Nel sesto capitolo di Far Cry, il poliedrico Giancarlo Esposito interpreta lo spietato dittatore di un’isola dei Caraibi impantanata in un’anacronistica Revolución e piegata da sanzioni economiche, a cui cerca di porre rimedio coltivando tabacco e millantando improbabili successi in campo medico, tra cui la produzione di farmaci contro il cancro. Se state per dire “ma non ha la barba!”, vi è venuto in mente lo stesso personaggio a cui ho pensato io.
La figura del tiranno ha sempre esercitato un certo fascino nel mondo videoludico, sia quando si tratta di combatterlo che nel momento di impersonarlo. Prima di scoprire quali giochi ci hanno messo al vertice di una dittatura o promosso baluardi della resistenza, voglio elargire un paio di consigli agli attuali despoti che ancora non hanno avuto il meritato spazio all’interno di un videogame. Primo: non siate permalosi. Probabilmente, controllando i mezzi di informazione e soffocando le proteste nel sangue, è difficile che troviate all’interno del vostro Paese gente disposta a muovere critiche nei vostri confronti e con il coraggio di dirvi la verità quando a voi scomoda. Sfortunatamente, nel cosiddetto RML – Resto del Mondo Libero – la patetica libertà di opinione è permessa e potrebbe succedere che dei maledetti game designer abbiano un’idea negativa del vostro operato.
CINQUE CONSIGLI PER DITTATORI VIDEOLUDICAMENTE FOTOGENICI
Non ha seguito il consiglio Manuel Antonio Noriega, illuminato – a suo dire – generale a capo di Panama, che intentò una causa contro Activision Blizzard per avergli – sempre a suo dire – rovinato l’immagine dipingendolo come un corrotto omicida e trafficante di droga in Call of Duty Black Ops 2. L’Alta Corte di Los Angeles aprì le porte di un mondo nuovo a “Cara de piña” rigettando la sua richiesta di risarcimento, basandosi su un’antica legge norrena “Dittatore dietro le sbarre non può avere pretese bizzarre”. Più sportivo fu Fidel Castro, anch’egli non propriamente un eroe di Call of Duty, che si limitò a tuonare il proprio risentimento senza procedere per vie legali.
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Parrebbero proprio invincibili, come M. Bison, leader di Shadaloo, conosciuto come “Dictator” e anch’egli imbattibile solo sulla carta, dato che non è annoverato tra i guerrieri più forti di Street Fighter in praticamente nessuna classifica di gioco competitivo. Per quanto mi riguarda, una volta battuto Sagat, Street Fighter 2 era tutto in discesa. Terzo consiglio: abbiate dei tratti somatici distintivi. Gli artisti non devono faticare per inserirvi nei videogiochi, soprattutto se vi devono rappresentare con sprite in bassa risoluzione. Una scriminatura in parte e dei baffetti, un particolare colore di capelli o una lunga barba possono bastare. Lo sa bene il pixelloso Master-D, boss finale di Bionic Commando, la cui somiglianza con Adolf Hitler non è puramente casuale dato che nella versione giapponese era proprio il Führer in persona. Il despotico capo supremo di New Berlin, nella recente avventura Encodya, è invece un curioso mix tra Hitler e Donald Trump, e ci fa intuire come l’ex presidente americano non fosse molto amato dagli autori del gioco, sebbene non abbia nel curriculum riforme crudeli tali da fargli compiere quel salto di qualità necessario per defecare sulla democrazia.
Mentre aspettiamo con ansia una sua ricandidatura con un programma pregno di nefandezze che lo rendano degno si apparire accanto ai soggetti finora citati, scopriamo il consiglio numero quattro: chi fa da sé, fa per tre. Perché aspettare che qualche software house si accorga della tua esistenza e decida di includerti in un gioco, quando sei un dittatore e puoi sequestrare migliaia di programmatori costringendoli a creare il videogame definitivo su te stesso?
ANCHE I DITTATORI, DI TANTO IN TANTO, SI DILETTANO NELLA CREAZIONE DI GIOCHI CHE NE DEVONO GLORIFICARE LE GESTA
ORA TOCCA A ME!
Mi auguro che i vari tiranni seguano queste linee guida per migliorare il proprio appeal videoludico, e ora voglio raccontarvi la mia esperienza di giocatore alle prese con le dittature, che iniziò negli anni ’80 con Beach Head su C64. Piuttosto inconsapevolmente, devo dire, poiché non ricordo riferimenti a regimi totalitari nel – lasciatemelo dire, mediocre! – titolo Access Software. Evidentemente deve essermi sfuggito qualcosa, dato che nel sequel, decisamente migliore, Beach Head II: The Dictator Strikes Back, come il titolo suggerisce, arriva finalmente la resa dei conti con il despota senza nome, in uno scontro all’ultimo coltello. Un paio di anni dopo le sale giochi mi offrirono la possibilità di spodestare un dittatore in co-op, anzi “in doppio” come si diceva all’epoca, con il run and gun Guerrilla War. Nella versione giapponese i due guerrieri, che fisicamente ricordano Stallone in Rambo 2, sono Ernesto “Che” Guevara e Fidel Castro agli inizi della guerriglia contro Fulgencio Batista.
Come mai solo nel mercato giapponese? Probabilmente perché in piena Guerra Fredda non sarebbe stata una buona idea di marketing pubblicare nell’anticomunista occidente un videogioco che celebrasse la vittoria della Revolución. Questo svelerebbe comunque il segreto utilizzato da Castro per sopravvivere ai famosi 638 attentati: una volta ucciso, avrebbe semplicemente inserito altre 200 lire entro 10 secondi per continuare. E fornirebbe anche una versione attendibile sull’origine del nickname “Che” di Ernesto “Cheater” Guevara. Capaci tutti così, io voglio vedervi arrivare alla fine della guerriglia con una speed run. Altro grande run and gun capace di ingurgitare una buona fetta dei proventi dei miei primi lavoretti fu Metal Slug, il cui boss finale Donald Morden ricorda nemmeno troppo vagamente il precedentemente videoludicamente bistrattato Saddam Hussein. E nonostante sia poco sportivo servirsi di alieni e schifezze varie per instaurare una dittatura, i primi minuti di Half Life 2 spesi a City 17, in quel cupo ambiente a metà tra il totalitarismo dell’ex Germania Est e la Los Angeles di Essi Vivono, sono stati capaci di turbarmi non poco, quindi inserirei anche Wallace Breen nella lista dei despoti, l’unico tra quelli finora citati che non presenti somiglianze con personaggi del mondo reale.
Purtroppo non posso sempre vincere, e nel mio primo gioco recensito per TGM, Through The Darkest of Times, ho solo cercato di dare un piccolo contributo alla resistenza contro il Terzo Reich, mentre i tragici eventi procedevano inesorabili. Se a volte come partigiano faccio piuttosto schifo, lo stesso non si può dire quando lo scettro del potere è nelle mie mani. Vi ricordate i primi giochi degli anni ’80 della Codemasters, società dei fratelli Darling? Contenevano quasi tutti la parola “simulator”. BMX Simulator. Grand Prix Simulator. Pro Tennis Simulator. E così via. Se ci fosse stata la loro mano dietro la serie Tropico, si sarebbe chiamata “Banana Republic Simulator”.
LA VERSIONE IPAD DI TROPICO MI HA RUBATO TANTE, TANTE ORE
Nello stesso bioma tropicale del gioco di PopTop Software è ambientata anche la fortunata serie Just Cause, che già dal primo episodio è riuscita a non finire etichettata come “GTA nella giungla”, e nei panni di Rico Rodriguez mi sono sempre divertito a prendere a calci diversi tiranni, a cominciare da Salvador Mendoza, presidente di San Esperito. Evidentemente quindi c’è del vero quando si dice che certi personaggi abbiano fatto anche cose buone: senza dubbio ci hanno regalato ore da dedicare al nostro passatempo preferito nel corso di oltre trent’anni. E il futuro cosa ci riserva? Per il momento ho messo nella lista dei desideri I am Dictator, manageriale indie ambientato in una simil Corea del Nord. Ancora non è noto quando verrà rilasciato, proprio come i prigionieri politici. Nel frattempo, cerco di guadagnare trofei a più non posso a Far Cry 6, senza mai dimenticare quanto sono fortunato a vivere in un Paese libero che mi permette di burlarmi degli uomini più spietati del pianeta senza subire alcuna conseguen-