Ma quanto mi piace la pixel art

Siamo nel 2022, l’Unreal Engine 5 si è da poco reso disponibile al mondo intero e non più solo a pochi eletti e già iniziano a girare demo tecniche che sfondano i confini di quello che finora consideravamo “graficone”. Però io continuo ad andare matto per i giochi in pixel art.

pixel art

Proprio in questi giorni sto giocando alla versione PC di God of War, e non posso fare a meno di rimanere deliziato da tanti piccoli dettagli del gioco di Sony Santa Monica – giusto per dire una, la naturalezza e la fluidità con cui l’ascia del Leviatano torna in mano a Kratos – tanto più se penso che originariamente questo gioco è uscito su una PS4, cioè su hardware risalente al 2013. Un lavoro decisamente impressionante, ma se c’è uno stile grafico che riesce a catturare immediatamente la mia attenzione non è quello caratterizzato da conte poligonali elevatissime, anzi: io sono più contento se si riescono a contare i pixel.

PIXEL ART CHE PASSIONE

Il perché mi piaccia così tanto la pixel art non lo so. Non è nostalgia; anzi – e questa probabilmente è un’eresia, nella redazione in cui scrivo – la mia cultura videoludica per quanto riguarda ciò che è uscito prima dell’era PS2 è limitata a pochi titoli provati con mano. Non è nemmeno rifiuto della modernità; anzi, come ho accennato nell’introduzione i giochi con la grafica bella muscolosa non mi dispiacciono affatto. Però per me i giochi in pixel art hanno quel qualcosa in più. Quel fascino misterioso. Quella sensazione di trovarti davanti qualcosa di più personale, più artigianale. Avvii un gioco come Astalon: Tears of the Earth, consigliatomi da Stefano Calzati che sull’argomento giochi 2D moderni è un vero guru (pensate che fra qualche giorno andrà pure a parlarne in quel di Bolzano) e ti ritrovi subito catturato da quelle figurine lì dei tre protagonisti, in bassa definizione, una qualche dozzina di pixel in tutto, ma a volte basta quello a dare personalità. Aiuta, naturalmente, che il gioco in questione sia una bella bombetta, così come una bella bombetta è anche Prodeus. Lo sparatutto di Bounding Box non è naturalmente bidimensionale, e d’altronde non potrebbe essere altrimenti visto che il suo neanche troppo segreto padre ispiratore è DOOM, ma i pixel ci sono, si contano tutti e accidenti, quanto è bello vederli animati così bene, pochi frame magari ma tutti importanti. Stesso discorso che vale anche per un altro sparatutto, Cultic, uscito proprio pochi giorni fa e anch’esso inno agli FPS degli anni ‘90; tridimensionale anche questo, ma qui c’è uno slancio in più verso la bidimensionalità: salite più in alto rispetto ai vostri nemici e farete fatica a centrarli visto che sono sottili come un foglio di carta.

Dal 3D saltiamo poi all’isometrico, con quel capolavoro che è Hyper Light Drifter (niente più pixel nel seguito, purtroppo!) o ancora con uno dei miei giochi preferiti degli ultimi anni, cioè il germanico CrossCode. Pixel art bellissima condita da animazioni spettacolari (a scapito della chiarezza a schermo forse, ma che goduria vedere tutte le esplosioni elementali!) e da una storia che parte un po’ terra terra ma che ben presto ti lascia il segno. E all’orizzonte, sempre nel campo isometrico, c’è quel Sea of Stars che non può fare a meno di far venire l’acquolina in bocca ogni volta che lo si vede apparire, che siano trailer o semplici screenshot, e per fortuna che il 2023 non è più così tanto lontano. Torniamo al 2D ma restiamo sempre nell’ambito di Sabotage Studio, perché i creatori di Sea of Stars sono anche gli artefici di The Messenger, un particolare platform che a un certo punto esce dal bozzolo e diventa metroidvania, e del quale, se personalmente mi ha fatto rosicare un po’ tanto (che odio il ghiaccio che ti fa scivolare nelle sequenze platform!!), non si può certo negare la qualità. Dici platform 2D e pixel art e non puoi fare a meno di parlare di Celeste, altro gioco spettacolare non solo visivamente, ma insomma di Celeste e di quanto sia grande il gioco di Maddy Thorson si è già parlato e straparlato (e a ragione).

Parlare di metroidvania, soulslike e simili è quasi scontato: facciamo giusto qualche nome, fra Blasphemous, Moonscars, Axiom Verge, Unsighted, Dark Devotion, Iconoclasts, Momodora, Dandara, tutti giochi che, chi più chi meno, meritano la vostra attenzione, e non solo per il loro aspetto estetico. Forse altrettanto scontato è parlare dei roguelike, altro genere che con la pixel art ci va a nozze: pensiamo ovviamente a Dead Cells (già grande quand’era uscito, e da allora Motion Twin ha continuato a lavorarci con caterve di DLC e aggiornamenti gratuiti, incredibile) ma anche Loop Hero, Spelunky, Wizard of Legend, Teleglitch, Neon Abyss e Risk of Rain; il seguito di quest’ultimo, oltretutto, non è riuscito a prendermi altrettanto e non potrò fare mai a meno di convincermi che la transizione della pixel art a scenari 3D abbia fatto tutta la differenza del mondo.

E poi ci sono quei giochi che fanno o hanno fatto un po’ genere a sé, cose come Terraria (che ha ricevuto un altro aggiornamento di recente, a undici anni e mezzo dalla sua pubblicazione), come Hotline Miami, come Monster Sanctuary, come Katana ZERO, come Unpacking, come Papers, Please. Tutti diversi, tutti accomunati da pixel che, se uno si mettesse lì con la dovuta pazienza, riuscirebbe a contarli. Qualcuno, forse, potrà pensare che tutta questa diffusione della pixel art fra gli sviluppatori indie sia anche sinonimo di una certa pigrizia creativa, che tutti questi sviluppatori scelgano la pixel art perché è (relativamente) economica da produrre e perché vende. Chissà, forse in parte è vero. Ma a me va benissimo così.

Articolo precedente
dead space remake trailer lancio

Dead Space – Anteprima del Remake

Articolo successivo
GRIMGRIMOIRE ONCEMORE nis america

La nuova line-up di NIS America – Speciale

Condividi con gli amici










Inviare

Password dimenticata