Ultimamente mi sono ritrovato, come tanti altri, incapace di fuggire dal vortice di Apex Legends. Il grande successo ottenuto dal Battle Royale targato Respawn Entertainment non è davvero così sorprendente, praticamente chiunque sarebbe in grado di trovare qualcosa da apprezzare. Oggi però non vi voglio parlare di meccaniche o grafica ma di un mio piccolo viaggio mentale, iniziato poco dopo quella che probabilmente è stata la meno meritata vittoria di sempre in un titolo multiplayer. Dopo una ventina di minuti di intensa azione, quella frase “Sei il Campione” non ha fatto altro che cementare la vergogna provata durante tutta la partita. Ogni nostro incontro si è concluso con me a carponi o in una cassa, e tutto il tempo speso a inseguire i miei molto più proficienti alleati ha quasi tramutato un BR in un running simulator. E proprio come temevo nella pagina delle statistiche, scritto nero su bianco, c’era il risultato del mio fallimentare successo.
Proprio nel momento in cui il mio ego ha toccato il fondo che è arrivata l’illuminazione
LA TRISTE REALTÀ
La sindrome dell’eroe è da sempre una delle principali cause di sconfitta nei giochi competitivi e non. Quante volte capita che qualcuno preferisca fare le cose di testa propria? O decida di affrontare gruppi interi di avversari per poi finire a terra entro due secondi? O, come succede davvero troppo spesso, qualcuno preferisca disconnettersi piuttosto che dare una chance ai propri alleati di recuperare il banner e riportarli in vita? Mettere da parte la propria arroganza ha, in realtà, parecchi benefici. Non si tratta solo della possibilità di strappare una vittoria, o vivere indirettamente l’esperienza di essere un giocatore migliore guardando attraverso gli occhi dei propri commilitoni. Il modo più veloce per imparare davvero a fare qualcosa è circondarsi di persone più abili di noi.
Il modo più veloce per imparare è circondarsi di persone più abili di noi