Westworld, e dunque la possibilità che un modello di “vita avventurosa simulata” e di IA auto-coscienti create sul nostro stampo possa passare prima dai videogiochi che non dal lento sviluppo della robotica antropomorfa. Un’eventualità che appare oggi lontana – e sicuramente la è – ma che può riprendere vita nel momento in cui una straordinaria messa in scena viene fatta passare direttamente dal nostro sguardo. D’altra parte, le capacità d’astrazione che ci distinguono dagli altri animali (o, almeno, collocabili tra i tratti distintivi) possono portare a una perfetta immedesimazione anche in terza persona, “guardandoci vivere” nei gesti più naturali e immersivi che le relative situazioni di gioco possono proporre.

E non nemmeno detto che tutti i giocatori lo vogliano: al contrario, lo spirito arcade è quanto di più distante si possa pensare dal concetto di simulazione, eppure è riuscito ad avvolgermi nelle spire dell’immedesimazione narrativa anche in un caso particolarissimo (anche qui, l’articolo è sul corrente numero di TGM) come Zone of the Ehders The 2nd Runner : M?RS, magistralmente trasposto in soggettiva VR partendo dal modello di uno slasher in terza persona. L’importante, insomma, è mantenere la voglia di essere stupiti, recependola da dove meglio ci aggrada.

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