Il grande ritorno delle avventure grafiche

Syberia 3 teaser trailer

In realtà, parlare di ritorno è forse fuorviante, visto che l’universo delle avventure grafiche non ha mai subito grandi battute di arresto, grazie anche all’esplosione negli ultimi anni della scena indie, laddove stazionano porcherie inenarrabili ma anche piccole perle inestimabili. È indubbio, però, che negli ultimi mesi si stia vivendo l’ennesima giovinezza di un genere che proprio non ne vuole sapere – vivaddio! – di cedere il passo alla vecchiaia. Anche solo gettando uno sguardo alla nostra pagina raccoglitore delle recensioni, è facile accorgersi come il mercato, sul finire del 2016, abbia accolto splendide incarnazioni come Silence e Yesterday Origins, senza contare le produzioni spalmate su più episodi, come King’s Quest e The Descendant (e ometto dal novero tutta la famiglia di Telltale, invero più prossima alla graphic novel interattiva che al concetto di avventura grafica vera e propria). Il 2017 – ho il sospetto – non sarà da meno, visto l’interesse che suscita in voi, attenti lettori, ogni notizia in merito a Syberia 3, in uscita il prossimo aprile, come recentemente annunciato dallo sviluppatore, senza contare che, dopo aver letto le impressioni di Claudio che lo ha provato (qui l’anteprima, se volete), siamo in fervente attesa anche di Thimbleweed Park di quel mattacchione sbroccato che risponde al nome di Ron Gilbert.

Devo ammettere che qualche anno fa, in una delle tante chiacchiere redazionali, avevo prematuramente bollato il genere come “walking dead”: seppur le avventure grafiche mi piacciano molto (con alcune che sostano tristemente nel mio backlog, in attesa di essere spolpate a dovere), avevo la convinzione che i giocatori che avevano vissuto l’epoca d’oro del genere stessero diventando troppo presi dalle fatiche della vita per dedicarsi a titoli che richiedono un elevato grado di attenzione, e che le nuove generazioni avrebbero invece focalizzato lo sguardo solo al pew pew online, ai GTAlike e alla larga cerchia di videogiochi bimbominkia-proof (che vanno benissimo eh, per carità), ché accendere il cervello per più di due minuti sullo stesso enigma costa una fatica fuori tempo massimo per chi ha meno di 20 anni. Il fatto di essere stato smentito non può farmi che piacere, ma al contempo accende in me una domanda alla quale non so dare risposta, ergo la giro a voi.

Silence immagine PC PS4 Xbox One 10

Qualche anno fa, in una delle tante chiacchiere redazionali, avevo prematuramente bollato il genere come “walking dead”

Cos’è che rende quello delle avventure grafiche un genere di nicchia e, al contempo, capace di abbracciare trasversalmente generazioni e tipologie di videogiocatori? Di base, mi pare ci sia una contraddizione in termini, ma non riesco a vedere dove stia l’errore del mio ragionamento. Perché se prendiamo per buono il fatto che le avventure grafiche sono “senza tempo e senza età”, bisogna fare i conti con vendite che dovrebbero attestarsi a ridosso dei blockbuster per le produzioni più note, quando invece un Life is Strange a caso, nella sua versione scatolata e localizzata in varie lingue, non è andato oltre alle 620mila copie stimate da VGChartz (che non è la Bibbia, ma comunque un’idea la dà). Al netto del fatto ovvio che produrre un gioco come il già citato Silence non costa quanto un Titanfall o un FIFA, e che quindi basta un numero inferiore di copie vendute per andare in positivo e giustificare l’investimento, mi pare di poter comunque dire che gli incassi – stimati, per carità – delle avventure grafiche più celebri degli ultimi tempi siano di molto inferiore all’interesse suscitato. Che sia un genere del quale, rispetto agli altri, si ciarli molto più di quanto effettivamente si giochi? Oppure la spiegazione è un’altra? Ditemelo voi, ché io sto diventando vecchio e da solo non ci arrivo.

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