Di recente, approfittando dell’aggiornamento Hearth & Home, ho ripreso a giocare a Valheim. L’idea è stata quella di creare un nuovo mondo, partendo (quasi) da zero con il solito personaggio, così che i rischi minori che avrei affrontato inizialmente mi permettessero un miglioramento regolare delle abilità, senza inciampi dovuti alla tragica fine del mio personaggio. Da allora, sono morto già sette volte.
C’è qualcosa di speciale in Valheim. Qualcosa che iniziavo ad intuire già ai tempi della mia anteprima, qualche mese e poco più di cento ore di gioco fa. Non mi aveva mai particolarmente attirato l’idea dei giochi survival, ma il titolo di Iron Gate Studios mi aveva catturato come un ragno nella sua tela, ben al di là di quanto potrebbe essere richiesto dagli standard redazionali. Non è nemmeno semplicissimo spiegare in breve cos’ha di speciale questo gioco, perché è tutta una serie di piccole cose. Prendiamo, per esempio, le morti a cui ho accennato sopra. Una volta, è successo perché ho pensato bene di attaccare briga con un troll, prima di ricordarmi che non avevo più la mia armatura in piastre di ferro e pelle di lupo e venire molecolarizzato da un possente manata.
LA MORTE È SEMPRE DIETRO L’ANGOLO, PER I VICHINGHI DISATTENTI. MA FA ANCHE QUESTO PARTE DELL’AVVENTURA!

Dopo aver risalito una montagna e combattuto lupi, golem e viverne… direi che una pausa ce la siamo meritata.
In Valheim, la morte è sempre dietro l’angolo per i vichinghi disattenti. Ma la cosa bella è che anch’essa può essere fonte di avventura: più volte mi sono ritrovato a correre in mutandoni per foreste e paludi, schivando troll, zombie e spiriti maligni alla ricerca della mia tomba, da cui ripescare rapidamente l’inventario e riequipaggiare frettolosamente armatura e armi degne di questo nome (con cui poi, eventualmente, cercare vendetta).
I TANTI VOLTI DI VALHEIM
Ma non è tutto ferro, sangue e morte nel decimo mondo norreno: uno degli indiscutibili pregi della creazione di Iron Gate Studios è che permette a ciascuno di giocare al ritmo che vuole, e credo davvero che a dispetto della sua classificazione come “survival game” anche Valheim potrebbe entrare a pieno diritto nella lista dei Feel Good Games che il nostro Stefano Calzati aveva compilato qualche tempo fa. Sì, perché se il combattimento è inevitabile (d’altronde, uno non può mica pretendere di giocare un vichingo e non menare mai le mani) non è detto che debba essere la parte centrale della vostra esperienza. Potete dedicarvi alla coltivazione di carote e rape, potete ammansire i cinghiali che trovate in giro e farvi un allevamento di porcellini, potete cavalcare dei lontani (e molto più grossi) parenti dei bisonti, potete spendere ore a costruire una magione degna di questo nome e ad abbellirla come più vi pare. In questo, siete anche facilitati dal fatto che i primi due boss, che ci permettono rispettivamente l’accesso al bronzo e al ferro, sono piuttosto facili da affrontare; occhio che il terzo invece è una bestia e dovete prepararvi bene bene, cibi seri, pozioni di cura e antiveleno, armi buone: io vi ho avvertito. Comunque lo so che dire che puoi costruire casette sembra una scemenza, ma fidatevi che quando uno inizia a buttare su muri poi le ore passano in fretta, perché la casa che fai appena iniziato non va mai bene, è troppo piccola, allora bisogna allargarla, ma se la allarghi devi fare una cosa a modo, e allora dacci di ascia e piccone per il legno e la pietra.
Tra l’altro, come avevo già accennato nella mia anteprima, il bello è che Valheim ci mette del suo nel farti venire voglia di tirare fuori il martello da costruttore e darti all’edilizia. In giro per il mondo è pieno di strutture abbandonate e, se la voglia di costruire da zero un castello in alta montagna non mi sarebbe mai venuta, trovando una fortezza diroccata invece l’idea sorge praticamente spontanea. E allora eccomi lì, a farmi una bella scarpinata per portare in vetta il ferro necessario a costruire forgia e tavolo dello scalpellino, riparare le mura, andare a cercare altra pietra per ricostruire i pezzi che mancavano, scacciare le viverne che ogni tanto vengono a rompere le scatole, creare dei camminamenti fra le quattro torri, e poi fermarmi a guardare il lavoro fatto con un sorriso beato sulla faccia. Utilità di tutto questo lavoro? Non moltissima, in realtà, ma che bello.
E anche dal punto di vista estetico il gioco è davvero un bel vedere. Dico la verità: a guardare il trailer di lancio dell’Accesso Anticipato, visivamente Valheim mi sembrava un po’ una poverata. A giocarlo, però, scopri che non è proprio così: sì, ok, le texture sono a bassa definizione, ma è una scelta stilistica, perché poi se vai a vedere a livello tecnico le finezze ci sono, accendi un fuoco e vedi l’ombra del tuo personaggio muoversi dinamicamente e il fumo che sale non è solo un vezzo estetico, se lo metti in un luogo chiuso lo vedrai accumularsi e soffocarti (ecco vedi? Pensavi di aver finito, e invece ci vuole anche il camino). E poi c’è la pioggia, che rottura di scatole la pioggia che ti riduce la rigenerazione della stamina, ma vuoi mettere quanto è atmosferica da vedere e da sentire, con i tuoni in sottofondo, il ticchettare dell’acqua e quelle musiche misto magniloquente e malinconico che Valheim ha da offrire?

Il gioco tiene conto anche del peso. Caricare un carretto con due tonnellate e mezzo di argento non renderà facile il trasporto!
È davvero un gioco meraviglioso, Valheim, e ogni volta che lo riavvio mi ritrovo a pensarlo. Uno di quei giochi che vorrei quasi cancellare dalla memoria, così da riscoprirlo di nuovo: però poi mi dimenticherei tutti i momenti bellissimi che ci ho vissuto, la prima casetta fatta bene, i viaggi via terra e mare, la scarica di terrore quando vedi quattro famelici lupi correrti incontro, o quella volta che mio fratello ha detto “oh chissà cosa c’è ai confini del mondo”, ha preso una barca ed è caduto al di là, nel vuoto assoluto. Iron Gate ha davvero creato qualcosa di speciale, e per quanto mi riguarda possono metterci tutti il tempo che vogliono per finirlo: io dei soldi che ci ho speso sono già più che soddisfatto così (però finitelo, eh!).