E comunque a me il doppiaggio italiano piace

Lo so, lo so, è un argomento ciclico. Ne aveva parlato qualche tempo fa anche Gabriele, a dire il vero; il suo discorso voleva essere una riflessione che, partendo da una diatriba a proposito di Starfield, rifletteva sul perché alcuni di noi si aspettano che i giochi parlino la loro stessa lingua e su come esista anche chi ha l’opinione esattamente opposta, cioè chi non può proprio sentire personaggi videoludici parlare la lingua di Dante. Però non è di questo che voglio parlare: voglio dirvi che a me il doppiaggio in italiano piace (sì, c’è scritto pure lì sopra, prendetevela con l’algoritmo di Google).

doppiaggio italiano

Così a mente, il primo gioco doppiato in italiano a cui ricordo di aver mai giocato è stato… Jak II, credo: nel secondo capitolo (ma anche nel primo, a cui però giocai per ultimo: ah, i tempi in cui il mercato digitale era ancora cosa ignota ai più) della storia del dinamico duo creato da Naughty Dog, i personaggi parlavano in lingua italiana. E per il me quattordicenne le voci di Claudio Moneta e di Daniele Demma furono compagne di tanti pomeriggi, passati a lottare per le vie della città contro le Teste di Metallo e le Guardie Kremizi del Barone Praxis. Non so se sarebbe stata la stessa cosa giocarci in lingua inglese, così come non so se, qualche anno più tardi, giocare a WarCraft III in lingua inglese avrebbe avuto lo stesso effetto: per me, ancora oggi, la voce di Arthas Menethil è quella di… Claudio Moneta. Vabbè, oh, se uno è bravo non è che gliene si possa fare un torto, dai.

PARLA COME MANGI

L’argomento più comune, e assolutamente non privo di legittimità, a sfavore del doppiaggio italiano ha solitamente a che fare con la maggiore accuratezza della lingua originale: accenti e modi di dire originali vengono persi, o necessariamente alterati, con la trasposizione in un’altra lingua. Un argomento che ritengo trovi una buona giustificazione nei casi in cui l’ambientazione corrisponda a quella angloamericana, specie quando pone l’accento sulla località e sulla diversità dell’origine dei personaggi coinvolti; l’esempio più banale è la serie Grand Theft Auto. Anche qui, però, trovo che ci siano da fare dei distinguo. Nel suo pezzo (giuro che non ce l’ho con lui, però mi è comodo come trampolino), Gabriele diceva che non riuscirebbe mai ad immaginarsi un Red Dead Redemption 2 doppiato in italiano, proprio per quanto ho detto sopra: è un gioco profondamente inserito nel background culturale americano, e ridoppiarlo significherebbe necessariamente perderne più di qualche frammento. Però non ho potuto fare a meno di ripensare a tutti gli spaghetti western che ho visto da piccolo e da meno piccolo, tutti quei film magari poveri di budget ma ricchi di cuore prodotti nell’Italia degli anni ‘60/’70, e a quanto le voci di quei polverosi personaggi avranno sempre un posticino nei miei ricordi. Insomma, se siamo tutti d’accordo che il doppiaggio originale è unico, possiamo però concedere che un Red Dead Redemption 2 ridoppiato da (ipotesi irrealizzabile per l’inesorabile scorrere del tempo, ma lasciatemi sognare) Enrico Maria Salerno, Nando Gazzolo, Emilio Cigoli, Carlo Romano e Rita Savagnone sarebbe stato una figata indescrivibile?

“Fate molto male a ridere. Al mio mulo non piace la gente che ride: ha subito l’impressione che si rida di lui.”

Perché, alla fine, è tutta una questione di cosa perdi per cosa trovi. Sì, è vero ed è inevitabile che con il doppiaggio un po’ di accuratezza si perda; molta poca se è fatto bene, di più se è fatto male. Però qualcosa si guadagna, e per me quello che si guadagna è la naturalezza e l’immersività del parlato. Specifico che le mie osservazioni non derivano da antipatia verso la lingua inglese, né tantomeno da particolari problemi di comprensione; al contrario, è una lingua che mi trovo ad utilizzare di frequente, sia passivamente (leggendo o ascoltando) che attivamente (scrivendo o parlando).

quando si viene in contatto con una lingua straniera c’è sempre un passaggio in più da fare

Ma quando si viene in contatto con una lingua straniera c’è sempre un passaggio in più da fare. Per carità, per quello che riguarda l’idioma d’Albione per me ormai questo meccanismo è quasi automatico, ma è inevitabile che salti fuori quella parola o quella costruzione di una frase un po’ particolare che ti obbliga a pensare “aspetta, cosa ho appena sentito?”. Vi faccio un esempio: l’altro giorno stavo guardando Our Man in Italy e a un certo punto James May descrive un castello in rovina che sta visitando come “tatty”. Parola che, a dispetto della mia familiarità con la lingua inglese, non avevo mai sentito e che, insopportabile tarlo cerebrale, mi ha obbligato a fermare la visualizzazione per cercarne la traduzione (significa “trasandato, malconcio”, per la cronaca). Tra l’altro nella terza puntata James May si incontra per una serie di simpaticissime scenette con il suo doppiatore italiano, Stefano Albertini, che giusto per restare in tema oltre a prestare la sua voce al britannico turista ha anche un sacco di crediti videoludici (il Pastore Jerome in Far Cry 5 e Galio e Lucian in League of Legends, per citarne due).

MERITI E CREDITI

Quando si parla di doppiaggio italiano, un altro argomento frequente, questa volta a favore, è quello che noi avremmo la migliore scuola al mondo. Ora, io non so se è vero (chi ha fatto la classifica?), e onestamente mi sembra un po’ la classica situazione in cui si chiede all’oste se è buono il vino, ma resta il fatto che, personalmente, il rapporto che ho avuto con la lingua parlata italiana nei videogiochi in tempi recenti è stato molto buono; insomma, diciamo che siamo ben lontani dai tempi di King’s Field 4, o degli scivoloni di Half-Life 2. Per motivi puramente di mercato, l’italiano non è certo una delle lingue più fortunate nel campo videoludico, non solo nel parlato ma anche nello scritto (pensate a quanti giochi di ruolo includono i testi in italiano, per dire); ma questo non significa che, quando c’è, la qualità del doppiaggio ne abbia risentito. Più sopra ho nominato League of Legends, e credo che il MOBA di Riot Games (che vi giuro non mi sta pagando eh) sia uno degli esempi migliori del fatto che il parlato in italiano non ha nulla da invidiare a quello inglese, e come esempio vi rimando alle voci di Udyr, Fiddelsticks, e Senna; menzione onorevole per Jhin, che quando selezionato dice “Cadranno come / d’autunno / dagli alberi / le foglie”. Ma non è certo l’unico caso: ho da poco rigiocato a BioShock Infinite e penso che Paolo de Santis e Loretta di Pisa non abbiano nulla da invidiare a Troy Baker e Courtnee Draper.

In conclusione, non penso ci sia nulla di male nel preferire il doppiaggio originale. Ma invito chi lo predilige a non dare per scontato, come spesso vedo fare, che le performance degli attori nostrani siano di qualità inferiore: non so se la nostra è la scuola di doppiaggio migliore del mondo, ma di sicuro se la cava bene. Datele una possibilità, ogni tanto.


Nota: per una sfortuna coincidenza, durante la stesura di questo articolo è scomparso Carlo Bonomi, voce storica del doppiaggio italiano che ricoprì anche vari ruoli in Broken Sword e Broken Sword 2. È anche famoso per essere stato la voce originale di Pingu.

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