Per un certo periodo della mia vita ho coltivato un’interessante teoria, ovvero la certezza di non poter mai sperimentare di persona il viaggio nel tempo. Sono stato così in fissa con l’idea che, qualora venisse scoperto un modo per emulare Marty McFly, so che avrei già ricevuto la visita del mio alter ego futuro, felice come una Pasqua nell’annunciarmi che la cosa si può fare, portando nel frattempo come souvenir un buon numero di almanacchi sportivi. Tutto questo fino all’autunno del 1997, quando sono riuscito in effetti a viaggiare nel passato, per giunta senza salire su una DeLorean. Anzi, a ben vedere mi è bastata una misera Y10. Ricordo tutto perfettamente, come se avessi ancora davanti la scena: sono all’università, a pranzo assieme ad amici, e il mio cellulare, pesante come un baracchino, squilla.
Nell’autunno del 1997 sono effettivamente riuscito a viaggiare nel tempo
Il MAME, oggi come ieri, è un fenomenale strumento didattico, volto alla conservazione, preservazione e documentazione di un’importante settore della nostra cultura popolare
Non solo per noi che abbiamo vissuto di persona quegli anni, ma anche per le generazioni future, nel momento in cui schede e cabinati originali cesseranno inevitabilmente di esistere. Da qui nascono spunti di ricerca in passato assolutamente impensabili: sapevate che Tad Corporation viene fondata nel 1988 da ex programmatori Data East? No? In realtà un simile dettaglio spiega l’idea dietro a Cabal, il loro titolo di debutto: nel 1985 la casa di Karate Champ pubblica Shoot Out, un tiro a segno a schermo singolo con un’ambientazione a base di gangster che presenta già buona parte dei tratti distintivi che definiranno i cosiddetti sparatutto “à la Cabal” come Wild Guns o Nam 1975. Senza MAME col cavolo che avrei potuto scoprire Shoot Out: a Ortona, se va bene, abbiamo le strade, e i videogiochi nei bar arrivavano col contagocce. Anche senza avere il piglio da archeologo digitale, però, è facile comprendere il valore informativo del MAME, persino in un’ottica occidentale. In Giappone, Joseph Redon (un francese classe ’76) gestisce la cosiddetta Game Hozon Koukai, o Società per la Preservazione dei Videogiochi che dir si voglia. Un gruppo dedito alla conservazione del software ludico nipponico realizzato per home computer e console, altrimenti destinato a sparire o rimanere sconosciuto. Avete presente la versione per PC Engine di Cocoron, bizzarro gioco di piattaforme creato da Akira Kitamura (il “vero” padre di Mega Man) inizialmente pubblicato per Famicom? Se la risposta è no, non avete nulla di cui vergognarvi, dato che non ha mai raggiunto gli scaffali dei negozi, apparendo sotto forma di anteprima esclusivamente sulle riviste di settore giapponese. Solo che i ragazzi di Game Hozon Koukai ne hanno una copia! Associazioni simili, in grado di coprire un inventario tanto sfaccettato e corposo, sono pura utopia nel resto del mondo, ma, seppur con le ovvie limitazioni, il MAME permette a tutti di avere un vero e proprio tesoro di informazioni sul nostro disco fisso tra ROM, flyer (gli opuscoli pubblicitari, ovvero le prime vittime della sciatteria dei distributori) e tanto altro, conservando un archivio comprendente giochi arcade anche rarissimi (e in certi casi addirittura mai pubblicati, vedi ad esempio Chimera Beast di Jaleco) pronto per essere studiato, consegnato ai posteri e, perché no, giocato.
Ecco, forse Nicola Salmoria ha sottovalutato questo aspetto, scrivendo che il lato ludico in un progetto dal forte carattere documentativo sarebbe stato un piacevole effetto collaterale. Il MAME ha infiammato lo spirito sopito di quella generazione che spingeva lo sgabello per vedere lo schermo di Space Invaders, decifrando quel monotono “thump thump” in un’oppressiva marcia di guerra aliena. In questi vent’anni, grazie a uomini come Nicola, Angelo Salese o Aaron Giles, abbiamo viaggiato nel tempo un’infinità di volte rigiocando coin-op della nostra giovinezza e, perché no, riscoprendo quelli che ci siamo persi perché il gestore tirchio non voleva farli arrivare in sala giochi nonostante sembrassero fichissimi sulle pagine di The Games Machine, quando aveva ancora una rubrica dedicata agli arcade.
Il MAME ha infiammato lo spirito sopito di quella generazione che spingeva lo sgabello per vedere lo schermo di Space Invaders
Comunque ben scritto! :)
Il MAME è davvero una macchina del tempo...