Un castello di carta (sull'affaire Aeon Must Die!)

Nel corso di queste ultime ore ho provato ad arrivare in fondo a quell’interminabile sequela di documenti messi online da chi ha lavorato su Aeon Must Die! Poi, però, arrivato circa a metà tra ricevute, telefonate, sbobinamenti audio e altre testimonianze, ho deciso di chiudere tutto: aria fritta.

Occhio, non fraintendetemi, non mi trovo a parteggiare per nessuna delle due parti, ovvero per chi ha rubato illegalmente il progetto o per la parte lesa. Mi rendo solo conto che una situazione del genere non fa altro che smontare una tacita realtà che serpeggia da decenni nel settore, e che grazie a internet e i social riesce a fare oggi un rumore sempre più tedioso, fino a diventare un ronzio indistinto: il settore dell’industria dei videogiochi è uno schifo. Tutti lo sappiamo e ci battiamo con post social per il benessere e il rispetto per chi lavora nel settore, ci permette di scrivere e di mangiare, ma tolto quel momento sporadico, ogni mare in tempesta si placherà, lasciando sul fondale del mare, invisibile agli occhi di tutti, decine e decine di relitti affondati.

Un veloce recap per centralizzare il discorso: 6 agosto, State of Play di Sony, viene presentato il particolarissimo e ispiratissimo picchiaduro orizzontale Aeon Must Die!. Appena una manciata di secondi dopo, appena Sony rende il video reveal disponibile, diversi commenti attirano l’attenzione: il gioco ufficialmente non c’è, il materiale mostrato è stato rubato, ci sono processi e accuse in corso. Non ci credete? Ecco qui un link Dropbox, dove dentro, disponibile per tutti, c’è una sequela di documenti che riporta in ordine sparso un crunch mostruoso, tre anni di lavoro senza uno straccio di contratto e, dunque, nessuno pagamento (qualche soldo arrivava, ma tutto in nero), nessuna postazione di lavoro o licenza di software di programmazione. Tutti si portavano i propri laptop da casa, niente giorni di malattia o altri diritti, bensì pressioni e minacce di licenziamento se qualcuno si assentava.

Insomma l’inferno, caso più unico che raro per cui il tutto si è tuffato in  una vera e propria rivolta organizzata da parte di sviluppatori, tutti licenziati, che hanno chiesto – indirettamente – il nostro aiuto.

Il caso attorno ad Aeon Must Die! è la reale occasione per togliere il coperchio e mostrare tutto lo schifo del settore

Per una volta non c’è stato il solito MeToo del settore videoludico, con accuse sparate a destra e manca, publisher che si dicono ignari di tutto e la promessa di vigilare di più e con perizia la prossima volta, bensì l’atto di mostrare apertamente le carte e chiedere a chi usufruisce dei prodotti di fare una scelta.

Da una parte, CEO che rubano proprietà intellettuali di dipendenti non pagati e trattati come pezze da piedi, dall’altra un publisher anche abbastanza importante come Focus che, guarda un po’, notizia fresca delle ultime ore, si è detta estranea e ignara degli eventi accaduti e sì, anche loro indagheranno e vigileranno per evitare che cose del genere possano ricapitare.

Uomini e donne che hanno lavorato su Aeon Must Die!, questa volta, non vogliono un pubblico che osservi due lottatori gettarsi nel fango e contendersi un premio. Quel fango te lo tirano proprio addosso, chiedendo a noi di fare qualcosa; il risultato è che mai come in questo momento, la speranza di un gruppo di persone potrebbe essere la Chiave di Volta per un settore in balia di tremendi eventi ciclici.
Jyn Erso di Rogue One afferma che “le ribellioni si fondano sulla Speranza , nota per essere l’ultima a morire. D’altra parte, questo pazzesco caso venuto a galla rischia di diventare l’ennesimo grosso boato che va ad affievolirsi nel giro di poco tempo. Anzi, molto probabilmente sarà così.

aeon must die

Da devoto fruitore della sala cinematografica, a fine proiezione – anche quelle stampa, dove divento una bestia nera quando cercano di cacciarmi per pulire la sala – tendo sempre a rimanere fino alla fine dei titoli di coda. Non per scorgere scene post-credit o robaccia simile, no, solo per rendere omaggio e rispetto a quelle centinaia di nomi che scorrono sullo schermo, che non sono messi lì solo per rubare 5-6 minuti al minutaggio finale. Sono persone che per circa 4 mesi (nel caso ipotetico di un blockbuster) sono stati giorno e notte sul set per dare il proprio contributo a un prodotto dedicato alle masse. Dal regista allo “schiavo” che porta i caffè ad attori e tecnici, tutto è parte di una macchina. Stessa cosa accade nell’industria videoludica; prima vengono le personalità (Kojima, Druckmann e via così) e poi tutti gli altri, per i quali vengono spesso ammesse situazioni di crunch e similari fino a che il grande castello di carta viene giù.

questa volta abbiamo la possibilità di fare attivamente qualcosa e ricordarci che dietro ogni videogioco ci sono decine e decine di persone che hanno lavorato per regalarci qualche ora di divertimento

Mi meraviglia – i insieme mi disgusta – la velocità con cui la stessa, effimera costruzione viene rimessa su nascondendosi dietro il “tanto lo sappiamo che esistono queste pratiche”. Proprio questo snobismo, questo continuo girare la faccia dall’altra parte è causa di situazioni del genere per chi ha lavorato per anni e anni a un videogioco, senza vedere l’ombra di un dollaro, che intravede lo spettro dell’oblio e del dimenticatoio entro un paio di mesi.

Mi auguro che questa piccola ribellione possa davvero portare a qualcosa. Nel mio razionale cinismo, purtroppo, ci credo molto poco. In un settore che sposta miliardi di dollari ogni anno, la vita del singolo dipendente vale davvero poco. Il potere è come un gioco immobiliare, la posizione è tutto. Publisher e aziende saranno sempre lì a dettare legge, ma impariamo a meritarci questi videogiochi rispettando, prima di tutto, i nomi di chi li crea, ascoltando anche il loro grido.

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