Mentre si attendono trepidanti le nuove avventure di Aloy in quel di Horizon Forbidden West, c’è ancora tempo e spazio per un’ultima osservazione circa quello che è stato Horizon Zero Dawn, “nuovo” (beh, lo è diventato col sequel) franchise dei ragazzi di Guerrilla Games, già sviluppatori dei vari Killzone.Un commento, sicuramente assai breve, che esula da qualunque giudizio negativo o positivo che si possa attribuire a questo videogioco, che come ogni titolo al momento della sua uscita ha trovato sia amanti che detrattori. La nuova IP di Guerrilla Games si è dimostratata sicuramente brillante, divertente e allo stesso tempo non esente da criticità (alcune davvero imbarazzanti, come le semplici animazioni facciali o alcune caratteristiche del combattimento corpo a corpo), motivo per cui ho trovato saggio cercare una sedia libera e disquisire del titolo assieme a un gruppo di pacati osservatori di mia conoscenza.
Tra le tante cose – giuro, sarò di una brevità tanto disarmante quanto ingiustificabile – che ho apertamente apprezzato di Horizon Zero Dawn, rientra sicuramente anche il comparto narrativo, in special modo nel raccontare le vicende in relative al world building e renderle così incredibilmente tristi, una sconfitta su tutto il fronte, quasi come se tutti gli accadimenti di migliaia di anni prima degli eventi del gioco ci riguardassero in prima persona.E come potrebbe essere diversamente? Il mondo in cui si destreggia la nostra eroina è quello che rimane della nostra sconfitta come società evoluta tecnologicamente. La costruzione di robot per mantenere la pace, impenetrabili in termini di programmazione giacché sicurissimi, è la classica scintilla che porta le macchine a ribellarsi contro i loro creatori, ovvero noi, gli esseri umani, per portare all’altrettanto classica decimazione del genere umano nel giro di pochi anni.
le fasi finali di horizon zero dawn mi hanno messo addosso una tristezza infinita, al punto da sentirmi io stesso artefice di atroci decisioni contro il genere umano…
Non vorrei tediarvi nel raccontare tutto il background narrativo di Horizon Zero Dawn, in primis per non rovinare la “sorpresa” a chi ancora non ha saggiato la prima epica avventura di Aloy. Vi basti sapere che tutta la verità sulla presenza di queste macchine robot e di come gli esseri umani siano tornati a popolare il pianeta Terra dopo più di mille anni si verrà a sapere, come prevedibile, verso le fasi finali, grazie ai diversi diari che troveremo in giro per la mappa con cui ricostruire la cronaca degli ultimi anni di vita dell’uomo sulla Terra, almeno come specie dominante.
Ebbene, c’è un concetto che permea l’opera e che viene evocato più volte proprio nelle fasi conclusive, ovvero quello della memoria, dunque la possibilità – e in alcuni casi, necessità – di tramandare alle generazioni future il sapere del passato per evitare di incorrere nuovamente negli stessi errori.
Ma come sappiamo, errare è umano, e le macchine senzienti presenti in qualunque storia di fantascienza hanno sempre sottolineato la fallibilità del proprio creatore, fatto di carne, nervi e nulla più. Una volta compiuto un errore questo si ripeterà all’infinito, perché l’essere umano è un cane bastonato che ha bisogno di un’ulteriore cicatrice sulla sua pelle per comprendere il dolore e la gravità dei suoi errori, e poi ripeterli…Gli umani di Horizon Zero Dawn non hanno memoria di chi li ha preceduti, complice la “nostra generazione” che ha preferito bruciare e cancellare ogni segno della sua presenza, progresso o pensiero. Il perché di questo editoriale è presto detto: proprio durante la scoperta dei cavilli narrativi del passato, mi ha assalito un senso di tristezza che non sono riuscito a togliermi neanche alla fine dei titoli di coda. In qualche modo mi sono sentito colpevole per la realtà del mondo in cui vive Aloy, quasi fossi una di quelle persone che, nel background del gioco, hanno deciso come il genere umano avrebbe vissuto le sue ultime ore, sperando nella rinascita del futuro, decidendo addirittura di annientare ogni traccia del proprio passaggio su questo sasso spaziale.
Annientare ogni tipo di ricordo, azzerare la memoria, una derivazione simile a quella della morte, come chi teme di essere scordato negli anni successivi la propria dipartita. Se è vero che il modo per ottenere l’immortalità per gli esseri umani è attraverso la procreazione, Horizon Zero Dawn mette in scena una realtà durissima che, alle solite critiche sociali facilmente individuabili anche nel nostro quotidiano, aggiunge una fine tristissima per la nostra prima era, quasi fossimo il peccato originale dei problemi e relative avventure che vivono Aloy e i suoi compagni.
Mentre sono qui in attesa di giocare il secondo capitolo, ecco che sulla pelle ritorna quella sinistra sensazione, quasi un disgusto, di qualcosa di rotto, abbandonato nel tempo a cui le generazioni umane, quelle fino a poco più in là dellanostra, hanno dato un contributo solenne per sancirne il totale fallimento.
Ancora una volta, in aiuto arriva la memoria, quella che deve essere tramandata ancora e ancora. Tutto questo minestrone multigusto di emozioni, veicolato da un videogioco. Più che l’ennesimo canto dei pregi di Horizon, questa è stata una chiosa, una parentesi del tutto personale che volevo condividere con voi e, magari, mettervi la pulce nell’orecchio per fermarvi a ragionare su questo piccolo feticcio.