Firewatch - Recensione

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Firewatch mi ha stupito, spiazzato, per alcuni istanti anche deluso, eppure nel complesso, come dicevo qualche giorno fa nell’editoriale mattutino, mi ha lasciato senza fiato. Le parole mi sono mancate perché il titolo di Campo Santo è un continuo valzer di pieni e di vuoti e alla fine, almeno nel mio caso, è il vuoto ad aver prevalso: il motivo è che nelle ore passate per i boschi del Wyoming e alla ricetrasmittente con Delilah si mettono in discussione tante, troppe cose che possono far male, evocare timori e in più di un momento vanno a compromettere la comfort zone di chi se ne sta placidamente al monitor a giocare.

RACCONTO DI UN’ESTATE

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Se dovessi descrivere Firewatch in relazione ad altre opere, direi si tratti di un’esperienza interattiva in prima persona decisamente story driven che si pone al crocevia tra Sunset, Gone Home e The Long Dark e che ha remote affinità con film come “La conversazione” di Francis Ford Coppola e “Le vite degli altri” di Florian Henckel von Donnersmarck. Insomma, il titolo di esordio di Campo Santo è davvero particolare e rappresenta in maniera davvero peculiare uno spaccato della vita di Henry, uomo comune, con il peso di una vita difficile sulle spalle.

Firewatch è un’esperienza interattiva che si pone al crocevia tra Sunset, Gone Home e The Long Dark

D’altronde, per accettare un lavoro come guardia forestale nel cuore del Wyoming vuol dire che hai bisogno di stare solo, o di fuggire da qualcosa di opprimente. Lo sa anche Delilah, collega e capo del protagonista, seduta nella sua torre di controllo, nella zona opposta a quella di Henry. I due converseranno per tutta l’estate, facendosi compagnia a distanza, lavorando insieme, imparando a conoscersi. La ricetrasmittente di Henry è l’oggetto dell’inventario che useremo di più lungo la manciata di ore che trascorreremo nelle terre selvagge, e le opzioni di dialogo – da scegliere entro un tempo limite – determineranno la tipologia del rapporto con Delilah, e per certi versi anche l’uomo che siamo. Firewatch è essenzialmente il racconto di un’estate passata tra i boschi a lavorare, ma soprattutto a pensare, sospesi tra passato e futuro. L’impostazione à la “survival” è semplicemente un escamotage per una storia decisamente introspettiva, che ha pochi margini per l’azione da guardia forestale, ma che regala tanti momenti di pura e semplice riflessione e contemplazione. D’altronde la scelta di una fotografia così pittorica, dominata da campiture di colore dense e stratificate, è evidente che punti a trasformare il già splendido panorama in un paesaggio dell’anima da esplorare parallelamente a quello fisico.

ESPLORARE IL ROSSO

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È proprio il Wanderung, ovvero quel concetto romantico che glorificava la ricerca errabonda del sublime, che rappresenta, parallelamente alle conversazioni con Delilah, il punto focale del gioco. Firewatch concede alle logiche del videogame moderno solo la presenza di un puntino in evidenza sulla mappa cartacea, esemplificazione di quello che Henry farebbe tenendo conto dei punti di riferimento da prendere a vista nello scenario; per il resto, per capire dove siamo e dove andare, dobbiamo fisicamente controllare la mappa (cosa che ci impedisce di correre) e seguire l’orientamento indicato dall’ago e scoprire il mondo che ci circonda, caratterizzato da bellezze incantevoli, sorprese indesiderate e anfratti inquietanti. Il titolo di Campo Santo è estremamente lento nel suo incedere e non bisogna mai premere sull’acceleratore per non rovinarsi neanche un secondo del confronto tra uomo e natura che mette in scena.

Con l’arrivo dei primi incendi la vicenda di Firewatch cambierà mood, ritmo, rivelando una concitazione e un plot narrativo sorprendente

Giorno dopo giorno le cose cambiano e, mentre la temperatura sale, veniamo a conoscenza di sfumature di rosso di cui non avremmo mai immaginato l’esistenza e in una zona a rischio come quella delle foreste del nord ovest americano rosso non significa soltanto sole basso e tramonti, ma spesso fa più rima con fuoco. Con l’arrivo dei primi incendi la vicenda di Firewatch cambierà mood, ritmo, rivelando una concitazione e un plot narrativo sorprendente. Nel parallelo tra natura e anima che si dipana nel tempo, nei panni di Henry dovremo compiere scelte drastiche per noi e, inevitabilmente, per gli altri. È proprio nello sviscerarsi della trama che Firewatch mostra una scrittura rarefatta ed efficace, che non si perde in artifici per regalarci una vicenda emotiva intensa, fatta di dialoghi serrati, recitati magnificamente da Rich Sommer (Harry Cane di Mad Men) e Cissy Jones (Joyce Price di Life Is Strange), capaci di colmare anche l’assenza di sguardi e comunicazione non verbale. Come nei film che ho citato in apertura, Firewatch è l’elogio del dialogo e della costruzione di aspettative sulla base delle parole, ed è su quello che fa leva tutto l’impianto narrativo del titolo di Campo Santo.

CARTOLINE DAL WYOMING

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Se dal punto di vista della messa in scena Firewatch è un vero e proprio spettacolo, la narrazione per sottrazione che ci fa vivere i giorni più significativi dell’intera estate a tratti mi è stata stretta. È tutto talmente bello che avrei voluto fare qualcosa in più, avrei voluto vivere qualche altro momento della storia di Henry e Delilah. Col senno di poi ho dei rimpianti, e non sono sicuro se siano dovuti alle mie scelte in sé, o al fatto che avrei gradito più tempo “giocabile” a disposizione. Sia chiaro, non mi riferisco alla durata del gioco, che è perfetta rispetto all’offerta contenutistica, dal momento che la sola esplorazione della foresta può portare via comunque un bel po’ di tempo alla ricerca di scorci perfetti da cui ammirare il tramonto o incantevoli soggetti con cui sfruttare la macchina fotografica automatica con rullino da ventiquattro pose che possiamo trovare in giro (e che poi possiamo stampare ordinandole dal sito ufficiale del gioco).

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Il punto è che avrei proprio voluto vivere più cose diverse nei panni di Henry, godermi anche solo un caffè seduto alla sua torre di avvistamento, o qualche episodio anche insignificante in più, o un’azione di lavoro routinaria in più, solo per il gusto di avere un rapporto più fisico con l’intero scenario. Certo, probabilmente per evitare di diluire il racconto, introdurre nuovi elementi avrebbe richiesto un lavoro di caratterizzazione supplementare e uno sforzo non indifferente per la “piccola” Campo Santo, ma è indubbio che terminata l’avventura mi sia sentito soddisfatto sì, ma ancora troppo legato al Wyoming.

L’intento della “piccola” Campo Santo era semplicemente raccontare una storia ad alto tasso emotivo

L’intento di Campo Santo non era tanto quello di creare la simulazione di guardia forestale definitiva, quanto semplicemente raccontare una storia ad alto tasso emotivo, con sequenze di azione e interazione regolate dalle esigenze del racconto più che dalla libertà in sé, che domina solo nei momenti di libera esplorazione. Chi si aspettava un’esperienza più survival probabilmente resterà un attimo deluso, ma ripercorrendo le vicende di Henry e Delilah sono convinto che in realtà siamo davanti a una delle più vivide e struggenti rappresentazione di sopravvivenza mai avute in un videogioco: il punto è che in Firewatch c’è la storia di due reduci della vita, che nell’immensità della foresta nazionale di Shoshone provano a liberarsi di un fardello che solo nella natura incontaminata puoi sperare di trovare spazio per abbandonare.

Firewatch è talmente bello da vedere ed emozionante da giocare che a tratti spiace sia solo un’avventura in prima persona totalmente story driven. Della narrazione di Campo Santo colpisce la capacità di raccontare il dramma di due vite normali rotte dal peso della vita attraverso il connubio di un’ispirazione grafica splendida con una gestione dei dialoghi e di reazione alle scelte davvero convincente. Certo, come al solito a cambiare saranno solo le sfumature di senso, le aspettative e le sensazioni che proveremo guardandoci indietro sfogliando l’album da ventiquattro scatti della nostra estate in Wyoming.

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Pro

  • Wyoming incantevole.
  • Fantastico sistema di dialoghi.
  • Emotivamente impegnativo.

Contro

  • Il gameplay al servizio della narrazione potrebbe lasciare qualcuno insoddisfatto.
8.6

Più che buono

Se serve un tuttofare il buon Mancini è l’uomo da chiamare. La nostra principessa fotografa, usa la videocamera come se fosse un’estensione naturale del corpo e monta video manco fosse in una catena di montaggio. Ah… e scrive anche. Insomma… il classico “bravo guaglione”.

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