IL PROGRESSO NEI LIVELLI NON ERA POI COSI SIGNIFICATIVO: QUALCHE ASTRONAVE PIÙ AGGRESSIVA, AL MASSIMO. GHOSTS ‘N GOBLINS CAMBIÒ TUTTO
La rivoluzione sarebbe arrivata a breve. I rapidi progressi tecnologici permisero ai coin-op di ospitare videogiochi sempre più complessi, nei quali l’abilità non serviva semplicemente ad avere la meglio su nemici via via più agguerriti, ma soprattutto
a vedere con stupore e meraviglia cosa ci avrebbe riservato il livello successivo.
Ghosts n’ Goblins non era un semplice gioco, ma un viaggio attraverso cimiteri, foreste maledette, città fantasma e regni di giaccio. Il capannello di spettatori attorno al cabinato mentre ci si spingeva fin dentro il castello del demone era l’inconfutabile prova del
fascino che stava riscuotendo l’asso del joystick, e rappresentava l’esclusiva di questa nuova forma di intrattenimento.

NESSUNO SI SAREBBE MAI SOGNATO DI DIRE, “OH GUARDA CHE FENOMENO è CAIO A LEGGERE FUMETTI”
Nessuno si sarebbe sognato di dire, con un misto tra ammirazione e invidia, che Tizio è bravissimo a guardare i film al cinema o che Caio è un fenomeno nel leggere i fumetti, vedessi con che abilità gira le pagine, ecco, guarda, ha finito un altro capitolo! Grande! Chiunque, anche con la lettura più incerta, sarebbe arrivato lo stesso all’ultima pagina dell’albo di Batman, ma
solo i più abili gamer avrebbero portato Arthur a salvare la sua amata. Alle mie dipendenze, il prode cavaliere morì male centinaia di volte, lasciando la bella al suo destino. La mia reputazione di videogiocatore stentava a decollare. La situazione in casa non era certo migliore. Con il C64 e lo ZX Spectrum graditi ospiti in milioni di camerette, gli sviluppatori non erano più legati al gameplay che ci voleva far schiattare ogni tre minuti per ingurgitare un’altra monetina, e
nuovi generi come avventure grafiche e giochi di ruolo guadagnarono un’enorme popolarità. In
Ultima o in
Maniac Mansion il concetto di durata di una partita era relativo, si poteva progredire con calma, una mezz’oretta al giorno. O, come capitava a me quando indossavo i panni di Dave Miller,
si poteva giocare un pomeriggio intero senza il benché minimo progresso.
Ebbi la meglio sullo scienziato pazzo – e su molti altri esseri malvagi delle avventure grafiche – solo grazie alle soluzioni pubblicate sulle riviste di videogiochi, e questo nonostante nella mia testa mi credessi un po’ il Mago Merlino, grande risolutore di avventure che mi guardava con piglio severo dalle pagine di Zzap! Ero davvero così scarso? Assolutamente no, avevo solamente scelto l’attività più difficile e competitiva che esistesse. Chiunque sarebbe capace di compiere azioni banali, io invece avevo deciso di mettermi alla duramente prova. Risolvi il cubo di Rubik con i piedi e bendato? Bazzecole. C’è un algoritmo per farlo, ed è sempre lo stesso.
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