Visualizza Versione Completa : Kronos The Magazine - Elogio alla Follia
gnappinox1
19-05-17, 08:26
Quindi in giro abbiamo una sessantenne pluri-omicida :uhm: belle cose!
Mr.Cilindro
19-05-17, 08:34
11+12 = 23 anni
ha ucciso due bambini, si è fatta 12 anni di ospedale psichiatrico (che comunque l'o.p.g. è una galera, se non peggio) e a casa a 23 anni.
Kronos The Mad
19-05-17, 08:44
Adesso rimorchierà nelle discoteche londinesi
ma per caso il film Split di Mr Shmylian o come si scrive è ispirato a questo caso? l'ho appena escargato e leggendo il riassunto ci sono similitudini
A me ricorda soprattutto Identity
11+12 = 23 anni
ha ucciso due bambini, si è fatta 12 anni di ospedale psichiatrico (che comunque l'o.p.g. è una galera, se non peggio) e a casa a 23 anni.
Probabilmente le avranno fritto il cervello con l'elettroshock
Sharkar Lucas ha anche parlato della sua difficoltà ad avere rapporti con le donne vive.
che strano è? :rotfl:
Dopo l’intervista, l’uomo è stato licenziato e la polizia ha cercato di arrestarlo. Purtroppo però non è stata in grado di trovarlo e tuttora non si sa dove sia scappato.
hanno provato a guardare nella cella frigorifera che doveva essere vuota?
Kronos The Mad
08-06-17, 22:09
Mi hanno mangiato il figlio in carcere
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A fare questa terribile dichiarazione è Juan Carlos Herrera. L’uomo, venezuelano, sostiene che suo figlio di 25 anni sia stato ucciso e mangiato dai detenuti con i quali stava scontando una pena in una prigione venezuelana.
Il signor Herrera ha fatto questa dichiarazione ai giornalisti della Fox News dopo essere andato a trovare il figlio in prigione senza però trovarlo. L’uomo non visitava il carcere da molte settimane a causa di una sommossa durata circa un mese.
L’uomo racconta che è stato uno dei detenuti a raccontargli la triste fine che avrebbe fatto suo figlio.
Secondo il racconto di questo testimone il figlio del signor Herrera sarebbe stato pugnalato insieme ad altri due detenuti. Successivamente le tre vittime sarebbero state impiccate per permettere il dissanguamento, squartate e mangiate.
Questa dichiarazione è emersa a pochi giorni dalle shoccanti relazioni che hanno portato alla luce la scarsità di cibo nelle prigioni venezuelane. A causa di una crisi nel Paese, i detenuti starebbero letteralmente morendo di fame.
Sempre stando alla ricostruzione del testimone, l’autore degli omicidi, con l’aiuto di altri 40 detenuti, sarebbe stato Dorancel “il cannibale” Vargas, che si trova in carcere dal 1999 proprio con l’accusa di cannibalismo.
Ora il signor Herrera è disperato non solo per la perdita del figlio, ma anche perché non potrà dargli una degna sepoltura.
"Vi prego di restituirmi almeno un osso, così da poterlo seppellire e alleviare un po’ del dolore che provo."
Al momento le autorità venezuelane hanno confermato che il figlio del signor Herrera è scomparso alla fine della rivolta dei carcerati, iniziata l’8 settembre con il sequestro di 8 visitatori e due guardie. Le cause della rivolta sono la sovrappopolazione del carcere e la scarsità di cibo.
Una fonte anonima della polizia ha dichiarato alla Fox News che le asserzioni sono esatte: due prigionieri sono scomparsi.
"Li hanno tagliati e li hanno dati da mangiare agli altri detenuti, poi hanno fatto sparire le ossa. E’ stato Dorancel a tagliare i corpi."
Tuttavia il Ministro del Servizio Penitenziario, Iris Varela, ha negato che i due detenuti scomparsi siano stati mangiati, dichiarando che queste falsità possono essere facilmente smentite.
Proprio questa settimana era emerso un video proveniente dalla prigione di San Juan de los Moros, in Venezuela, che mostra prigionieri emaciati che lottano per sopravvivere.
Il Venezuela sta attraversando una grave crisi economica che ha portato alla scarsa reperibilità di bene di prima necessità come disinfettanti e medicine chemioterapiche, portando seri problemi al sistema sanitario e lasciando 30 milioni di persone a lottare per avere un’attenzione medica di base.
emadion
Kronos The Mad
08-06-17, 22:15
Violentata, uccisa e cucinata
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Orrore in Russia, dove sono stati resi noti i dettagli di uno degli omicidi più efferati degli ultimi anni.
Siberiana, 31 anni, vittima di due cannibali. Nadezhda Avakumova, connazionale dei suoi assassini, é morta nel 2014 in circostanze talmente drammatiche da richiedere del fegato anche solo per leggerne la fine.
Invitata in una sauna dai due uomini, l'eccessiva quantità di alcol la porta a uno stato confusionale tale, secondo la ricostruzione, da non permetterle di rendersi conto di quanto sta accadendo. Inizia così una lunga serie di sevizie che sfociano in un violento stupro a ripetizione. La donna riprende i sensi, si rende conto dell'accaduto e minaccia una denuncia alla polizia.
Immediata la reazione degli aguzzini. Scatta la repentina fase omicidiaria: diverse coltellate uccidono Nadezhda, numerosi colpi dritti alla gola che la finiscono nel giro di pochi minuti.
"Cadavere fatto a pezzi e cucinato"
Non è bastato l'omicidio. I due uomini decidono di rendere quel crimine, se possibile, ancora più crudele. La ricostruzione è possibile grazie alla testimonianza di chi ha potuto vedere alcuni resti della donna.
Dopo averla uccisa, entrambi sezionano il cadavere per poi cucinarne i pezzi e servirli durante una cena tra amici. Sarà proprio la dichiarazione di uno di questi alle autorità a confermare la macabra dinamica: una gamba di Nadezhda presentata ai commensali, tra le sadiche risate dei due assassini, sarà la prova schiacciante dell'atto di cannibalismo che aggrava pesantemente la loro posizione davanti alla legge.
Kirill Nemykin e Sergey Metlyayev hanno confessato l'omicidio in occasione di quella festa.
Non sono ancora emerse eventuali complicità, sia per la parte relativa all'azione delittuosa sia per quanto riguarda l'atto cannibale.
Un delitto che assume tratti da film horror.
Oggi, durante la lettura della sentenza a 12 anni di carcere, i due si sono mostrati indifferenti.
Blastingnews
Kronos The Mad
08-06-17, 22:33
Le affascinanti teste rimpicciolite
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Chiuse nelle teche del museo, impassibili dietro al loro vetro, le teste attirano l’ennesimo gruppo di visitatori.
Vengono rimirate, scrutate, indagate in ogni minimo dettaglio da una selva di occhi spalancati. I bambini sono in prima fila, come sempre, il naso schiacciato contro il cristallo, con i loro piccoli volti sospesi a metà fra la smorfia di disgusto e un’espressione di eccitato stupore.
Per gli adulti la meraviglia è, come spesso accade, offuscata dal giudizio o, talvolta, dal pregiudizio. “Bisogna capire che per questi indigeni si trattava di una pratica sacra”, dice un signore bonario, desideroso di dimostrare le sue larghe vedute culturali. “È pur sempre una cosa orribile”, ribatte sua moglie, un po’ schifata.
Questa scena si ripete ogni giorno, per le teste dentro la vetrina.
E pochi dei visitatori si rendono conto che non stanno affatto guardando dei reperti di un’antica e lontana cultura. Stanno ammirando una fantasia, ovvero l’idea di quella cultura che gli uomini occidentali hanno creato e costruito.
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I due tipi principali di teste conservati nelle sezioni antropologiche dei musei di tutto il mondo sono le tsantsa e i mokomokai.
Le tsantsa più celebri sono quelle provenienti dal Sud America e create dai popoli Jivaros; fra queste tribù, le più prolifiche nella fabbricazione di simili trofei furono senza dubbio quelle dei Shuar e degli Achuar, stanziati fra Ecuador e Perù.
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Le tecnica Shuar per rimpicciolire le teste era complessa: si incideva la nuca fino alla cima del cranio; una volta completamente spellato, facendo attenzione a mantenere i capelli intatti, il teschio veniva gettato via. La pelle veniva in seguito sottoposta a processi di bollitura. I rimasugli di parti molli andavano eliminati facendo rotolare dei sassi arroventati all’interno della cute, la quale era poi ulteriormente raschiata con la sabbia, abbrustolita su pietre piatte e via dicendo. Si trattava di un procedimento delicato e meticoloso, al termine del quale la testa si riduceva a circa un quarto delle dimensioni originali.
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Qual era lo scopo di tanto impegno?
Le tsantsa facevano parte di solenni cerimonie che duravano anni, e servivano a catturare lo straordinario potere dell’anima della vittima. Non si trattava in realtà di trofei di guerra, nonostante quello che talvolta si legge al riguardo, perché Shuar e Achuar di norma vivevano pacificamente: gli occasionali raid organizzati dalle varie tribù per cacciare le*tsantsa*erano una forma di violenza socialmente accettata, poiché in essa non vi era altra necessità se non quella di procurarsi questi potentissimi oggetti.
Grandi feste accoglievano i cacciatori di teste al loro rientro, e le celebrazioni erano le più importanti dell’anno. Il potere insito nelle tsantsa veniva trasferito alle donne della tribù, assicurando cibo e prosperità per le famiglie. Dopo sette anni di rituali, le teste rimpicciolite perdevano la loro forza. Per gli Shuar, dunque, la tsantsa non aveva più alcun valore: c’era chi le teneva per ricordo, ma anche chi se ne liberava tranquillamente. Non era, insomma, l’oggetto materiale in sé il fulcro dell’interesse, ma il suo potere spirituale.
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Diverso era il discorso per i commercianti occidentali. Per loro, una testa rimpicciolita riassumeva in maniera sublime l’idea della “cultura selvaggia”. Queste popolazioni indigene, nell’immaginario collettivo ottocentesco, erano ancora dipinte come brutali e animalesche: si voleva pensarle “fuori dal tempo”, come se si fossero fermate a una fase preistorica senza mai più conoscere evoluzioni o trasformazioni sociali.
Dunque, quale oggetto poteva essere più chiaro simbolo della barbarie di queste tribù, di un souvenir macabro e grottesco come le tsantsa?
Se all’inizio degli stanziamenti europei nella regione delle Ande e del bacino del Rio delle Amazzoni i coloni avevano commerciato con gli indigeni generi di ogni tipo, col passare del tempo essi divennero sempre più autonomi. Non avendo più bisogno della carne di maiale o di cervo che i Shuar avevano fino ad allora barattato con vestiti, coltelli e pistole, i coloni cominciarono a richiedere unicamente due cose in cambio delle preziose armi da fuoco: la forza lavoro degli indio, e le loro famose teste rimpicciolite.
Ben presto, l’unico modo che uno Shuar aveva per procurarsi un fucile era vendere una testa.
Fu allora che la situazione degenerò, di pari passo con l’esponenziale crescita della fascinazione occidentale per le tsantsa. Le teste rimpicciolite divennero una curiosità indispensabile da possedere, sia per i collezionisti che per i musei. Il bisogno di armi spinse gli Shuar a cacciare teste per motivi non più rituali, ma esclusivamente commerciali, per soddisfare la richiesta degli europei. Una tsantsa per una pistola, questo era il prezzo comune: quell’arma sarebbe stata quindi usata per procurarsi altre teste, barattate poi per nuove armi… il circolo vizioso si concretizzò in una strage, compiuta per adattarsi ai gusti degli stranieri in fatto di esotismo.
Come scrive Frances Larson, “quando i visitatori vengono a vedere le teste rimpicciolite al Pitt Rivers Museum, quello che stanno veramente guardando è la storia della pistola dell’uomo bianco”.
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Le tsantsa persero il loro valore spirituale, che era da sempre stato legato alla circolazione del potere all’interno della tribù, e divennero un espediente per accumulare ricchezza. Ironicamente, proprio i coloni contribuirono a creare quei cacciatori di teste crudeli e senza scrupoli che si erano sempre aspettati di trovare.
Ormai gli Shuar uccidevano indiscriminatamente, e senza alcun supporto rituale, soltanto per procurarsi nuove teste. Cominciarono a fabbricarne di false, utilizzando corpi di donne, di bambini, perfino di occidentali –*sicuri di trovare chi ci sarebbe cascato.
Nella seconda metà dell’Ottocento il commercio delle tsantsa divenne così fiorente che perfino popoli che non avevano nulla a spartire con i Jivaros e le loro tradizioni cominciarono a costruire le loro teste rimpicciolite: in Colombia o a Panama si rubavano i cadaveri non reclamati negli obitori, e si affidavano le loro teste a tassidermisti compiacenti. In altri casi venivano utilizzate teste di scimmia o di bradipo, o pelli di altri animali, per produrre dei falsi convincenti.
Oggi si stima che circa l’80% delle tsantsa ospitate nei musei di tutto il mondo siano in realtà dei falsi.
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La storia dei mokomokai in Nuova Zelanda seguì un copione pressoché identico.
A differenza delle tsantsa, per i Maori queste teste erano a tutti gli effetti dei veri e propri trofei di guerra catturati durante le battaglie inter-tribali. Le teste non venivano rimpicciolite, ma conservate con il teschio ancora all’interno. Se ne estraevano il cervello, gli occhi e la lingua, per sigillare poi le narici e gli orifizi con fibre e gomma; in seguito le si seppellivano con pietre calde in modo che gradualmente si cuocessero al vapore e si essiccassero. I mokomoka erano pensati per essere esposti attorno all’abitazione del capo villaggio.
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Nella seconda metà del Settecento il naturalista Joseph Banks, al seguito di James Cook, fu il primo europeo ad entrare in possesso di una testa simile, dopo aver convinto un anziano del villaggio a separarsene – grazie alla sua eloquenza, e a un moschetto puntato in faccia al vecchio. In tutti i viaggi successivi della compagnia di Cook, gli esploratori videro sì e no un paio di mokomokai, indizio che lascia supporre si trattasse in realtà di oggetti piuttosto rari.
Eppure, dopo soli cinquant’anni, il commercio di teste in Nuova Zelanda aveva raggiunto una tale intensità che molti credevano che i Maori ne sarebbero stati completamente annientati. Anche qui si scambiavano teste per fucili, in una spirale di violenza che mise a serio rischio la popolazione indigena, in particolare durante le Guerre del moschetto.
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Quello che attirava i collezionisti erano gli intricati tā moko (tatuaggi ad incisione) che adornavano i volti dei capi tribù, con le loro eleganti e sinuose spirali. Così, i capi si misero a tatuare gli schiavi prima di decapitarli –*in alcuni casi facendo scegliere all’acquirente occidentale la testa che preferiva, quando lo sfortunato proprietario era ancora in vita; anche le teste già tagliate venivano tatuate, solo per farne lievitare il prezzo. I tā moko, forma d’arte decorativa di antica tradizione, si ritrovarono dunque svuotati di qualsiasi significato relativo al coraggio, all’onore o allo status sociale.
In Nuova Zelanda, perfino gli europei cominciarono ad essere uccisi con lo scopo di tatuare e venderne le teste ai loro stessi ignari connazionali: una truffa non priva di un certo humor nero.
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Il commercio dei mokomokai venne dichiarato fuori legge nel 1831; l’importazione ditsantsa dal Sud America soltanto a partire dal 1940.
E così, di fronte alle teche di manufatti etnici dei musei di mezzo mondo, in quelle teste imbrunite ed esotiche, si contempla oggi non soltanto un antico oggetto rituale, denso di significati e di simboli: possiamo quasi scorgervi il momento in cui quei significati e simboli sono svaniti per sempre.
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Le tsantsa e i mokomokai sono oggetti difficili, controversi, problematici.
Fra i visitatori, non è raro trovare chi si indigna per una pratica indigena che agli occhi odierni sembra crudele; dopo aver letto questo articolo, magari qualcuno dei lettori si indignerà invece di fronte all’ipocrisia ottocentesca, che condannava i barbari cacciatori di teste nell’esatto momento in cui quelle stesse teste desiderava, per metterle in mostra a casa propria.
In un caso o nell’altro, ci si indigna: come se certe fascinazioni non ci sfiorassero nemmeno, come se la nostra intera cultura occidentale non avesse alle spalle una lunghissima tradizione di teste mozzate ed esposte sui pali, sulle mura e nelle piazze.
Ma le decapitazioni non hanno mai smesso di esistere, così come la testa umana non ha mai cessato d’essere un simbolo potentissimo e magnetico, che ci scuote e ci attrae irresistibilmente.
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Bizzarrobazar
Rot Teufel
08-06-17, 23:12
tutto bellissimo :snob:
Venezuela avanguardia del Socialismo.
I detenuti che si mangiano vicendevolmente...
Allabrace, qual è il tuo piatto preferito?
- il bambino alla brace
Kronos The Mad
20-06-17, 18:52
La nebbia killer di Londra
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Il 5 dicembre del 1952 una fitta coltre di nebbia scese su tutta Londra, inizialmente ignorata dai cittadini che erano abituati a vedere il sole pochi giorni l’anno.
Quella densa nebbia durò per 5 giorni, riducendo la visibilità a pochi metri. Il problema principale però fu che sin dalle prime ore causò gravi problemi respiratori a chiunque si attardava per le strade o alla finestra.
Fu subito chiaro che quella nebbia non era di origine naturale ed in fatti prese il nome di “Grande Smog” e portò le autorità a chiudere scuole, cinema e tutti i luoghi pubblici di grande afflusso e a ordinare alla cittadinanza di rinchiudersi in casa ed uscire solo per necessità.
Non c’era nessun mostro nella nebbia, ma quando questa finalmente sollevò lasciò oltre 4.000 morti e oltre 100.000 persone che richiesero il ricovero in ospedale (alcune stime fanno arrivare le morti a 12.000 circa, dovute a complicazioni che perdurarono diversi mesi).
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Ma cosa successe veramente? Beh, fu una somma di fattori a causare la catastrofe, la maggior parte dei quali causate dall’uomo. Il Grande Smog iniziò come nebbia naturale formatasi dal Tamigi, ma arricchita da tutte quelle sostanze inquinanti che oggi si tengono sotto controllo con leggi ferree in gran parte del mondo.
Quelle sostanze, di cui una volta si ignorava l’effettiva pericolosità, reagirono formando composti altamente tossici e aggressivi formando particelle sospese di natura acida che ricoprirono la città e*avvelenarono gran parte della popolazione.
I principali inquinanti di quella nebbia furono i combustibili fossili, che al tempo erano consumati dalla quasi totalità degli abitanti di Londra, e la combustione sviluppò nei giorni precedenti un accumulo di composti chimici tossici come acido solforico, anidride solforosa, monossido di carbonio, solfati e il famoso particolato. Questo è formato da piccole particelle non completamente bruciate che formano poveri sottili che intaccano i polmoni.
In quei giorni ci furono particolari proporzioni dei composti chimici che diedero origine ad una reazione micidiale per gli esseri umani, favorita anche dalla presenza di un altro agente molto pericoloso: il biossido d’azoto, che facilitò la produzione di solfato.
Quello fu il peggior evento di inquinamento atmosferico nella storia europea, con livelli di composti mortali erano elevatissimi, molto lontani da quelli che si registrano oggi in Italia, nonostante anche da noi la qualità dell’aria è comunque fuori norma.
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Emadion
Kronos The Mad
20-06-17, 18:53
Piccolo aperitivo pre articolo macabro
Kronos The Mad
20-06-17, 18:59
In arrivo stasera articolo mega lungo pre nanna
Kronos The Mad
20-06-17, 19:02
Si ringrazia Koba per l'idea sisisisiisisisis
AummaAumma
20-06-17, 20:10
il post sul lago Nyos lo hai già fatto? È dell'86.
Kronos The Mad
20-06-17, 20:12
il post sul lago Nyos lo hai già fatto? È dell'86.
Segnato poi controllo grazie :sisi:
Stasera un articolo corto (?) Macabro e uno di storia interessante molto lungo da leggere nel letto sperando non sia noioso :snob:
Si ringrazia Koba per l'idea sisisisiisisisis
asdasdasd [emoji33] [emoji16]
gnappinox1
20-06-17, 20:26
Interessante!
Kronos The Mad
20-06-17, 22:25
Yoshio Kodaira
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Yoshio Kodaira nasce nel 1905 in*una famiglia povera, con un padre alcolizzato e violento.
Yoshio non sarà mai uno studente modello, nemmeno alle elementari dove le maestre lo ricordano come svogliato.
Complice la balbuzie, i brutti voti di Yoshio continuano e il ragazzo decide di lasciare la scuola. Comincia invece a lavorare, ma non dura mai più di pochi mesi in ogni lavoro.
A 18 anni mette incinta una ragazza e diventa papà.
Per scappare dalle sue responsabilità di padre, decide di arruolarsi in marina.
Nel 1927 partecipa a delle incursioni in Cina, commettendo omicidi e stupri.
Durante la sua confessione racconterà un episodio avvenuto proprio in quel periodo:
Io e quattro o cinque dei miei compagni siamo entrati in una casa cinese. Abbiamo legato il padre e l’abbiamo chiuso in un armadio. Abbiamo rubato i gioielli e stuprato le donne. Abbiamo persino infilzato una donna incinta con una baionetta e le abbiamo estratto il feto dal ventre. Anche io ho partecipato a quelle azioni depravate.
Dopo aver lasciato la Marina, nel 1932, si sposa con una ragazza nonostante le proteste della famiglia di lei. I due litigano spesso e nel culmine di un litigio Yoshio uccide suo suocero, ferendo altre sei persone della famiglia.
Dopo l’omicidio viene condannato a 15 anni di lavori forzati, ma viene liberato nel 1940 con l’amnistia generale.
Dopo essere uscito di prigione trova lavoro in un cantiere navale.
Molti dei suoi subordinati sono donne e Yoshio le spia spesso mentre si lavano dopo il lavoro.
Il 25 maggio 1945 l’uomo stupra e strangola una ragazza di 15 anni, Miyazaki Mitsuko, e abbandona il suo cadavere dietro a un rifugio antiaereo.
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A causa della guerra il cadavere non viene scoperto e Yoshio, incoraggiato da quel successo, continua a uccidere.
Il 22 giugno stupra e uccide la trentenne Ishikawa Yori. Il 12 luglio è la volta della trentaduenne Nakamura Mitsuko, poi della ventiduenne Kondo Kazuko.
Seguiranno Matsushita Yosh’e, 21 anni, Shinokawa Tatsue, 17 anni, Baba Hiroko, 19 anni, Abe Yoshiko-on, di 15 anni e altre due ragazze.
Senza più colleghe da uccidere, Yoshio comincia a cercare le sue vittime per la strada o nei mercati. E’ proprio così che conosce la diciassettenne Midorikawa Riyuko.
Fra i due nasce un’amicizia e Yoshio la visita spesso a casa, presentandosi ai parenti con il suo vero nome. Questo errore gli sarà fatale.
Il 6 agosto 1946 Midorikawa sparisce dopo aver detto alla famiglia che si sarebbe recata da Yoshio per un colloquio di lavoro. Il suo corpo verrà però ritrovato pochi giorni dopo. Nello stesso periodo viene ritrovato anche il corpo di un’altra ragazza scomparsa.
La polizia va a casa di Yoshio per interrogarlo e lui confessa tutto spontaneamente. Il 20 agosto 1947 viene condannato a morte.
Oltre agli omicidi ha confessato anche 30 stupri (in cui aveva lasciato la vittima viva) e lo stupro di una donna morta.
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Yoshio viene impiccato il 5 ottobre 1949.
Emadion
Kronos The Mad
20-06-17, 22:35
La storia di Gilles De Rais "Barbablù"
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Il mondo della storia è particolare.
E' un mondo senza vie di mezzo, dove tutto è o bianco o nero, dove gli eroi nazionali vengono ricordati in maniera epica e quasi mitica, mentre i cattivi sono spesso disegnati come mostri senza anima.
Tra questi ultimi, troviamo Gilles De Rais, un nobile francese del XV secolo, un ufficiale militare che aveva combattuto al fianco di Jeanne D'Arc e che, al termine della Guerra dei Cento Anni, si ritrovò ad essere uno degli uomini più ricchi e potenti della Francia. Ottenuta la carica nobiliare di Barone su "raccomandazione" del nonno, un uomo molto influente che ricorreva al nepotismo per controllare più territori possibili, è probabile che la "caduta" di De Rais fu causata sopratutto alla sua ingenuità politica e al suo edonismo che lo portò a dissipare la gran parte dei propri averi.
Gilles De Rais non è però ricordato né per il glorioso passato militare né per gli sfortunati giochi di potere. La storia racconta che Gilles nascose per molti anni il lato oscuro della sua personalità, un lato scuro e sinistro che lo spinse a rapire, torturare e uccidere centinaia di bambini, figli di contadini per la maggior parte.
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Si tramanda inoltre che l'ufficiale usasse circondarsi di stregoni e alchimisti esperti in magia nera, con i quali cercava la formula per trasformare il metallo in oro.
Arrestato e minacciato di tortura, Gilles confessò di essere un omosessuale e un pedofilo. Due reati che a quel tempo erano puniti con la confisca di tutte le proprietà e con la pena di morte.
La storia ci consegna così Gilles De Rais come uno dei peggiori e più sadici assassini dell'umana esistenza. La maggior parte degli studiosi lo descrive come un cavaliere al servizio del Re, che una volta in pensione trascorse il tempo libero a violentare e uccidere ragazzini.
Altri invece sostengono che sia rimasto vittima di una congiura, perché è impossibile che sia riuscito a rimanere impunito per tutti quegli anni.
Secondo questa ipotesi, De Rais sarebbe stato accusato con delle finte prove e condannato da un tribunale truccato, dal quale non riuscì a difendersi a causa della sua scarsa intelligenza. Un eroe di guerra, rimasto vittima di alcuni giochi di potere.
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Per capire meglio Gilles De Rais e la sua storia, dobbiamo innanzitutto cercare di immaginarci la società in cui si svolgono i fatti. La Francia del 1400 è un paese tormentato dalla guerra, dalle pestilenze, dalla violenza e dagli intrighi politici. Un paese dove le cariche nobiliari e il potere vengono svenduti al miglior offerente, mentre i matrimoni strategici sono all'ordine del giorno.
Gilles nasce nel 1404, presumibilmente a Champtoce, in uno dei tanti castelli di proprietà della sua famiglia, chiamato la Torre Nera.
La Francia è ancora in guerra con l'Inghilterra a causa della disputa sull'erede del trono francese.
La causa della guerra risale al 1066, quando William il Conquistatore, Duca di Normandia, aveva invaso l'Inghilterra e ne era diventato Re. Le discendenze, la disputa su alcuni territori importanti come le Fiandre e diversi matrimoni combinati in 300 anni di storia hanno fatto il resto.
La guerra è scoppiata ufficialmente nel 1337, ma è risaputo che la Guerra dei 100 Anni sia stata piuttosto un insieme di battaglie sanguinose, separate tra loro da molti anni di tregua e alleanze momentanee.
Negli anni dell'infanzia di Gilles, sul trono inglese siede Enrico V, che è riuscito nell'impresa di riappacificare Inghilterra, Scozia e Galles e adesso pretende il trono francese.
A Parigi invece regna Carlo VI, detto Il Pazzo. Carlo è malato di schizofrenia, porfiria e disturbi bipolari. Sono note a tutti le sue famigerate "crisi", durante le quali il Re fa le cose più strane.
Una volta, sul finire del 1300, attaccò e uccise i soldati che gli facevano da scorta. Durante un'altra crisi, Carlo dimenticò il suo nome, ignorò di essere re e fuggì terrorizzato dalla moglie. Non riconobbe i figli, sebbene identificasse il fratello ed i consiglieri e ricordasse i nomi delle persone defunte. In alcuni degli attacchi successivi, egli vagò per il palazzo ululando come un lupo, si rifiutò di fare il bagno per mesi e soffrì dell'allucinazione di essere fatto di vetro.
Con un personaggio del genere a governare, il paese si ritrova diviso in diverse regioni, ognuna delle quali governata da un feudatario che dispone di grandi poteri, come coniare monete e fare leggi. In cambio il governo francese si accontenta di disporre dei servigi degli eserciti di questi Signori.
I primi anni di vita del giovane De Rais sono a noi sconosciuti. Come la società dell'epoca imponeva, è probabile che sia stato cresciuto come un "adulto in miniatura", trattato in maniera fredda e senza amore. Raggiunti i 7 anni, considerata l'età della ragione, probabilmente è stato istruito nelle discipline artistiche e umanistiche, costretto a recitare a memoria alcuni passi di letteratura greca e latina, addestrato nelle arti militari e nel bon ton.
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Gli archivi descrivono Gilles come uno studente capace ed esperto nel campo militare, quanto goffo e grezzo nelle arti politiche. Sin da bambino viene quindi etichettato come individuo non all'altezza delle cospirazioni machiavelliche su cui si basa la Francia dell'epoca.
Il 25 ottobre del 1415, giorno di San Crispino, i due eserciti si fronteggiano sul campo di battaglia di Agincourt. Sarà una battaglia dura, ma alla fine l'esercito inglese, diretto da Enrico V in persona, la spunterà. Il Re inglese, al termine del combattimento, decide di uccidere gli 11 mila francesi catturati, per evitare di incontrarli in un'altra battaglia futura. Fra di loro ci sono molti nomi importanti dell'aristocrazia francese. Uno di questi è*Amaury De Craon, zio di Gilles De Rais (all'epoca 11enne).
Fu la prima delle tre perdite significative che il giovane Gilles subirà in quegli anni.
Sua madre, Marie, muore durante la Festa dell'Epifania dell'anno dopo. Suo padre, Guy, muore invece pochi mesi dopo, ucciso da un cinghiale durante una battuta di caccia.
Nel proprio testamento, l'uomo lascia precise istruzioni affinché, per nessun motivo, i suoi due figli, Gilles e Rene, vengano affidati alla famiglia De Craon, dalla quale veniva sua moglie.
Anche in questo caso, i giochi di potere hanno la meglio e Jean De Craon, rimasto senza eredi, decide di venire meno alle volontà del proprio genero per il bene dei propri possedimenti.
Così, verso la metà del 1416, Gilles e suo fratello si trovano affidati alle cure del terribile nonno.
Jean De Craon è un abile politico e cospiratore, sono pochi i personaggi storici che possono competere con le sue intricate macchinazioni. Agisce senza una coscienza e fa di tutto per raggiungere i propri scopi, principalmente legati al profitto. Non a caso, è il secondo uomo più ricco della Francia.
La sua influenza negativa si riversa immancabilmente sui due bambini. Mentre nei castelli dei loro genitori erano stati istruiti nella morale, nella religione e nelle discipline umanistiche, nel castello del nonno, situato a Champtoce, vicino alla Loira, vengono istruiti nelle arti militari e vengono plagiati dalla particolare morale di Jean.
E'probabile che Gilles abbia sviluppato proprio in questo castello la perversione e la follia che esploderanno in età adulta.
Quando Gilles compie i 13 anni, Jean negozia il matrimonio tra lui e Jeanne Peynel, la figlia del Duca di Normandia. La ricchezza in dote alla piccola Peynel è pari a quella di Gilles e il matrimonio avrebbe reso la casata De Craon la più potente e ricca della Francia intera, per questo il Parlamento riesce a trovare in breve tempo un motivo abbastanza valido per impedirlo. Dieci mesi dopo, Gilles viene dato in fidanzato alla nipote del*Duca della Borgogna. Anche questo matrimonio salterà, ma gli archivi storici non sanno spiegare il motivo.
Passano due anni e il 16enne De Rais è costretto dal nonno a rapire Catherine Thouars, una sua cugina erede di numerosi terreni. Jean fa rinchiudere nelle segrete del castello tre parenti della giovane che si erano avventurato in un'operazione di salvataggio, poi, nel 1420, sposa i due ragazzini e comincia le negoziazioni con il padre della ragazza, Milet Thouars. L'uomo però muore misteriosamente qualche tempo dopo e, in seguito alla liberazione degli ostaggi, Jean riesce a far riconoscere il matrimonio dalle autorità ecclesiastiche.
Gli anni successivi scorrono "tranquillamente", fino a quando, nel 1429, Gilles De Rais diventa consulente e primo generale di Giovanna D'Arco.
Dopo numerose e faticose battaglie, i due riescono a liberare Orleans e a scortare sano e salvo il nuovo erede al trono fino a Riems, la città dell'incoronazione dei Re francesi.*
In quel periodo, Gilles riceve la massima carica militare francese e diventa molto potente, ma la sua ormai risaputa ignoranza politica lo lascia scoperto a diversi cospiratori che lo colpiranno molto presto.
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Nel frattempo, nel 1432, anche Giovanna D'Arco cade vittima delle macchinazioni di un consigliere del Re e viene bruciata come eretica, mentre il nonno di Gilles, Jean De Craon, muore di malattia.
Sul letto di morte, l'uomo si pente di aver vissuto in maniera immorale e di aver cresciuto una persona spietata come suo nipote. Nel testamento, per farsi perdonare di tutto il male che aveva procurato in vita, l'uomo lascia tutte le proprietà ai contadini del luogo, mentre i soldi vengono destinati a un fondo per edificare due ospedali. Ai nipoti viene lasciata la spada personale.
Francesi e inglesi raggiungono un accordo e la Guerra dei Cento anni finisce. I nobili sciolgono i loro eserciti e tornano a gestire i propri terreni.
Tornato a vivere a Champtoce, Gilles si accorge ben presto che la vita sedentaria da eroe di guerra in pensione non fa per lui. La pratica militare in quegli anni aveva contribuito a celare la sua bramosia di morte, ma ora non c'è più nessuna battaglia da combattere. Memore delle stragi di nemici, il suo corpo desidera tornare a provare l'eccitazione del sangue che scorre fuori dal corpo di una vittima.
Gli archivi dell'epoca non sono molto precisi, ma la prima vittima di De Rais dovrebbe risalire al 1432, quando l'uomo si trasferisce con i suoi cortigiani al castello di Machecoul.
La vittima è un anonimo garzone di 12 anni, che un cugino di Gilles aveva mandato al castello per consegnare un messaggio. Alle autorità verrà raccontato che il bambino è stato rapito da una banda di briganti dei boschi.
Vestiti con gli abiti migliori e invitati a un banchetto, i bambini vengono trascinati dopo il pasto in una stanza nascosta, dove sono ammessi solo De Rais e i suoi servitori più fedeli.
Qui la vittima di turno viene appesa per il collo ad un gancio di ferro e quindi stuprata diverse volte. Tra una violenza e l'altra, Gilles De Rais toglie il ragazzo dal gancio e gli fa coraggio, consolandolo. Ad un certo punto, durante uno di questi gesti di conforto, il ragazzo viene ucciso.
Gli sventurati vengono assassinati in diversi modi, dalla decapitazione al taglio della gola. A volte vengono smembrati, altre volte vengono presi a bastonate sull'osso del collo. In alcuni casi, l'assassino si siede sulla loro pancia, facendosi un sacco di risate e masturbandosi nel vederli soffocare. Quando Gilles dispone di più teste decapitate, improvvisa macabre gare di bellezza.
De Rais fa forgiare anche una spada speciale, una spada a doppia lama corta e molto spessa, che lui chiama braquemard e che viene utilizzata appositamente per sgozzare i bambini.
Difficilmente le vittime vengono lasciate vive per più di una sera e occasionalmente il Barone ha rapporti anche con i loro cadaveri oppure gioca con le loro viscere.
I corpi vengono poi cremati e gettati nel fossato.
Gilles non è solo. Agisce con i suoi cortigiani. Non si sa con certezza fino a che punto siano costretti a reggergli il gioco e fino a che punto siano invece esseri perversi come il loro padrone. Uno dei principali coinvolti è un giovane, soprannominato Poitou, inseparabile braccio destro di Gilles. Originariamente arrivato nel castello come vittima, è stato risparmiato per la sua straordinaria bellezza e promosso al grado di complice.
Si sa inoltre che alcune persone procacciavano le vittime per lui.
Uno di questi è il cugino, Gilles De Sille, che gli manda numerosi bambini con qualche scusa, come il ragazzo-messaggero che ha dato inizio alla carneficina. Un altro procacciatore di vittime è Roger Briqueville, mentre che un'anziana donna senza nome, soprannominata da tutti "La Meffraye", si aggira per i borghi contadini rapendo alcuni bambini.
Tutte queste persone confesseranno i loro crimini durante il processo a De Rais e saranno punite.
Ben presto cominciano a girare strane voci sul castello di Machecoul, tanto che la gente trasale innanzi ai viandanti che dichiarano di venire da lì.
Le numerose scomparse di bambini dai villaggi mettono in allarme la popolazione contadina. De Sille sparge la voce che i bambini sono stati consegnati al Re d'Inghilterra, secondo un patto di pace, e che saranno educati come paggi di corte. Gli archivi non ci sanno dire se queste voci bastarono a placare l'opinione pubblica, ma di sicuro le scomparse continuarono senza freno.
Anche misticismo, spiritualità e religione giocano un ruolo importante nella vita di Gilles De Rais.
E' proprio il conflitto tra questo suo aspetto religioso e caritatevole con i crimini che avrebbe confessato sotto tortura che spinge molti studiosi a dubitare della reputazione criminale che accompagna il nome di Gilles da secoli.
Fervido e generoso sostenitore della Chiesa, De Rais fa edificare numerose cappelle e addirittura una cattedrale, stipendiando anche gli ecclesiastici necessari a svolgere tutte le funzioni.
Come compagno di Giovanna D'Arco, era stato testimone dei suoi miracoli, per esempio l'improvviso cambiamento di vento durante una battaglia in seguito a una preghiera della donna. Era al suo fianco quando l'eroina si era strappata via dalla spalla un dardo che avrebbe mandato all'ospedale un cavaliere di taglia media. L'aveva ascoltata pronunciare profezie che si sono poi avverate.
Per questo a Gilles non è mai risultato difficile credere nel soprannaturale, anche se secondo alcuni storici si sarebbe presto convertito all'alchimia e alla necromanzia.
L'alchimia era stata bandita dalla Chiesa un secolo prima, ma ciò non aveva dissuaso molti credenti dal cercare la famigerata Pietra Filosofale, che secondo la leggenda ha tra i suoi poteri quello di trasformare il piombo in oro. La chimica moderna trova le sue radici in questi folli sperimentatori che, nonostante le loro immorali motivazioni, fecero delle scoperte molto importanti per l'umanità.
La maggior parte degli alchimisti era comunque composta da un manipolo di ciarlatani e prestigiatori che approfittavano delle loro abilità con le mani e con le parole per servirsi di uomini ricchi e creduloni.
Gilles, fissato con il misticismo e in crisi economica, diventa ben presto una facile preda di questi alchimisti artefatti e non ammetterà mai di essere stato manipolato e raggirato numerose volte. La maggior parte degli alchimisti da lui assunti scapperà infatti con un bel bottino, dopo aver mostrato un paio di numeri da circo.
Oltre all'alchimia, uno dei riti che più interessano De Rais, è l'invocazione di qualche Demone, al qualche vorrebbe chiedere di ripristinare la sua ricchezza e di donargli molto potere.
Per questo motivo, nel 1439, fa venire da Firenze un certo Francesco Prelati, un truffatore molto abile e intelligente, che è riuscito a crearsi la fama di più grande mago della Penisola, capace di invocare qualsiasi tipo di spirito o entità soprannaturale.
Un giorno di maggio, verso mezzanotte, il ragazzo si appresta a realizzare un'invocazione di un Demone. Lo assistono De Rais, De Sille, Poitou e Blanchet, l'alchimista di fiducia di Gilles.
Riuniti nella sala più bassa del castello, tra le tappezzerie antiche e i manufatti di guerra, Prelati disegna un grande cerchio sul pavimento e comincia a tracciare strani simboli pagani e religiosi all'interno. De Rais stringe tra le braccia un libro di formule magiche che avrebbe fatto scrivere con il sangue dei bambini uccisi.
Lo showman apre tutte le finestre della stanza e avverte il suo pubblico di non farsi per nessun motivo al mondo il segno della croce durante il rito. Per tutta risposta, Gilles caccia tutti i presenti, ritenuti da lui dei grandi fifoni, e chiede di rimanere solo con il mago.
La fortuna assiste Prelati e un temporale si scatena dopo circa 3 ore di invocazioni inutili, permettendo al toscano di carpire ancora di più la fiducia del suo "datore di lavoro". Prelati dichiara così che Barron, un demone molto potente, si è messo in contatto con lui e ha chiesto il cuore, gli occhi, le mani e l'organo sessuale di un bambino.
Gilles accontenta il truffatore, che per i 10 mesi successivi riuscirà a portare avanti questa commedia con successo, mettendo da parte un buon gruzzolo. Il Demone Barron naturalmente non si paleserà mai, ma in compenso intratterrà numerose discussioni private con Prelati.
I fallimenti esoterici non distraggono comunque Gilles dalla sua sete di sangue e le sparizioni dei giovani contadini continuano.
Nello stesso anno, il 1439, Rene De Rais, preoccupato dallo sperperare del fratello, riesce ad ottenere dal Re un editto che gli conferisce il controllo del castello di Champtoce e impedisce a Gilles di vendere qualsiasi appezzamento di terreno della famiglia.
Quando Gilles scopre che Rene sta venendo in visita con le intenzioni di prendere possesso anche del castello di Machecoul, si fa prendere dal panico e ordina a Poitou e a Henriet (un servo anziano e molto fedele) di uccidere e bruciare immediatamente i 40 bambini che sono ancora tenuti in ostaggio nel maniero.
La cosa viene fatta troppo in fretta e viene scoperta da due nobili amici di De Rais, che decidono però di non denunciare il fatto, in quanto le vittime sono semplici e miseri contadini.
Il timore di Gilles si rivela comunque corretto. Tre settimane dopo essere passati da Champtoce, Rene e un suo cugino occupano Machecoul.
Gilles De Sille e un servitore vengono incaricati di distruggere tutti gli attrezzi alchemici e di far sparire alcuni scheletri rinvenuti nelle segrete, sui quali i familiari di Gilles non si interrogano nemmeno, innalzando di proposito un muro di silenzio.
Impotente politicamente, in pensione a soli 36 anni, senza i soldi per pagarsi un esercito e privato del potere di gestire le sue proprietà, Gilles De Rais è ormai una preda facile e ambita da molti dei feudatari vicini, che desiderano ardentemente entrare in possesso dei suoi terreni.
Cominciano ad essere tessute delle intricate trame e per Gilles scatta il conto alla rovescia.
L'inizio della fine si colloca nei primi mesi del 1440, quando Gilles, messo insieme un piccolo esercito di briganti, fa irruzione nella chiesa di St. Etienne de Mermorte durante un'importante rito cattolico. Con lo sguardo da pazzo e brandendo un'ascia, Gilles prende in ostaggio il prete, fratello di un nobile che aveva occupato un castello dei De Rais costringendoli a venderglielo, pretendendo la liberazione della sua proprietà.
E' a questo punto che i nemici di Gilles decidono che il rivale è andato troppo oltre.
Jean V, Duca della Bretagna*(il fratello del prete sequestrato) è il primo a muoversi e a formare un'alleanza con il Vescovo di Nantes, Jean De Malestroit, rivale della famiglia De Rais da molti anni.
Malestroit comincia l'operazione anti-Gilles De Rais, raccogliendo deposizioni e informazioni da sette persone vicine all'ex combattente, mettendo insieme tutte le informazioni utili. Possiamo immaginare la sua reazione quando scoprì del libro magico scritto con il sangue dei bambini per invocare i Demoni e delle torture ai danni dei giovani contadini.
Nel luglio del 1440, viene finalmente pubblicato il documento su Gilles De Rais redatto dal Vescovo.
Nel rapporto, Malestroit asserisce: "Milord Gilles de Rais, cavaliere, signore e barone posto sotto la nostra giurisdizione, con certi complici tagliò le gole a molti giovani e ne uccise atrocemente degli altri. E' stato dichiarato che lui ha praticato con questi bambini la sodomia. Spesso ha cercato di convocare a sé degli esseri infernali, facendo anche sacrifici umani in loro nome, e ha perpetrato altri orrendi crimini sempre restando entro i limiti della nostra giurisdizione..."
Nonostante le parole aspre provenienti dalla cattedrale in Nantes, Gilles rimane risoluto e si barrica ingenuamente nel castello di Tiffauges. Lui è Maresciallo di Francia, capo militare del Re, padrone spirituale del potente Demone Barron e signore dei villaggi di Rais: nessuno avrà mai il coraggio di sfidarlo e di presentarsi al castello per accusarlo di eresia e omicidio.
I suoi complici non sono invece così ottimisti. Gilles De Sille e Roger Briqueville avevano messo da parte dei soldi per un'evenienza simile e fuggono. Henriet tenta inutilmente il suicidio.
Solo Poitou e i due maghi Prelati e Blanchet rimangono fedeli a De Rais, attendendo il proprio fato nel castello.*
Ad agosto, il Conestabile della Francia, fratello dell'onnipresente Duca della Bretagna, prende possesso del castello di Tiffauges e chiede il permesso alle autorità per poter arrestare De Rais, che nel frattempo si rifugia a Machecoul.
L'autorizzazione non arriva fino al 14 settembre 1440, perché il Re aveva ordinato di aprire un'inchiesta parallela a quella del Vescovo di Nantes, per assicurarsi che le prove fossero fondate.
Il giorno successivo all'autorizzazione per l'arresto di Gilles, il Duca di Bretagna si presenta ai cancelli di Machecoul e prende in custodia sia il Barone che i suoi servitori. De Rais viene portato a Nantes, dove un tribunale lo interroga sull'assalto alla chiesa di St. Etienne de Mermorte. Nessun fa cenni agli omicidi di bambini o alla passione per il soprannaturale.
Non trattandosi di un cittadino comune, la custodia di Gilles si svolge nelle comode stanze di un castello a Nantes. Mentre lui si gode questa "vacanza" forzata, il giudice principale della Bretagna, Pierre De L'Hopital, fa interrogare i genitori e i parenti dei bambini scomparsi nei dintorni di Machecoul. Molte donne dichiarano di essere state costrette da Poitou a consegnare i loro figli per permettere a De Rais di condurli al castello dove ne avrebbe fatto dei cortigiani.
Gli interrogatori ai parenti delle vittime vanno avanti da 18 settembre all'8 ottobre, sotto l'occhio attento delle autorità ecclesiastiche che pretendono e ottengono la partecipazione del Vicario dell'Inquisizione, Jean Blouyn.
Il 13 ottobre 1440, i giudici, basandosi sulle testimonianze raccolte, accusano formalmente De Rais di 34 omicidi (avvenuti a partire dal 1432), di sodomia, di eresia e di assalto contro un rappresentante della Chiesa. L'accusa chiede invece di alzare il conto delle vittime a 140, a partire dal 1426. La più curiosa delle accuse è sicuramente quella di non aver mantenuto fede a una promessa fatta a Dio, in un presunto periodo di pentimento, di fare un pellegrinaggio fino a Gerusalemme per purificare la propria anima.
Convocato di fronte al tribunale per rispondere ai capi di accusa, Gilles De Rais attacca verbalmente le persone che lo stanno interrogando, chiamandoli simoniaci (i venditori di indulgenze) e dichiarando di preferire l'impiccagione immediata piuttosto che parlare con loro. In tutta risposta, gli ecclesiastici di Nantes lo scomunicano.
E' una mossa astuta, che fa vacillare il credentissimo Gilles, preoccupato adesso della propria anima. Per questo l'imputato, due giorni dopo, visibilmente provato, riconosce l'autorità della corte e, inginocchiato e in lacrime, chiede umilmente perdono per l'attacco verbale di due giorni prima.
Il Vescovo, avendo ormai ottenuto la sua collaborazione, lo riammette prontamente nella Chiesa.
Nonostante sia De Rais che i suoi complici si siano dichiarati collaborativi, l'accusa chiede ed ottiene che Gilles venga torturato presso La Tour Neuve, per avere la sicurezza che l'imputato confessi tutto quello che ha fatto.
Nemmeno poche ore dopo, Gilles De Rais, prima ancora di cominciare il "trattamento", fermatosi davanti allo strumento di tortura che lo attende, si dichiara disponibile a consegnare a Pierre De L'Hopital e al Vescovo una confessione dettagliata e firmata. Nella confessione, Gilles scagiona i propri complici, dichiarandosi unico colpevole e responsabile. Confessa inoltre di aver agito per soddisfare i propri bisogni carnali e i propri vizi, senza altri scopi.
La confessione non contiene l'ammissione di aver tentato di invocare il Demonio. Siamo in un'epoca in cui l'omicidio di un contadino è ritenuto davvero di poco conto rispetto a un'eresia.
Per riuscire a condannare a morte il Maresciallo, i giudici hanno bisogno di una confessione anche sul piano esoterico. Per questo, decidono di minacciare di tortura anche il mago italiano, Prelati, che prontamente confessa di aver aiutato Gilles a invocare un Demone.
Quando i due si incontrano nei corridoi del tribunale, Gilles De Rais scoppia in lacrime e dimostrando di non provare nessun rancore dichiara al mago: "François, amico mio! Non ci vedremo mai più in questo Mondo, ma pregherò Dio affinché ci perdoni e ci faccia incontrare in Paradiso!"
Effettivamente non si vedranno mai. Condannato all'ergastolo, Prelati riuscirà ad evadere qualche anno dopo, ma, tornato a fare il mago, verrà definitivamente catturato, condannato per eresia e impiccato.
La settimana successiva, Gilles ripete la sua confessione di fronte alla corte ecclesiastica, che nuovamente lo scomunica, straziandolo. Sarà di nuovo il Vescovo di Nantes a riaccoglierlo nella Chiesa qualche giorno dopo, promettendogli una sepoltura in terra benedetta.
Il tribunale, nel frattempo, condanna Gilles, Poitou, Henriet ad essere appesi per il collo fino alla morte, mentre i loro corpi erano destinati a bruciare fino all'incenerimento su delle pire.
Non si sa che fine abbia fatto la vecchia donna che si aggirava nei boschi vestita di nero a rapire i bambini.
De Rais chiede e ottiene di essere giustiziato per primo, per dare il buon esempio ai propri servitori.
Gli imputati vengono condotti alla forca il 26 ottobre 1440.
Prima della sua esecuzione, Gilles pronuncia alla folla un lungo sermone su quanto sia pericoloso educare in maniera diabolica i giovani. Ammette i suoi peccati ed esorta gli astanti ad allevare i loro bambini in maniera severa e secondo gli insegnamenti della Chiesa.
Il testo intero del sermone è andato perduto, ma gli archivi ne parlano come un eccellente esempio di umiltà cristiana e di pentimento.
Gilles viene impiccato subito dopo, ma il Vescovo, per mantenere la propria promessa, fa rimuovere il corpo prima che la pira infuocata lo raggiunga e lo fa seppellire con il rito cattolico.
La chiesa dove si trovava la tomba andrà distrutta durante la rivoluzione francese.
Non vi voglio opprimere con l'ennesima descrizione degli intrighi e dei giochi di potere della nobiltà francese per spiegare come furono divisi gli averi di Gilles De Rais.
In breve, la moglie Catherine Thouars, sparita dalla scena poco dopo il matrimonio, si sposò con Jean De Vendome, un uomo ricco e potente, alleato dell'ormai potentissimo Duca di Bretagna, il presunto burattinaio di tutta la storia.*
La figlia di Gilles, Marie De Rais, si sposò con un ammiraglio della marina militare francese, stranamente nemico del Duca di Bretagna, ma morì senza figli. Il fratello Rene, ereditata la maggior parte dei beni, compreso il titolo di Barone, soggiornerà nel castello di Champtoce fino alla morte, controllato come un carcerato dagli uomini del Duca di Bretagna. Morirà nel 1473, lasciando una figlia che rimarrà senza eredi.
La casata De Rais, che il vecchio Jean De Craon aveva cercato in ogni modo di preservare e rendere potente era dunque finita miseramente.
La storia di Gilles De Rais termina qui.
Ricostruita soprattutto in base agli archivi storici, ci lascia comunque con il dubbio iniziale. Gilles De Rais è stato un eroe di guerra o un mostro sanguinario? La storia, si sa, la scrivono i vincitori e bisogna anche considerare che la confessione è arrivata solo dopo le minacce di tortura. Chi non confesserebbe, posto davanti a orribili strumenti di tortura?
Secoli di storia dell'Inquisizione ci insegnano che delle donne, poste a quei trattamenti disumani, siano arrivate addirittura a confessare di aver praticato sesso anale con Satana!
I giudici inoltre non avrebbero mai permesso a Gilles di tenere un discorso alla folla se non fossero stati sicuri di avergli lavato il cervello. Coloro che continuavano a dichiararsi innocenti venivano giustiziati direttamente nelle segrete, dopo le torture, e veniva sparsa la voce che avevano confessato.
Noi non abbiamo nessuna prova della sua colpevolezza oltre alla sua confessione, dato che i corpicini, stando a quanto raccontato, venivano bruciati fino ad essere ridotti in cenere.
D'altra parte, che motivo avrebbero avuto tutte quelle famiglie per accusare Gilles De Rais di aver fatto sparire i loro figli?*Inventandosi delle storie a proposito della scomparsa di alcuni bambini non avrebbero comunque ottenuto nulla in cambio. Non avevano nessuna buona ragione per mentire.
È improbabile che Gilles abbia ucciso un centinaio di bambini. E' possibile invece che abbia ucciso il primo messaggero che è arrivato al suo castello. A questo punto però, potrebbe non essere stata l'unica vittima...
La verità sul Gilles De Rais non ci sarà mai nota. Soltanto due cose resteranno abbastanza certe: la prima è che la confessione, essendo stata ottenuta con la forza, è comunque inesatta e volutamente esagerata. La seconda è che De Rais in qualche modo si era sicuramente macchiato di qualche crimine e non merita di essere ricordato esclusivamente come un eroe al servizio dell'esercito francese.
Mastro Razza
20-06-17, 23:07
ma e' lunghissimo :o_o:
Salve a tutti, mi stavo autostalkerando su Google e ho visto molti dei miei articoli postati su questo forum. Volevo solo dirvi che mi fa piacere che li troviate interessanti! :D
Kronos The Mad
21-06-17, 22:26
Salve a tutti, mi stavo autostalkerando su Google e ho visto molti dei miei articoli postati su questo forum. Volevo solo dirvi che mi fa piacere che li troviate interessanti! :D
Che onore!
Lilith?
Grazie per il vostro lavoro, siete la fonte numero uno per questo topic :D
Edit
Ormai i ragazzi non dormono tranquilli senza una storiella ogni tanto :bua:
Ormai i ragazzi non dormono tranquilli senza una storiella ogni tanto :bua:
Ne sto preparando una che piacerà sicuramente. :nod:
P.S. non mi ero mai resa conto di quanto mi mancassero le faccine dei forum e di MSN (rip).
Salve a tutti, mi stavo autostalkerando su Google e ho visto molti dei miei articoli postati su questo forum. Volevo solo dirvi che mi fa piacere che li troviate interessanti! :D
:prostro:
Kronos The Mad
21-06-17, 22:39
Ne sto preparando una che piacerà sicuramente. :nod:
P.S. non mi ero mai resa conto di quanto mi mancassero le faccine dei forum e di MSN (rip).
Hype
Per festeggiare questa special guest inaspettata, storiella pre-nanna sempre da Emadion :smugranking:
P.s. non fare caso siamo tutti particolarmente matti qui
Kronos The Mad
21-06-17, 22:43
La tortura e l’omicidio di Sylvia Likens
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Sylvia Likens era una ragazza di 16 che venne torturata e uccisa da Gertrude Baniszewski, presso la quale viveva. Ad aiutarla nelle torture c’erano anche alcuni dei suoi sette figli e due ragazzi del vicinato.
Sylvia era figlia di due giostrai, spesso in giro per il Paese. Era nata fra due coppie di gemelli e spesso, a causa del lavoro dei genitori, lei e la sorella minore Jenny, malata di poliomielite, venivano date in custodia a dei parenti per non far loro perdere la scuola.
Il matrimonio fra i suoi genitori non funziona e i due si lasciano. Poco dopo la separazione la madre di Sylvia viene arrestata per furto e il padre decide di mandare lei e Jenny a vivere con Gertrude Baniszewski, madre di una loro amica conosciuta da poco, pagandole 20$ la settimana.
La famiglia di Gertrude, con sette figli, è povera ma il padre di Sylvia dirà di non averlo saputo perchè non aveva voluto ficcanasare nella loro vita.
Incoraggiò inoltre Gertrude a “raddrizzare” le due bambine.
Gertrude, descritta come una donna emaciata, sottopeso, asmatica e depressa a causa dei molti matrimoni falliti, cominciò a picchiare le due bambinea causa del ritardo nel pagamento del loro mantenimento.
Ben presto però concentrò la sua rabbia solo su Sylvia dopo averla accusata di avere rubato delle caramelle.
Anche una delle figlie di Gertrude, Paula che in quel momento era incinta, picchiava Sylvia e un giorno la prese a calci nei genitali accusandola ingiustamente di essere incinta.
La ragazza venne anche accusata, sempre ingiustamente, di avere messo in giro delle voci su Paula e sua sorella Stephanie. Secondo le accuse avrebbe sparso la voce a scuola che le due sorelle erano delle prostitute.
Questo provocò la rabbia del fidanzato di Stephanie, Coy Hubbard, che cominciò a picchiarla.
Gertrude non solo non lo fermò ma anzi incoraggiò lui, gli altri suoi figli e alcuni ragazzi del vicinato a picchiare e torturare Sylvia.
Alcune delle torture consistevano in spegnerle sigarette sulla pelle, picchiarla mentre era appesa con delle corde al soffitto, scottarla con acqua bollente, farle mangiare cose che la facevano vomitare e obbligarla a togliersi i vestirti.
In almeno due occasioni le inserirono nella vagina una bottiglia di vetro di Coca-Cola. Paula una volta la colpì in faccia con tanta violenza da rompersi un polso.
Le due sorelle cercarono allora di mettersi in contatto con la loro famiglia e riuscirono a mandare delle lettere alla loro sorella maggiore, Diana, che al tempo aveva 18 anni. Diana si recò alla casa dei Baniszewski ma non allertò la polizia e lasciò lì le sue sorelle. Neanche i genitori fecero nulla.
Presto Gertrude impedì a Sylvia di andare a scuola e di uscire di casa, tenendola legata al letto. Dopo che Sylvia, impossibilitata a muoversi, bagnò il letto Gertrude la rinchiuse in cantina.
Veniva privata di cibo e acqua, tanto che Jenny disse che la sorella non produceva più lacrime a causa della disidratazione.
Veniva inoltre obbligata a mangiare le proprie feci e quelle del figlio minore di Gertrude, di un anno, e a bere urina.
Poco prima della morte della ragazza Gertrude cominciò a marchiarle a fuoco sullo stomaco, con uno spillone incandescente, le parole
“sono una prostituta e sono fiera di esserlo!”
ma il lavoro venne finito da Richard Hobbs, uno dei ragazzi del vicinato. Richard, insieme alla figlia undicenne di Gertrude, cercò anche di marchiare a fuoco la lettera S sul petto di Sylvia (anche se poi risultò sembrare un 3).
https://uploads.tapatalk-cdn.com/20170621/8346dd9da29b088f2acc1742ea45e9d1.jpg
Il 25 ottobre 1965, il giorno prima della sua morte, Sylvia tenta di scappare dopo aver sentito Gertrude parlare di un piano per liberarsi di lei ma viene catturata proprio mentre sta per raggiungere la porta principale.
Viene quindi relegata di nuovo in cantina e il giorno seguente, dopo botte, bruciature e scottature con acqua bollente, Sylvia muore di emorragia cerebrale, shock e malnutrizione.
Gertrude chiama la polizia e consegna loro una lettera che aveva fatto scrivere a Sylvia qualche giorno prima.
Nella lettera, indirizzata ai genitori, Sylvia raccontava di come aveva accettato delle prestazioni sessuali di alcuni ragazzi in cambio di denaro e di come poi questi l’avessero sequestrata e torturata.
Jenny però si avvicinò ad un poliziotto e gli sussurrò:
“Portatemi via di qui e vi dirò tutto.”
Durante il processo, che ebbe molta attenzione mediatica, Gertrude disse di non essere responsabile perchè mentalmente inferma. Aveva troppo da fare con la sua malattia per poter controllare i suoi figli.
Gli avvocati dei suoi figli, tutti minorenni, insistevano invece sul fatto che erano stati spinti proprio da Gertrude a commettere le torture.
Quando fu chiamata a testimoniare la figlia undicenne di Gertrude, confessò che la madre l’aveva obbligata a scaldare l’ago con cui erano state incise le frasi su Sylvia e che aveva visto la madre picchiare la ragazza e spingerla in cantina.
Nel 1966 Gertrude venne condannata per omicidio di primo grado salvandosi però dalla pena capitale e venendo condannata all’ergastolo.
https://uploads.tapatalk-cdn.com/20170621/06f8146fbfca918d239408f41e49b824.jpg
Anche sua figlia Paula venne condannata all’ergastolo mentre Richard Hobbs, Coy Hubbard e John Baniszewski vennero condannati a pene dai 2 ai 21 anni.
I due ragazzi scontarono solo due anni, Paula dopo essere stata sottoposto ad un altro processo ed essersi dichiarata colpevole, fece due anni di galera e poi venne rilasciata. Gertrude venne di nuovo condannata all’ergastolo ma dopo 19 anni venne messa in liberà condizionata.
Cinque anni dopo la sua liberazione Gertrude morì di cancro ai polmoni. Stessa sorte toccò a Richard, di soli 21 anni, 4 anni dopo essere uscito di prigione.
John morì nel 2005 a 52 anni dopo avere a lungo sofferto di diabete. Coy entrò e uscì di prigione varie volte e morì di attaco cardiaco nel 2007.
Paula cambiò nome e lavorò come consulente scolastico per 14 anni prima di essere scoperta e licenziata nel 2012.
Sulla vicenda sono stati scritti libri e girati due film: “An American crime” e “La ragazza della porta accanto”entrambi del 2007.
http://emadion.it
Kronos The Mad
22-06-17, 12:10
Old.
Carino ma old.
Wut?
Ovvio che sia old, sono tutti articoli di eventi passati che prendo a "ispirazione" dalle varie fonti :asd:
GenghisKhan
22-06-17, 13:29
Ne sto preparando una che piacerà sicuramente. :nod:
P.S. non mi ero mai resa conto di quanto mi mancassero le faccine dei forum e di MSN (rip).
Complimenti, davvero ben scritte
Ora foto con scarpa in testa !
Wut?
Ovvio che sia old, sono tutti articoli di eventi passati che prendo a "ispirazione" dalle varie fonti :asd:
Cia raggione, spesso scrivo le esatte parole che mi passano per il cranio senza decodificarle per il prossimo.
L'idea alla base del topic è olda, qualcuno ne creò uno simile eoni fa, ma hai il mio interesse.
gnappinox1
22-06-17, 16:09
Complimenti, davvero ben scritte
Ora foto con scarpa in testa !
Tanto non posterà più :sisi:
Tanto non posterà più :sisi:
Vero, sta stronza :sisi:
La storia di Nsala e Boali (emadion.it/torture/nsala-e-boali-e-le-atrocita-dello-stato-libero-del-congo/)
http://cdn1.powerapple.com/upload/news/article_attachments/file/2014254/1410415224_629587.jpg
La foto che vedete qui sopra risale al 1904 e ritrae Nsala, un uomo congolese. Ma cosa sta guardando con aria così afflitta? La risposta vi lascerà di stucco. Nsala sta guardando il piede e la mano mozzati della sua figlioletta di 5 anni. Questa foto storica ha reso Nsala e Boali due nomi chiave nella triste storia del Congo, ma la cosa triste è che questo scatto è molto peggio di quello che sembra.
Come, peggio di uomo che guarda gli arti mozzati di sua figlia?
Sì.
Per capire come e perché, però, facciamo un passo indietro.
Lo Stato Libero del Congo
Lo Stato Libero del Congo corrisponde all’attuale Repubblica Democratica del Congo ed era un regno privato del re Leopoldo II del Belgio.
Il re lo governò dal 1885 al 1908 con un regime dittatoriale e indicibili atrocità furono commesse in suo nome.
Il Congo era costituito per la maggior parte da territori inesplorati e non aveva una grande economia. Leopoldo II decise quindi di sfruttare al massimo il paese per generare un ritorno economico.
Divise il paese in diverse sezioni e mise a capo di ognuna del personale europeo costituito perlopiù da mercenari. Una di queste sezioni era chiamata Domaine Privé (proprietà privata) e tutti i guadagni prodotti andavano direttamente nelle tasche di Leopoldo II.
Il sovrano riusci ben presto a trarre profitto dallo Stato Libero del Congo, ma per lui, uno fra gli uomini più ricchi dell’epoca, non era sufficiente.
Decise allora di tagliare lo stipendio agli ufficiali e di rimpiazzarlo con delle commissioni che variavano in base a quanto la zona di loro competenza riusciva a produrre.
Il 35% della popolazione venne usato come forza lavoro, diventando di fatto schiavo.
Il caucciù
Una fra le più grandi risorse del Congo era il caucciù, che gli indigeni dovevano raccogliere. Per estrarlo incidevano le piante da cui era prodotto e poi vi si rotolavano sopra per farlo appiccicare alla propria pelle.
Una volta seccato veniva strappato via dal corpo, con molto dolore. Un chilo di caucciù che era costato 1.35 franchi produrre, veniva rivenduto in Europa a 10 franchi.
Dopo qualche tempo le riserve di caucciù iniziarono ad assottigliarsi e non riuscivano più a coprire le quote richieste da Leopoldo II. Ed è qui che entra in gioco la violenza (più di quella già usata).
L’amputazione delle mani
https://4.bp.blogspot.com/-Bx1ZHXXEii8/V-IYRsyVf8I/AAAAAAAALHQ/mwzXVBGTtIUarGzI6oZwtu0TxSp1d5W1QCLcB/s1600/cong_hands_1904_1.jpg
Per fare rispettare le quote venne istituita la Force Publique, capitanata da europei ma con la truppa costituita da indigeni.
Questa specie di forza dell’ordine terrorizzava la popolazione, compiendo diverse atrocità e arrivando a bruciare interi villaggi. Quando qualcuno non riusciva a produrre una quantità sufficiente di caucciù veniva ucciso con un colpo di arma da fuoco.
Gli ufficiali però temevano che le pallottole venissero usate, invece che per uccidere i locali, per cacciare e così imposero alle truppe di portare una mano mozzata del cadavere per ogni pallottola mancante.
Le mani si convertirono ben presto in trofei da mostrare e più mani si portavano più si era lodati.
Quando non si raggiungeva la quota di caucciù stabilita bastava integrarla con un po’ di mani mozzate e tutto si sistemava. Le mani mozzate erano talmente apprezzate dagli ufficiali, che i soldati iniziarono ad amputare le mani a persone vive, lasciandole poi a morire dissanguate.
Alcuni, durante gli attacchi di violenza della Force Publique, si fingevano morti e rimanevano immobili anche quando venivano tagliate loro le mani, per poi cercare aiuto in un secondo momento.
Nsala e Boali
Ed eccoci finalmente a parlare di Nsala e Boali.
Nsala era un uomo la cui unica colpa era stata quella di non avere raccolto abbastanza caucciù per arricchire le tasche di un re straniero che si era imposto con la forza nella sua terra.
Come punizione, le truppe amputarono la mano e il piede di sua figlia Boali, di soli 5 anni, solo dopo la uccisero.
Ma, non contenti, uccisero anche la moglie di Nsala.
Forse però nemmeno questo sembrava una punizione appropriata, quindi cannibalizzarono i corpi della moglie e della figlia di Nsala, portando all’uomo i resti della figlioletta.
La foto storica è stata scattata da Alice Seeley Harris, una missionaria che ha fotografato e denunciato gli abusi in Congo.
Nel 1908, finalmente, grazie alla pressione dell’opinione pubblica, e alla scoperta delle atrocità, il Congo venne annesso al Belgio, prendendo il nome di Congo Belga e mettendo fine alle torture.
Fonte: Emadion (http://emadion.it/torture/nsala-e-boali-e-le-atrocita-dello-stato-libero-del-congo/)
Kronos The Mad
22-06-17, 18:55
:O
:smugdance:
Grazie fantastico :prosto:
GenghisKhan
23-06-17, 19:12
Minchia
Emadion, dopo aver guardato nell'abisso, cosa provi quando l'abisso guarda dentro di te ?
Rot Teufel
23-06-17, 20:36
:O
:smugdance:
Grazie fantastico :prosto:
This :snob:
Barbablu :rullezza:
Minchia
Emadion, dopo aver guardato nell'abisso, cosa provi quando l'abisso guarda dentro di te ?
Io niente, ma l'abisso dopo un po' distoglie lo sguardo. :look:
Kronos The Mad
24-06-17, 17:05
Io niente, ma l'abisso dopo un po' distoglie lo sguardo. :look:
Asdasd
In quanti siete nello staff? Curiosità sisi
Asdasd
In quanti siete nello staff? Curiosità sisi
Principalmente io. Nella pagina collaboratori ce ne sono un paio, alcuni attivi un po' di tempo fa, altri che postano raramente. Ricevo spesso proposte, ma sono troppo esigente :snob:
Kronos The Mad
24-06-17, 17:18
Principalmente io. Nella pagina collaboratori ce ne sono un paio, alcuni attivi un po' di tempo fa, altri che postano raramente. Ricevo spesso proposte, ma sono troppo esigente :snob:
E fai bene :sisi:
Posta pure quanto e quando vuoi qui, come avrei notato aggiorno sempre l'op :smugdance:
Kronos The Mad
25-06-17, 10:24
Per la serie a volte ritornano, rotfl
Kronos The Mad
25-06-17, 10:25
Canada, uccise e mangiò il compagno: assassino cannibale sposa in carcere un rapinatore seriale
Nessuno pensava, nel giugno 2015, che quell'annuncio matrimoniale pubblicato su un sito di incontri sarebbe mai stato raccolto da qualcuno. Chi mai avrebbe voluto sposare uno come Luka Magnotta, il 34enne killer "cannibale" canadese condannato all'ergastolo per aver ucciso nel 2012 il suo fidanzato, lo studente cinese Jun Li, averlo smembrato, aver mangiato parti del cadavere e averne spedite altre per posta in giro per il Canada a scuole e uomini politici? A due anni di distanza, invece, quella che sembrava una facile previsione è stata smentita in pieno: Luka, che ha anche un passato da pornodivo, ha trovato l'anima gemella, il 36enne rapinatore seriale Anthony Jolin, anche lui condannato all'ergastolo nel 2003 per aver ucciso a coltellate un detenuto in carcere.*
Come riporta il Montreal Gazette, i due, che si sono conosciuti sul sito d'incontri per detenuti Canadian Inmates Connect Inc., si sposeranno il 26 giugno nella prigione di Port-Cartier: la madre di Luka, Anna Yourkin, farà da testimone. Le nozze non finiranno con una torta o un piccolo party, né tantomeno con un bacio celebrativo: come hanno ricordato le autorità, i detenuti possono sposarsi, ma non consumare l'unione, visto che non è consentita loro alcuna forma di attività sessuale.*
Luka spera comunque di poter uscire dal penitenziario di Archambault nel 2037: la sua condanna all'ergastolo, infatti, prevede la possibilità di una libertà condizionale dopo 25 anni. Nell'annuncio pubblicato due anni fa si dichiarava interessato a trovare un partner maschio bianco e in forma tra i 23 e i 38 anni. «Cerco un uomo fedele - scriveva - preferibilmente educato, finanziariamente ed emotivamente stabile per un rapporto a lungo termine. Chi pensa di poter essere il mio principe azzurro mandi una lettera dettagliata con almeno due foto. Risponderò solo a chi riterrò compatibile».
Il messaggero
Ricordo quel tizio, vidi anche il video che fece mentre faceva a pezzi la vittima :uhoh:
gnappinox1
25-06-17, 11:29
L'amore sboccia ovunque :asd:
Mr.Cilindro
25-06-17, 11:34
quello deve stare in galera a vita
e st'altro coglione omicida che se lo sposa pure
GenghisKhan
25-06-17, 16:08
sito d'incontri per detenuti :wat:
A proposito di Luka... un video prima di dormire "1 lunatic 1 icepick" ;)
Travis Bickle from Taxi Driver - Arthur Bremer
Papa Jupiter from The Hills Have Eyes – Sawney Bean
Mick Taylor from Wolf Creek – Bradley Murdoch and Ivan Milat
Hans Beckert from M – Peter Kurten
Keyser Soze from The Usual Suspects – John List
Ruth Chandler from The Girl Next Door – Gertrude Baniszewski
Judd from Eaten Alive – Joe Ball
Kit and Holly from Badlands – Charles Starkweather and Caril Ann Fugate
Mickey and Mallory from Natural Born Killers – Charles Starkweather and Caril Ann Fugate
Annie Wilkes from Misery – Genene Jones
Norman Bates in Psycho – Ed Gein
Characters from American Horror Story – Tons of Criminals
Hannibal Lecter from The Silence of the Lambs – Alredo Balli Trevino
Buffalo Bill from The Silence of the Lambs – Ed Gein and Ted Bundy
Leatherface from The Texas Chainsaw Massacre – Ed Gein and Elmer Wayne Henley
https://www.tportal.hr/media/thumbnail/900x540/272998.jpeg?cropId=0
Donna fa sesso con un delfino, li separano e lui si suicida
Sesso con un delfino? Delfini che si suicidano? Ma che cosa stai dicendo?
Ebbene sì. I delfini hanno la capacità di suicidarsi e ci sono donne (o almeno una) che hanno soddisfatto sessualmente un delfino. Volontariamente. Ma andiamo con ordine.
Insegnare agli animali a parlare inglese
Lo so, la storia si fa sempre più complicata, ma seguimi.
Negli anni '50, il neuroscienziato John Lilly si occupava di studiare il cervello dei cetacei, delfini inclusi. Nel 1957, sua moglie Mary notò che alcuni delfini presenti nel loro laboratorio stavano cercando di imitare le voci umane.
Lilly pensò quindi che i delfini volessero comunicare con gli umani, cercando di imitarne i suoni e scrisse un libro. Questo libro riscosse molto interesse, anche da parte della NASA, in quanto anche gli astronauti avevano un certo interesse nella comunicazione fra specie diverse. Forse già pensavano a quando si sarebbero trovati di fronte a un extraterrestre.
La NASA era talmente interessata alla cosa, che decise di finanziare un esperimento, quello di insegnare ai delfini a parlare inglese.
Grazie ai fondi, Lilly apre un laboratorio nei Caraibi per aiutare a costruire una relazione fra delfini e umani. Nel 1963 arriva al laboratorio Margaret Howe Lovatt, che inizia subito a interagire con i delfini presenti e cercando di insegnare loro a parlare inglese.
Vivere con i delfini
http://www.uux.cn/attachments/2014/06/1_201406111243471Bn7f.jpg
Dopo ogni giornata di lavoro, Lovatt e gli altri studiosi se ne tornavano a casa, chiudendo il laboratorio. Lovatt però pensò che per la riuscita dell'esperimento gli scienziati sarebbero dovuti rimanere con i delfini più tempo possibile, come farebbe una mamma, insegnando loro il linguaggio umano.
E così Lovatt si trasferì in un ambiente semi acquatico in cui avrebbe potuto vivere per sei mesi con un delfino, scegliendo un esemplare maschio di nome Peter.
Tutto procedeva bene fino a quando Peter raggiunse la maturità sessuale e iniziò ad avere bisogni sessuali. All'inizio lo trasportavano in un altro acquario, in cui erano presenti delle femmine, ma le necessità di Peter si palesavano però sempre più spesso e l'esperimento ne risentiva. Lovatt decise così di provvedere lei stessa a soddisfare i bisogni sessuali del delfino, manualmente.
Sesso con un delfino
Queste "sessioni" non erano private, la gente poteva osservare. Lovatt lo faceva solo per il bene dell'esperimento e in un'intervista, anni dopo l'esperimento, aveva dichiarato che per lei non era niente di sessuale; sensuale, forse.
La storia di questa prassi poco ortodossa divenne presto pubblica, e apparve un articolo su un giornale intitolato
Sesso interspecie: umani e delfini
con tanto di disegno.
L'esperimento venne oscurato da questo scandalo, ma non è tutto.
Delfini e LSD
http://i1.mirror.co.uk/incoming/article3665205.ece/ALTERNATES/s1200/The-Girl-Who-Talked-to-Dolphins.jpg
Lo so, questa storia diventa sempre più inverosimile, ma ad un certo punto gli scienziati hanno iniziato a sperimentare con l'LSD, pensando che potesse curare le malattie mentali.
Con questo obiettivo, iniziarono a farlo assumere a persone volontarie e poi anche ad animali. Anche Lilly iniziò, nel 1964, a somministrare l'LSD ai delfini.
Lovatt si oppose alla somministrazione della droga a Peter e Lilly acconsentì. La donna continuò le lezioni con il delfino e più avanti ricorderà di come quel "dover" stare insieme si era trasformato presto in un piacere, per poi addirittura sentire la mancanza del delfino quando dovevano separarsi.
Lilly iniziò a perdere interesse verso l'insegnamento dell'inglese agli animali proprio quando i sei mesi di convivenza fra Lovatt e Peter stavano per concludere.
Come risultato, l'esperimento perde i fondi e il laboratorio chiude.
La fine del delfino Peter
Lovatt non poteva tenere Peter e quindi venne spostato in un altro laboratorio, in un acquario molto più piccolo e senza quasi luce solare.
Poche settimane dopo la triste notizie viene data a Lovatt direttamente da Lilly: Peter si è suicidato.
Come?
I delfini hanno bisogno di aria, ma il loro movimento per respirare non è automatico come il nostro: ogni respiro è cosciente.
Peter ha preso un respiro, poi se ne è andato sul fondo del suo acquario senza prendere quello successivo.
Il veterinario Andy Williamson, responsabile dei delfini di Lilly, attribuisce il gesto alla separazione con Lovatt. La donna poteva razionalizzare la cosa, ma Peter no. E quindi ha deciso di togliersi la vita.
La strana relazione fra Margaret Lovatt e il delfino Peter è stata raccontata nel documentario: "La ragazza che parlava ai delfini".
^andava nel topic del that feel
^andava nel topic del that feel
per dire "anche i delfini acchiappano più di voi"? :asd:
Rot Teufel
09-07-17, 15:50
se ne era già parlato nel topic del that feel :asd:
però mancava tutta la storia dell'esperimento dell'insegnamento della lingua inglese.
era 'nnammurato, poVro :cattivo:
Vedo che il sesso con gli animali ha risvegliato il vostro interesse. :mmh?:
Madonna, che tristezza infinita :sad:
per il delfino o per la fine di un ammore?
Ecco un raro video dell'epoca:
https://www.youtube.com/watch?v=gGdV9uOyAic
ma anche...
https://www.youtube.com/watch?v=EktAnJ4eux0
https://www.youtube.com/watch?v=YOxTvs4SMfc
Kronos The Mad
09-07-17, 20:49
Delfino curioso
Vedo che il sesso con gli animali ha risvegliato il vostro interesse. :mmh?:
solo delfini :snob:
:bua:
gnappinox1
10-07-17, 09:16
Brava Emadion, ho fatto una scorpacciata di letture dal tuo blog e merita, anche se la maggior parte parte delle storie sono corte e non danno soddisfazione, sembrano lasciate a metà :asd:
Brava Emadion, ho fatto una scorpacciata di letture dal tuo blog e merita, anche se la maggior parte parte delle storie sono corte e non danno soddisfazione, sembrano lasciate a metà :asd:
Credo di capire cosa vuoi dire. La cosa è che mi piace andare dritta al punto senza giri di parole. Alcune storie potranno essere corte, ma dietro ad ognuna ci sono giorni di ricerche in più lingue; calcola che alcuni contenuti esistono in italiano solo su Emadion (e, forse, su altri siti che scopiazzano allegramente).
Se c'è qualche morte o qualche tortura cerco sempre di spiegarne bene il processo, però tendo ad evitare riflessioni personali o cazzate per allungare il brodo.
Comunque ho capito dove volevi andare a parare, vedo se trovo una descrizione dettagliata della masturbazione al delfino. :asd3:
:rotfl:
Emadion utente(ssa) dell anno :asd:
Sapevo che non poteva uscire niente di buono cercando "dolphin masturbation", ma questo non mi ha impedito di cercarlo.
https://www.youtube.com/watch?v=TvLZxG6pB6U
gnappinox1
10-07-17, 10:21
Credo di capire cosa vuoi dire. La cosa è che mi piace andare dritta al punto senza giri di parole. Alcune storie potranno essere corte, ma dietro ad ognuna ci sono giorni di ricerche in più lingue; calcola che alcuni contenuti esistono in italiano solo su Emadion (e, forse, su altri siti che scopiazzano allegramente).
Se c'è qualche morte o qualche tortura cerco sempre di spiegarne bene il processo, però tendo ad evitare riflessioni personali o cazzate per allungare il brodo.
Comunque ho capito dove volevi andare a parare, vedo se trovo una descrizione dettagliata della masturbazione al delfino. :asd3:
Guarda, ho sempre sognato di essere ingroppato da un delfino :asd:
Ritornando alle storie, apprezzo l'andare dritta al punto, senza troppi giri di parole, anche se un infiocchettata ci può sempre stare :sisi:
Sapevo che non poteva uscire niente di buono cercando "dolphin masturbation", ma questo non mi ha impedito di cercarlo.
https://www.youtube.com/watch?v=TvLZxG6pB6U
E ti pareva :asd:
emadion scrivi di piu' che in questo forum la figa è sempre ben accetta
il delfino è old :snob:
"stranamente nessuno ha detto nulla, quindi un cagacazzi ci voleva...è toccato a me!"
comunque, il blog è op!!! :rullezza:
il delfino è old :snob:
Ci sono un altro paio di storie di zoofilia, scegliete: uomo+cavallo o uomo+orango femmina :mmh?:
Orango, non c'è neanche da chiedere!
E' un uomo che ha ingulato un orango femmina perché le donne di oggi pensano solo ai blog e alle visualizzazioni dei loro articoli
E' un uomo che ha ingulato un orango femmina perché le donne di oggi pensano solo ai blog e alle visualizzazioni dei loro articoli
Dall'astio che traspare da questa risposta si vede che, a te, manco le oranghe sono disposte a dartela. :jfs2:
Mo beccati sto post e aumentami le visualizzazioni. :moglie:
Pony, l'orangutan usata come schiava sessuale
http://emadion.it/wp-content/uploads/2017/02/albstroka-blog-orangutanget-seks-me-pagese-shkrime-nga-lorena-stroka.jpg
Pony è una femmina di orango che nel 2003 è stata salvata da un bordello del villaggio di Kareng Pangi, in Indonesia. L'orangutan era usata come schiava sessuale per i clienti che volevano provare qualcosa di diverso.
La storia di Pony
Pony è uno dei tanti esemplari di orango catturati durante la deforestazione delle palme, usate per ricavare l'olio di palma. L'olio di palma viene usato in molti cosmetici e prodotti da forno ed è quindi molto richiesto.
In giro per il mondo i bordelli in cui gli animali sono sfruttati sessualmente non sono così rari come ci si potrebbe aspettare e Pony è stata così sfortunata da esserci finita dopo la sua cattura.
L'orangutan usata come schiava sessuale
https://pbs.twimg.com/media/CxkiKe4WEAALy7u.jpg
La padrona del bordello la incatena a un muro e le rade tutti i peli. Poi la lava, la profuma, la trucca e le fa indossare anelli e collane.
La considera un portafortuna, ma il compito principale dell'orango è quello di fare soldi prostituendosi. E ci riesce benissimo.
Sono tanti infatti gli uomini disposti a pagare per fare sesso con una scimmia. Vogliono provare qualcosa di diverso.
Per fare apparire Pony più umana, le radono tutti i peli un giorno sì e uno no. Questo le causa delle forti irritazioni alla pelle, inoltre non è più protetta contro gli insetti. Infatti è piena di punture che non riesce a smettere di grattare, provocandosi ancora più lesioni.
Ma alla sua padrona questo non importa. Pony è lì per fare soldi.
La liberazione di Pony
La situazione dell'orangutan è conosciuta nel villaggio, ma nessuno fa niente per aiutarla. Per gli abitanti è perfettamente normale che un orangutan si prostituisca per il divertimento di qualche curioso e ogni volta che la polizia cerca di liberare Pony, tutto il villaggio si oppone.
Per liberarla ci è voluto circa un anno e 35 poliziotti armati di AK 47 per far fronte agli abitanti del villaggio armati di pistole e coltelli.
La liberazione di Pony è stata filmata da una troupe televisiva e nel filmato si sente la proprietaria del bordello gridare isterica di non portare via la sua bambina.
Quando un uomo le si avvicina, Pony comincia a mettersi in determinate pose, presentandosi a lui e muovendosi come le era stato insegnato.
Il recupero di Pony
Dopo la sua liberazione è stata portata nel centro della BSO Foundation, la fondazione per la sopravvivenza degli orangutan del Borneo.
Lì ha cominciato il lungo percorso di riabilitazione nel quale le sono stati presentati altri esemplari di orangutan e le è stato insegnato a sopravvivere da sola. Per i primi anni l'orango è stato completamente dipendente dallo staff per sopravvivere, non potendo procurarsi il cibo da solo.
Dopo alcuni tentativi falliti di reinserire Pony nel suo habitat naturale, finalmente è stata liberata nel 2013, ben 10 anni dopo essere stata salvata.
Quando è stata salvata dal bordello Pony aveva circa 6 anni, ma non sappiamo da quanto tempo fosse stata usata come schiava.
Sappiamo però che in natura, gli oranghi sono totalmente dipendenti dalla madre per i primi 2 anni e che cominciano a staccarsi da lei a partire dai 5 anni.
E' quindi molto probabile che al momento della sua cattura Pony fosse ancora un cucciolo bisognoso delle cure della madre, strappato dal suo habitat per compiacere i più perversi desideri degli uomini.
Concludo con questo video educativo
https://www.youtube.com/watch?v=GOhPBt8B0Y8
Fonte: emadion (http://emadion.it/torture/pony-la-femmina-orangutan-usata-schiava-sessuale/)
ottima scelta con l'orangutan, brava!! del cavallo ci sono in giro diversi filmati che....ehm....mi ha fatto vedere mio cugino, di un uomo e una cavalla :look:
ma basta parlare di me...
ottima scelta con l'orangutan, brava!! del cavallo ci sono in giro diversi filmati che....ehm....mi ha fatto vedere mio cugino, di un uomo e una cavalla :look:
ma basta parlare di me...
Ah, io ho scritto del cavallo maschio + umano maschio. C'è pure il video. Che sicuramente "tuo cugino" avrà visto.
nonononononononononno
mio papà non vuole che guardi certe cose.
sento mio cugino ma devo guardarlo di nascosto
ma il video che girava tempo fa su youtube, di quella ragazzina, nostrana, che faceva "sfogare" il cagnolino, con l'amichetto e l'amichetta che riprendevano, si trova ancora?
ma no, basta zoofilia :bua:
Giusto, meglio passare alla necrofilia :mmh?:
emadion ai confini della moralita' e dello spazio tempo!
Rot Teufel
10-07-17, 17:35
Giusto, meglio passare alla necrofilia :mmh?:
just as planned :oh:
Dall'astio che traspare da questa risposta si vede che, a te, manco le oranghe sono disposte a dartela. :jfs2:
Mo beccati sto post e aumentami le visualizzazioni. :moglie:
:rotfl:
Emadion utente(ssa) dell anno :asd:
Tocca quotarmi :asd:
cazzo svapo sei stato ownato pure da un utente di passaggio :asd: ebbasta :asd:
Mr.Cilindro
10-07-17, 18:18
guardali
tutti a fare i moralisti poi appena si parla di argomenti biciosi o di zoofilia tutti a prenderselo in mano
Ma siete attirati dai feromoni femminili? Cosa vi prende? :asd:
Ma siete attirati dai feromoni femminili?
no, dalla figa.
rinominate il topic "elogio della figa"
Kronos The Mad
10-07-17, 19:32
Su non rovinate il topic sennò faccio scender articoli con voi protagonisti
:smugdance:
Su non rovinate il topic sennò faccio scender articoli con voi protagonisti
:smugdance:
Quoto con violenza...
Rot Teufel
10-07-17, 22:48
https://www.youtube.com/watch?v=_zqiAceKzbg
Emadion, hai qualcosa tipo UFOPORNO?
Voglio la scheda su padre pio gigolò
Voglio la scheda su padre pio gigolò
Prima di tutto fammi dire che sono davvero lusingata dal fatto che di notte non riesci a dormire pensando a me. :blush:
Trovo anche carinissimo il fatto che chiami i tuoi amici per darti man forte per fare il tifo per me e le mie storie. :vojo: E a proposito di storie, sono davvero colpita dal fatto che tu conosca la storia di Padre Pio gigolo!
La posto comunque per gli altri che non la conoscessero.
Padre Pio era un gigolo?
Questa è una storia poco conosciuta e, addirittura, troppo spesso viene insabbiata. Ma veniamo al dunque.
Tutti conoscono Padre Pio (tecnicamente ora è San Pio) come un uomo di fede, un povero fraticello con le stigmate che è riuscito a conquistare i cuori dei fedeli.
La sua storia però presenta non poche ombre su cui ora cercherò di fare luce.
L'infanzia di Padre Pio
Il suo vero nome è Francesco Forgione e nasce in una famiglia molto religiosa che influenza non poco le sue future scelte.
Decide di dedicarsi alla religione alla tenera età di 12 anni e a 14 fa domanda per entrare in convento. Lì inizierà a studiare con altri fraticelli che gli faranno scoprire le gioie delle foto osé di procaci ragazzotte.
Francesco, inspiegabilmente, dopo essere venuto a conoscenza di tali fotografie, si ammala agli occhi. Inizia qui una malattia che lo debilita e così fa ritorno a Pietrelcina, il suo paese natale.
Padre Pio gigolo
Ed è qui che la Chiesa vuole censurare la storia di San Pio. Il frate rimarrà in paese dal 1911 al 1916.
Proprio nel suo paese natale il frate inizierà una doppia vita, fatta di vizi e immoralità. Alcune foto d'epoca, come quella che potete trovare qui sotto, dimostrano la veridicità di quello che sto per raccontarvi.
Padre Pio, l'uomo raffigurato sulle icone presenti nelle case di moltissimi italiani, inizia a fare il gigolò per pagare i suoi piccoli vizi.
Inizialmente va tutto bene, persino i suoi problemi di vista migliorano inspiegabilmente. Ha tutto: è giovane, è circondato da donne ed è pieno di soldi.
Satana però è sempre dietro l'angolo
Padre Pio e le stigmate
Quelle che la chiesa vuole far passare come stigmate sono in realtà le ferite provocate dai mariti gelosi. Le loro donne, già frigide nel talamo, erano diventate ancora più algide.
Il motivo non tardò a venire a galla: ogni sera, invece di riunirsi per dire il rosario, si riunivano a contemplare le grazie del giovane Pio, sfogando con lui le loro voglie animalesche.
I mariti, furiosi, cercano di parlare con Pio in modo civilizzato, ma questi risponde sempre insolentemente.
Niente che qualche martellata sulle mani non potesse risolvere, comunque.
Il declino di Padre Pio
Dopo le mazzate, Pio decide di tornare alla vita monastica finendo i suoi giorni in preghiera e concedendo il suo corpo e la sua anima esclusivamente a Dio.
Qui sotto trovate l'unica foto d'epoca rimasta.
http://i63.tinypic.com/2eat89h.jpg
gnappinox1
11-07-17, 22:49
:asd:
le gioie delle foto osé di procaci ragazzotte.
Francesco, inspiegabilmente, dopo essere venuto a conoscenza di tali fotografie, si ammala agli occhi.
"inspiegabilmente..."
Praticamente si massacrava di pugnette da mane a sera...
evangelion, emadion, come ti chiami, torna a surriento!
Svapo, non cagare il cazzo.
@Emadion/Lilith
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Kronos The Mad
01-10-17, 13:13
La Femina Accabadora – Nostra signora… del martello
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La Femina Accabadora, ovvero “colei che finisce”, forse dal verbo spagnolo “acabar” con il significato di “porre termine”… alla vita altrui.
Di solito si trattava di una donna anziana, che viveva un po’ isolata dalla locale comunità, forse una sorta di levatrice “tuttofare”, la “sciamana” del villaggio.
Di notte, quasi furtivamente entrava nella stanza dell’inconsapevole morituro, completamente vestita di nero e con il volto coperto.
Faceva togliere dalla stanza del moribondo tutte le immagini sacre e tutti gli oggetti ai quali egli poteva essere particolarmente affezionato, in modo da rendere più semplice e meno doloroso – almeno sul piano affettivo! – il distacco dello spirito dal corpo. Poi procedeva con una sorta di assassinio rituale – con la piena consapevolezza dei parenti della vittima! – finalizzato a porre fine alle sofferenze fisiche degli anziani, dei malati più o meno “terminali”.
La povera e inconsapevole vittima poteva venire semplicemente soffocata con un cuscino oppure – più di frequente – colpendola… sulla fronte o sulla nuca con un particolare, pesante mazzuolo di legno d’ulivo, denominato ovviamente “su mazzolu”.
Una curiosa variante – meno cruenta ma non per questo più piacevole – poteva essere quella di strangolarlo ponendo il suo collo tra le gambe dell’impietosa “Accabadora”.
“Su mazzolu” era ricavato da un solido pezzo di albero di ulivo (la testa del martello), da cui si diramava un ramo secondario, più piccolo, che opportunamente tagliato diventava il manico dell’inconsueta arma letale.
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Ma il rituale di questa inconsueta “eutanasia” – che a dispetto del nome “dolce” non lo era affatto – prevedeva anche di porre sotto il cuscino del “morituro”, per almeno tre giorni consecutivi, anche un piccolo giogo che aveva il compito di richiamare alla vita il moribondo dedito per un’intera esistenza al lavoro dei campi, alla conduzione dei buoi “aggiogati”che trainavano l’aratro.
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Il malato, l’anziano, non rispondeva positivamente a questo tentativo di cura? Niente paura (almeno per i parenti).
L’Accabadora, insieme ai parenti della “vittima”, procedeva con l’Ammentu, ovvero sussurrava all’orecchio del malcapitato tutti i suoi peccati, affinché egli potesse pentirsi in articulo mortis. Questo rituale poteva farlo passare immediatamente a miglior vita, a causa del peso psicologico di quanto gli veniva ricordato oppure… farlo riprendere per la paura di finire al più presto tra le fiamme dell’Inferno.
Se l’Accabadora non percepiva segni di miglioramento, procedeva senza indugi con una terapia d’urto avvolgendo l’infermo in un lenzuolo imbibito d’acqua gelata e rinchiudendolo in una botte, ufficialmente per abbassare la temperatura corporea nel caso in cui la “vittima” fosse in preda ad attacchi febbrili.
Ma una bella polmonite fulminate era sempre in agguato per risolvere brillantemente il problema.
I “legni” del mestiere di Nostra Signora del Martello
La figura della Nostra Signora del Martello, dell’Accabadora era diffusa anche nella penisola salentina. L’antropologo ottocentesco Saverio La Sorsa, su pubblicazioni relative a pratiche oserei dire “sciamane” dei primi decenni del Novecento in Puglia, ebbe a scrivere che
[…] è stentata l’agonia di chi in vita abbia violato un termine o bruciato un giogo […] per alleviarla è d’uopo mettere sotto il capezzale del morente una pietra o un giogo nuovo, una chiave ovvero una scure. In certi paesi di Sardegna, quando il moribondo tarda ad esalare l’ultimo respiro i parenti avvicinano alla sua testa o al collo un pettine o un giogo per alleviargli le sofferenze.[…].
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Oggi per chi volesse esaminare de visu un poco rassicurante “su mazzolu” di dimensioni e peso non trascurabili oltre a moltissimi oggetti legati alle tradizioni rurali della Sardegna di un tempo che fu, potrebbe fare un’interessante visita al “Museo Galluras”, in via Nazionale a Luras (Oristano), dove due simpatici galluresi hanno conservato oggetti, storia, memorie delle tradizioni e della vita quotidiana del luogo.
Compresi naturalmente i “ferri” del mestiere di qualche Accabadora esercitante fino a non molto tempo fa l’altruistica professione.
Emadion.it
Kronos The Mad
01-10-17, 13:14
In serata sistemo i font e impaginazione :smugranking:
Rot Teufel
01-10-17, 14:02
:pippotto:
Kronos The Mad
01-10-17, 22:39
Mr Hamburger
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Joe Metheny era un serial killer di 62 anni, diventato famoso per aver venduto hamburger di carne umana preparati con i resti delle proprie vittime.
E’ stato recentemente trovato morto in una prigione del Maryland da una guardia, dove stava scontando due ergastoli. Metheny è stato condannato per l’omicidio di due donne, Cathy Magaziner and Kimberly Spicer, durante gli anni 90′, ma lui ha ammesso di aver ucciso circa 10 persone in totale.
L’uomo era decisamente sovrappeso, ed in una sua confessione ha affermato che, dopo aver ucciso le sue vittime, conservava la loro carne in un congelatore dove teneva aperte anche delle latte di manzo, in modo da mischiare gli odori e i sapori.
“Nessuno può percepire la differenza” tra carne di maiale e carne umana, ha infine aggiunto.
Ha ucciso le sue vittime quando viveva accanto ad un'azienda di pallet, nel sud di Baltimora.
La polizia non è mai stata in grado di collegare Metheny con tutte le vittime che ha millantato di aver ucciso.
Prima delle accuse di omicidio verso le due donne, si pensava anche che avesse ucciso due senzatetto con un’ascia, ma non furono mai trovate prove a sostegno di queste ipotesi.
Drogato di FPS
02-10-17, 10:57
Sull' Accabadora, hanno fatto anche un film italiano. Recente.
Sull' Accabadora, hanno fatto anche un film italiano. Recente.Tratto a sua volta da un libro della Murgia
Drogato di FPS
02-10-17, 11:02
Yep :sisi:
suzukireaian
02-10-17, 11:53
iscritto
Sembra il ciccio di left4dead :uhoh:
suzukireaian
03-10-17, 06:46
Hai la nonna viva
Anche su Dampyr avevano fatto una storia sull'Accabadora
Piccola nota linguistica, in Sicilia molte parole del dialetto derivano dallo spagnolo. Per dire che qualcosa è finito di dice "accapao".
Tipo "s'accapau u vinu".
Mi pare lo si usi anche nei confronti delle persone, tipo "Tizio accapao".
Kronos The Mad
03-10-17, 10:19
Piccola nota linguistica, in Sicilia molte parole del dialetto derivano dallo spagnolo. Per dire che qualcosa è finito di dice "accapao".
Tipo "s'accapau u vinu".
Mi pare lo si usi anche nei confronti delle persone, tipo "Tizio accapao".
Mh interessante ma c'entra pure "accoppare"? Mi sa no boh
gnappinox1
04-10-17, 15:27
Piccola nota linguistica, in Sicilia molte parole del dialetto derivano dallo spagnolo. Per dire che qualcosa è finito di dice "accapao".
Tipo "s'accapau u vinu".
Mi pare lo si usi anche nei confronti delle persone, tipo "Tizio accapao".
:uhm:
Da quello che ricordo in provincia di trapani si dice "accabare" ad esempio "accabao u vinu"
Non so come si dice in altre parti della sicilia, anche perchè è una parola che non sento da tanto tempo :sisi:
:uhm:
Da quello che ricordo in provincia di trapani si dice "accabare" ad esempio "accabao u vinu"
Non so come si dice in altre parti della sicilia, anche perchè è una parola che non sento da tanto tempo :sisi:Può essere, ma il suono alla fine è circa lo stesso.
C'è una lista così di parole derivate dallo spagnolo.
https://i0.wp.com/images.catania.liveuniversity.it/sites/2/2016/11/catalano-sicilianao.jpg?resize=630%2C840
Poi ci sono dall'arabo, francese, dalle regioni del nord, etc.
gnappinox1
04-10-17, 15:49
Assurdo quante parole del dialetto sono simili allo spagnolo :asd:
Già fatto un post su Henry Darger, il cattopedobicio americano che nel tempo libero scriveva un romanzo fantastico di 15k pagine su bambini che combattevano (e talvolta venivano massacrati) gli SCHIAVISTI?
Già fatto un post su Henry Darger, il cattopedobicio americano che nel tempo libero scriveva un romanzo fantastico di 15k pagine su bambini che combattevano (e talvolta venivano massacrati) gli SCHIAVISTI?
Le illustrazioni :popcorn:
Assurdo quante parole del dialetto sono simili allo spagnolo :asd:
che si sbrighino a chiedere l'indipendenza :mad:
Kronos The Mad
04-10-17, 21:59
Nazim Miyan
Siamo in India, nella città di Amariya, stato dell’ Uttar Pradesh, una donna, tornando a casa trova il figlio 20enne, Nazim Miyan, affetto da tossicodipendenza, intento a divorare un bambino di 7 anni.
La giovane vittima, Mohammad Monis, era stato rapito mentre giocava nel cortile della scuola, poco dopo la fine delle lezioni.
Dopo averlo condotto nella propria abitazione, Nazim Miyan decapitò il bambino, lo sventrò, lo fece a pezzi ed iniziò a strappare con la bocca la pelle e gli organi interni.
Nonostante lo scenario fosse raccapricciante, la donna non esitò un istante nel chiamare la polizia per far arrestare il figlio.
All’ arrivo delle Forze dell’ Ordine, Nazim Miyan si fece ammanettare senza opporre resistenza, impassibile, con lo sguardo freddo, allucinato e il sorriso beffardo, come se fosse… soddisfatto.
Mohammad (o almeno quello che rimaneva) venne ritrovato steso sul tavolo, in una pozza di sangue, con la testa staccata dal corpo.
Nazim Miyan, tutt’ ora in carcere in attesa di processo (è accusato di omicidio e sequestro di minore), rischiò il linciaggio della folla, mentre i poliziotti lo portavano in auto verso la centrale.
"C'erano le parti interne del cadavere sparse per tutta la stanza. Gli arti erano stati staccati a morsi, la testa era accanto al corpo e l'addome era aperto - ha raccontato un poliziotto - non ho mai visto una scena del genere".
Non sono ancora state spiegate le motivazioni dietro questo gesto sadico e disumano, il mostro è rimasto in silenzio per tutto l'interrogatorio.
La madre, ignara della tossicodipendenza del figlio, durante il suo sfogo lasciò trapelare delle parole che col senno di poi assunsero nuovo significato:
"A mio figlio piaceva molto la carne, soprattutto al sangue ma aveva anche la passione per il curry... Ne aggiungeva sempre tanto sopra, diceva che il sangue assumeva così un sapore tutto nuovo".
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Kronos The Mad
04-10-17, 22:08
Già fatto un post su Henry Darger, il cattopedobicio americano che nel tempo libero scriveva un romanzo fantastico di 15k pagine su bambini che combattevano (e talvolta venivano massacrati) gli SCHIAVISTI?
Arrivaaaaa
Kronos The Mad
04-10-17, 22:12
Nel regno dell'irreale
Henry Darger era la classica persona che passa inosservata. Abiti sciatti ma puliti, un umile lavoro come custode dell’ospedale locale, la messa ogni giorno, un lavoro di volontariato a favore dei bambini che avevano subito abusi o erano stati trascurati, una fissazione per la storia della Guerra Civile Americana. Aveva avuto un’infanzia piuttosto difficile, subendo anche un internamento in manicomio (e all’inizio del ‘900, non era uno scherzo: significava lavori forzati e severe punizioni); eppure di tutte quelle sofferenze Henry sembrava non portare alcun segno, anzi spesso ricordava di aver avuto anche momenti felici. Un solitario, ma di buon cuore. Un uomo qualsiasi, nella grande città ventosa di Chicago. Anche la sua morte avvenne senza clamore, una mattina d’aprile del 1973.
Eppure Henry nascondeva un segreto.
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Qualche giorno dopo la sua morte, frugando nella sua stanza per liberarla, i padroni di casa trovarono il progetto nascosto di Henry Darger, l’opera di una vita.
Il romanzo fantasy*The story of the Vivian Girls, reintitolato recentemente*The Realms of Unreal, scritto da Darger durante un periodo di oltre 60 anni, è un’opera straordinaria per dimensioni: più di 15.145 pagine di racconto, fittissime, e alcuni volumi rilegati contenenti diverse centinaia di illustrazioni, papiri colorati ad acquerello, ritagli di giornale e di libri da colorare. Oltre a questo, Darger scrisse anche un’autobiografia di 5.084 pagine, e un secondo lavoro di fiction,*Crazy House, di più di 10.000 pagine.
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Durante tutti quegli anni di vita da recluso, Darger aveva accumulato un archivio immenso di ritagli di giornale, pubblicità, pagine di libri per bambini. Su quella base, ricopiando i suoi ritagli, aveva illustrato le avventure delle Vivian Girls, le protagoniste del suo romanzo. In*The Realms of Unreal, le ragazze Vivian sono sette principesse (cattoliche) di un mondo immaginario in cui i Glandeliniani (atei convinti) sfruttano i bambini e ne abusano costantemente. Dopo che viene messo in attoil più scioccante omicidio infantile mai causato dal Governo Glandeliniano, i bambini si sollevano e si scatena una guerra senza confine, il vero fulcro del romanzo, che si sviluppa fra fughe rocambolesche, epiche battaglie e crudeli scene di tortura.
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Si è molto discusso su quello “scioccante omicidio infantile“. Darger, infatti, era rimasto particolarmente colpito dall’assassinio di una bambina, Elsie Paroubek, strangolata da uno sconosciuto nel 1911: aveva ritagliato la foto della piccola vittima da un giornale e l’aveva conservata come una reliquia. Quando un giorno l’immagine andò perduta, egli si convinse che la foto fosse stata rubata da qualche malintenzionato introdottosi in casa sua. Dopo aver elaborato preghiere e*novene*rivolte a Dio affinché gli fosse concesso di recuperare la fotografia, Darger decise che quell’affronto andava risolto in altro modo: nel suo romanzo in corso d’opera, che diventava ogni giorno di più una sorta di universo parallelo nel quale Henry risolveva i suoi conflitti interiori, fece scoppiare la guerra fra le Vivian girls e i Glandeliniani proprio a causa dell’omicidio di una piccola schiava ribelle. In virtù di questa ossessione di Darger per la piccola Elsie Paroubek, trasfigurata in eroina nel suo romanzo, il biografo MacGregor avanza l’ipotesi che l’assassino della bambina (mai identificato) fosse proprio lo stesso Darger.
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Le prove che Henry Darger potesse realmente essere un pedofilo o un assassino non sono mai affiorate. Certo è che gran parte delle illustrazioni di*Realms of Unrealmostrano ragazzine nude, spesso torturate e uccise dai Glandeliniani con un’attenzione e una cura dei particolari che ricordano i disegni realizzati dai più famosi serial killer. A intorbidire ancora più le acque, nella maggioranza dei dipinti le piccole bambine nude sfoggiano genitali maschili. È*molto probabile che, come notano i maggiori esegeti dell’opera di Darger, il vecchio recluso non avesse un’idea chiara dell’anatomia femminile, essendo rimasto molto probabilmente illibato fino alla fine dei suoi giorni.
È*innegabile che i suoi dipinti abbiano una forza strana e inquietante: sia che le sorelle Vivian siano in pericolo, sia che giochino innocentemente su un prato, una sottile vena di voyeurismo naif e infantile pervade ogni dettaglio, e nonostante i colori sgargianti e appariscenti il mondo di Darger è sempre impregnato di una tensione erotico-sadica piuttosto morbosa.
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In una catarsi psicanalitica durata sessant’anni, Darger disegnò centinaia e centinaia di fogli, anche di grandi dimensioni, illustrando le varie fasi dell’avventura bellica delle sue eroine. Il romanzo ha addirittura due finali, uno in cui le sorelle Vivian escono vittoriose dalla guerra, e uno in cui soccombono alle forze degli atei adulti Glandeliniani.
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Queste sue fantasie private, che nelle intenzioni originali non avevano forse alcuna pretesa d’arte, ma semplicemente di riscatto ed evasione da una vita troppo solitaria, sono oggi riconosciute come uno dei maggiori esempi di*outsider art*(arte degli emarginati). Le sue illustrazioni vengono esposte nelle maggiori gallerie, e vendute all’asta a prezzi elevatissimi. Documentari e saggi vengono prodotti sulla sua arte. L’American Folk Art Museum sta cercando di trasformare in museo il piccolo, povero appartamento nel quale Henry Darger, chino sui suoi fogli, privo di amici e lontano da tutti, fuggiva nello sconfinato e sublime mondo partorito dalla sua fantasia.
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Fonte:
BizzarroBazar
suzukireaian
05-10-17, 09:34
best topic of the last few years
Rot Teufel
05-10-17, 10:04
35.000 pagine scritte ed è riuscito a completare l'opera al contrario dell'eptalogia del cicciopanza :asd:
Ma quest'opera non è reperibile in libreria :uhm:
Sarebbe da recuperare questo
https://youtu.be/MSzzirIP0No
Necronomicon
05-10-17, 10:33
Che poi outsider nell'arte sta per "è morto povero, abbiamo comprato le sue robe in un mercatino per 10 euro, abbiamo costruito un mito artistico e rivenduto tutto a prezzi altissimi e fatto i milioni"
Police have released the chilling audio of a 999 call by a racist, paranoid schizophrenic who murdered his Kurdish refugee neighbor. Last year Jeffrey Barry, 56, entered the Bristol flat of Kamil Ahmad, 49, stabbed him to death and cut off his penis. (https://www.rt.com/uk/407106-barry-ahmad-murder-stab/)
Police have released the chilling audio of a 999 call by a racist, paranoid schizophrenic who murdered his Kurdish refugee neighbor. Last year Jeffrey Barry, 56, entered the Bristol flat of Kamil Ahmad, 49, stabbed him to death and cut off his penis. (https://www.rt.com/uk/407106-barry-ahmad-murder-stab/)
999 è il numero di telefono di quali emergenze? :asd:
999 è il numero di telefono di quali emergenze? :asd:
Inghilterra :snob:
Cronosso, mi manca leggere uno dei tuoi pezzi prima di abbandonarmi tra le braccia di Morfeo :cattivo:
Nel regno dell'irreale
Henry Darger era la classica persona che passa inosservata. Abiti sciatti ma puliti, un umile lavoro come custode dell’ospedale locale, la messa ogni giorno, un lavoro di volontariato a favore dei bambini che avevano subito abusi o erano stati trascurati, una fissazione per la storia della Guerra Civile Americana. Aveva avuto un’infanzia piuttosto difficile, subendo anche un internamento in manicomio (e all’inizio del ‘900, non era uno scherzo: significava lavori forzati e severe punizioni); eppure di tutte quelle sofferenze Henry sembrava non portare alcun segno, anzi spesso ricordava di aver avuto anche momenti felici. Un solitario, ma di buon cuore. Un uomo qualsiasi, nella grande città ventosa di Chicago. Anche la sua morte avvenne senza clamore, una mattina d’aprile del 1973.
Eppure Henry nascondeva un segreto.
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Qualche giorno dopo la sua morte, frugando nella sua stanza per liberarla, i padroni di casa trovarono il progetto nascosto di Henry Darger, l’opera di una vita.
Il romanzo fantasy*The story of the Vivian Girls, reintitolato recentemente*The Realms of Unreal, scritto da Darger durante un periodo di oltre 60 anni, è un’opera straordinaria per dimensioni: più di 15.145 pagine di racconto, fittissime, e alcuni volumi rilegati contenenti diverse centinaia di illustrazioni, papiri colorati ad acquerello, ritagli di giornale e di libri da colorare. Oltre a questo, Darger scrisse anche un’autobiografia di 5.084 pagine, e un secondo lavoro di fiction,*Crazy House, di più di 10.000 pagine.
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Durante tutti quegli anni di vita da recluso, Darger aveva accumulato un archivio immenso di ritagli di giornale, pubblicità, pagine di libri per bambini. Su quella base, ricopiando i suoi ritagli, aveva illustrato le avventure delle Vivian Girls, le protagoniste del suo romanzo. In*The Realms of Unreal, le ragazze Vivian sono sette principesse (cattoliche) di un mondo immaginario in cui i Glandeliniani (atei convinti) sfruttano i bambini e ne abusano costantemente. Dopo che viene messo in attoil più scioccante omicidio infantile mai causato dal Governo Glandeliniano, i bambini si sollevano e si scatena una guerra senza confine, il vero fulcro del romanzo, che si sviluppa fra fughe rocambolesche, epiche battaglie e crudeli scene di tortura.
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Si è molto discusso su quello “scioccante omicidio infantile“. Darger, infatti, era rimasto particolarmente colpito dall’assassinio di una bambina, Elsie Paroubek, strangolata da uno sconosciuto nel 1911: aveva ritagliato la foto della piccola vittima da un giornale e l’aveva conservata come una reliquia. Quando un giorno l’immagine andò perduta, egli si convinse che la foto fosse stata rubata da qualche malintenzionato introdottosi in casa sua. Dopo aver elaborato preghiere e*novene*rivolte a Dio affinché gli fosse concesso di recuperare la fotografia, Darger decise che quell’affronto andava risolto in altro modo: nel suo romanzo in corso d’opera, che diventava ogni giorno di più una sorta di universo parallelo nel quale Henry risolveva i suoi conflitti interiori, fece scoppiare la guerra fra le Vivian girls e i Glandeliniani proprio a causa dell’omicidio di una piccola schiava ribelle. In virtù di questa ossessione di Darger per la piccola Elsie Paroubek, trasfigurata in eroina nel suo romanzo, il biografo MacGregor avanza l’ipotesi che l’assassino della bambina (mai identificato) fosse proprio lo stesso Darger.
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Le prove che Henry Darger potesse realmente essere un pedofilo o un assassino non sono mai affiorate. Certo è che gran parte delle illustrazioni di*Realms of Unrealmostrano ragazzine nude, spesso torturate e uccise dai Glandeliniani con un’attenzione e una cura dei particolari che ricordano i disegni realizzati dai più famosi serial killer. A intorbidire ancora più le acque, nella maggioranza dei dipinti le piccole bambine nude sfoggiano genitali maschili. È*molto probabile che, come notano i maggiori esegeti dell’opera di Darger, il vecchio recluso non avesse un’idea chiara dell’anatomia femminile, essendo rimasto molto probabilmente illibato fino alla fine dei suoi giorni.
È*innegabile che i suoi dipinti abbiano una forza strana e inquietante: sia che le sorelle Vivian siano in pericolo, sia che giochino innocentemente su un prato, una sottile vena di voyeurismo naif e infantile pervade ogni dettaglio, e nonostante i colori sgargianti e appariscenti il mondo di Darger è sempre impregnato di una tensione erotico-sadica piuttosto morbosa.
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In una catarsi psicanalitica durata sessant’anni, Darger disegnò centinaia e centinaia di fogli, anche di grandi dimensioni, illustrando le varie fasi dell’avventura bellica delle sue eroine. Il romanzo ha addirittura due finali, uno in cui le sorelle Vivian escono vittoriose dalla guerra, e uno in cui soccombono alle forze degli atei adulti Glandeliniani.
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Queste sue fantasie private, che nelle intenzioni originali non avevano forse alcuna pretesa d’arte, ma semplicemente di riscatto ed evasione da una vita troppo solitaria, sono oggi riconosciute come uno dei maggiori esempi di*outsider art*(arte degli emarginati). Le sue illustrazioni vengono esposte nelle maggiori gallerie, e vendute all’asta a prezzi elevatissimi. Documentari e saggi vengono prodotti sulla sua arte. L’American Folk Art Museum sta cercando di trasformare in museo il piccolo, povero appartamento nel quale Henry Darger, chino sui suoi fogli, privo di amici e lontano da tutti, fuggiva nello sconfinato e sublime mondo partorito dalla sua fantasia.
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Fonte:
BizzarroBazar
molto interessante, pero' non è chiaro se fosse realmente un criminale o meno, porello magari non ha fatto nulla di male. invece di un acclarato sk (john gacy) mi pare si sarebbe potuto sviluppare un mercato morboso e florente sui suoi dipinti, solo che facevano cagare ed erano monotematiche (dipingeva sempre clown tristi)
molto interessante, pero' non è chiaro se fosse realmente un criminale o meno, porello magari non ha fatto nulla di male. invece di un acclarato sk (john gacy) mi pare si sarebbe potuto sviluppare un mercato morboso e florente sui suoi dipinti, solo che facevano cagare ed erano monotematiche (dipingeva sempre clown tristi)
Se la teoria delle bimbe con il pipino, perchè non sapeva come erano fatte, è vera, punterei sul pedo-feel-lich :pippotto:
Se la teoria delle bimbe con il pipino, perchè non sapeva come erano fatte, è vera, punterei sul pedo-feel-lich :pippotto:
ma io penso che gli piacesse semplicemente il cazzo
Kronos The Mad
24-10-17, 22:34
La tortura bianca
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L’uomo è famoso per ingegnarsi sempre nel cercare nuovi metodi di tortura. La tortura bianca, una forma di tortura moderna, è frutto di questo terribile ingegno.
Di solito quando pensate alla parola tortura pensate al dolore fisico, tuttavia la tortura bianca è una potentissima forma di sevizia psicologica.
Usata soprattutto in Iran ci sono testimonianze del suo uso anche in Irlanda, negli Stati Uniti, in Venezuela e in alcune parti d’Europa.
Cos’è la tortura bianca?
La tortura bianca consiste essenzialmente nella deprivazione sensoriale.
Il prigioniero è rinchiuso in una stanza completamente bianca con isolamento sonoro. Il bianco è usato per colpire tutti i sensi:
La vista:
Le luci bianche vengono da tubi al neon posizionati in modo da non creare ombra alcuna e il prigioniero è vestito con abiti completamente bianchi.
L’udito:
La stanza è insonorizzata oppure si trova in un luogo remoto dove non è possibile udire voci e in questo caso le guardie staranno in silenzio e useranno calzature speciali imbottite per non provocare rumori.
Il tatto:
Tutte le superfici sono lisce
Il gusto e l’olfatto:
Ogni giorno sarà servito del cibo bianco, di solito riso scondito per deprivare i sensi del gusto e dell’olfatto.
Per quanto possa sembrare meno temibile di altre pene corporali, questa tortura porta in poco tempo ad avere allucinazioni e ha degli effetti negativi a lungo termine. I prigionieri possono essere tenuti in questo stato per mesi o addirittura anni e una volta usciti dalla stanza avranno conseguenze psicologiche permanenti.
Testimonianze
Amir Abbass Fakhravar
Amir Abbas Fakhravar viene considerato il primo ad aver subito questo tipo di tortura dal governo iraniano. Ad Amnesty International racconta che le celle non avevano finestre, e tutto era bianco. I pasti consistevano in riso bianco servito su di un piatto di carta, anch’esso bianco. Per usare il bagno doveva passare un foglio di carta bianco sotto la porta per avvertire le guardie e gli era proibito parlare con chiunque.
Ulrike Meinhof
Giornalista e terrorista tedesca, raccontò che dopo la sua cattura negli anni ’70 venne messa in una cella d’isolamento, lontana da qualsiasi centro abitato e situata in un’ala del carcere completamente isolato, in modo da non sentire nessun rumore né nessuna voce.
Tutta la cella e l’arredamento erano dipinti di bianco, ad eccezione della porta d’entrata e l’unica finestra presente non poteva essere aperta che di qualche millimetro, ma la visuale era comunque ostruita da una fitta zanzariera. L’illuminazione proveniva da tubi al neon e non veniva spenta nemmeno di notte.
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Inoltre il riscaldamento non veniva mai acceso, nemmeno d’inverno.
Ulrike scrisse che durante la sua prigionia aveva la sensazione che la testa le esplodesse, che la scatola cranica si sollevasse e si spezzasse.
Scrisse anche che aveva la sensazione che la sua cella fosse in viaggio e che si “fermasse” solo quando, a volte, entravano dei raggi di sole dalla finestra. La sensazione che la stanza fosse in viaggio però non finiva mai.
Aveva la sensazione di ammutolire, non riusciva più a distinguere la semantica delle parole, parlare era quasi impossibile e aveva forti dolori alla testa. Gli agenti, le visite e il cortile sembravano fatti di carta e mezz’ora dopo le visite, una volta in cella, non sapeva se qualcuno l’avesse visitata lo stesso giorno o una settimana prima.
Ulrike si impiccò alle sbarre della sua cella due anni dopo la sua cattura, anche se alcuni indizi potrebbero far pensare che sia stata uccisa.
Seyyed Ebrahim Nabavi
Giornalista e prigioniero politico iraniano racconta che dopo la tortura bianca non riesce più a dormire senza l’ausilio di sonniferi. La solitudine non lo abbandona mai, neanche dopo essere stato liberato, nel 2004.
Racconta anche che non è stato solo privato sensorialmente, ma è stato anche manipolato. Gli è stato fatto credere che la figlia fosse stata rapita e che i suoi amici avessero detto alla polizia menzogne su di lui.
A quel punto qualcosa comincia a rompersi dentro, e quando questo avviene la polizia ha il prigioniero in pugno.
Amir Fakhravar
Studente diciassettenne, racconta di come tutto nella cella fosse bianco: il pavimento, le pareti, i vestiti e anche la luce, accesa 24 ore su 24. Gli veniva servito solo riso in bianco, non sentiva nessuna voce, né poteva sentire nessun odore. Vive così per otto mesi e dopo essere stato liberato non ricorda più i volti dei suoi genitori.
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Emadion.it
il ricchione biondo
Nel 1929, a Chicago....
GenghisKhan
25-10-17, 10:34
Nella tortura bianca il segreto è il riso bianco: si riempiono di merda fino al cervello e ciò causa tutti i problemi psicologici descritti :snob:
Svapo, non puoi fare cacca nell angolo? No, meglio cagare dovunque e poi facciamo una bella passeggiata, così portiamo impronte e puzza di merda per tutto il forum
Svapo, non puoi fare cacca nell angolo? No, meglio cagare dovunque e poi facciamo una bella passeggiata, così portiamo impronte e puzza di merda per tutto il forum
Durerà poco, nel frattempo: https://www.thegamesmachine.it/forum/just-4-spam-/15777-hide-user-thread-ufficioso-asd.html
In India usano la stanza marrone? :fag:
suzukireaian
08-11-17, 15:02
pomeriggio fiacco, server kronos magazine
https://video.repubblica.it/edizione/roma/voto-ostia-roberto-spada-aggredisce-inviato-di-nemo/289165/289774?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1
suzukireaian
08-11-17, 16:31
quella testata lì fa male, ve lo dico
https://video.repubblica.it/edizione/roma/voto-ostia-roberto-spada-aggredisce-inviato-di-nemo/289165/289774?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1
se era un cittadino qualunque a fare l'aggressione quanto si sarebbe preso?
se era un cittadino qualunque a fare l'aggressione quanto si sarebbe preso?
perchè si sarebbe? si prendera'...582 con aggravante 583 co 1, da 3 a 7 anni
no aspe', prognosi di 30 gg , è lesioni lievi, solo 582 peccato...pero' quella testata puo' anche accoppare uno, quindi potrebbe rientrare il 583... ci vorrebbe un giudice severo nei 2 gradi di giudizio
no aspe', prognosi di 30 gg , è lesioni lievi, solo 582 peccato...pero' quella testata puo' anche accoppare uno, quindi potrebbe rientrare il 583... ci vorrebbe un giudice severo nei 2 gradi di giudizio
visto il tipo e le sue origini è già tanto che gli hanno dato quella pena, anche i giudici devono tornare a casa e tengono famiglia.
:pippotto:
GenghisKhan
08-11-17, 19:29
quella testata lì fa male, ve lo dico
Eh, pensa un calcio nelle palle
suzukireaian
09-11-17, 08:24
Eh, pensa un calcio nelle palle
sicuramente, non lo metto mica in dubbio.
Però poteva veramente ammazzarlo quello :uhoh:
gnappinox1
09-11-17, 09:21
Storia, storia, storia, storia, storia, storia, storia, storia, storia, storia!
:sbircio:
Kronos The Mad
09-11-17, 11:11
Mike il pollo senza testa
Il 10 Settembre 1945* il contadino Lloyd Olsen, padrone di una fattoria a Fruita, Colorado, decise che era ora che sua moglie Clara gli cucinasse un bel bollito di pollo.
Scese nell’aia, prese un’accetta affilata e con un colpo deciso staccò la testa ad uno dei suoi galli. Ma il pennuto non aveva voglia di morire: dopo aver corso un po’ in giro, il gallo si tranquillizzò, e ricominciò a raspare il terreno alla ricerca di cibo, e ad aggiustarsi le piume proprio come tutti gli altri polli.
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Quando, la mattina seguente, Olsen lo trovò ancora vivo, pacificamente addormentato con il collo riparato sotto l’ala, decise che – visto che l’animale aveva tanta determinazione nel restare vivo – avrebbe tentato di trovare un modo per nutrirlo. Lo battezzò Mike, e cominciò a somministrargli acqua e sementi attraverso un contagocce.
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“Mike, il meraviglioso pollo senza testa”, divenuto in fretta una celebrità, visse tranquillo e pasciuto per ben 18 mesi. Gli scienziati scoprirono che la decapitazione gli aveva lasciato intatta la base del cervello, che è sede di gran parte dei riflessi motori di polli e galline. Un grosso grumo di sangue aveva inoltre bloccato l’arteria, impedendogli di morire dissanguato.
In quei 18 mesi Mike passò dal peso di due libbre e mezzo alla bella stazza di otto libbre: “era un bel pollo grasso, che non aveva idea di essere senza testa”, raccontano i testimoni. “Miracle Mike” partì in tour per tutti gli Stati Uniti, fu assicurato per 10,000$, la sua foto venne pubblicata su Life e Time, e ovviamente vinse un Guinness World Record. Morì soffocato proprio durante questa “tournée”, in un motel dell’Arizona, una sera che gli Olsen non riuscirono a trovare in tempo il contagocce che usavano per sbloccargli la trachea.
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Ancora oggi, però, la storia di Mike ispira ottimismo: a maggio, nella cittadina di Fruita, si tiene annualmente il Mike’s Festival – con danze, musica, esposizione di automobili, costumi, e gare folli come la “corsa senza testa”. Il favoloso Mike ha*un suo sito internet, un negozio di gadget, degli sponsor e addirittura un fan club.
E ci insegna che perdere la testa non è poi tutta questa tragedia.
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BizzarroBazar
suzukireaian
09-11-17, 11:14
fantastico, anche oggi ne ho letta una nuova
grazie cronos
gnappinox1
09-11-17, 11:32
:hurra::hurra:
Mike il pollo senza testa
Il 10 Settembre 1945* il contadino Lloyd Olsen, padrone di una fattoria a Fruita, Colorado, decise che era ora che sua moglie Clara gli cucinasse un bel bollito di pollo.
Scese nell’aia, prese un’accetta affilata e con un colpo deciso staccò la testa ad uno dei suoi galli. Ma il pennuto non aveva voglia di morire: dopo aver corso un po’ in giro, il gallo si tranquillizzò, e ricominciò a raspare il terreno alla ricerca di cibo, e ad aggiustarsi le piume proprio come tutti gli altri polli.
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Quando, la mattina seguente, Olsen lo trovò ancora vivo, pacificamente addormentato con il collo riparato sotto l’ala, decise che – visto che l’animale aveva tanta determinazione nel restare vivo – avrebbe tentato di trovare un modo per nutrirlo. Lo battezzò Mike, e cominciò a somministrargli acqua e sementi attraverso un contagocce.
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“Mike, il meraviglioso pollo senza testa”, divenuto in fretta una celebrità, visse tranquillo e pasciuto per ben 18 mesi. Gli scienziati scoprirono che la decapitazione gli aveva lasciato intatta la base del cervello, che è sede di gran parte dei riflessi motori di polli e galline. Un grosso grumo di sangue aveva inoltre bloccato l’arteria, impedendogli di morire dissanguato.
In quei 18 mesi Mike passò dal peso di due libbre e mezzo alla bella stazza di otto libbre: “era un bel pollo grasso, che non aveva idea di essere senza testa”, raccontano i testimoni. “Miracle Mike” partì in tour per tutti gli Stati Uniti, fu assicurato per 10,000$, la sua foto venne pubblicata su Life e Time, e ovviamente vinse un Guinness World Record. Morì soffocato proprio durante questa “tournée”, in un motel dell’Arizona, una sera che gli Olsen non riuscirono a trovare in tempo il contagocce che usavano per sbloccargli la trachea.
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Ancora oggi, però, la storia di Mike ispira ottimismo: a maggio, nella cittadina di Fruita, si tiene annualmente il Mike’s Festival – con danze, musica, esposizione di automobili, costumi, e gare folli come la “corsa senza testa”. Il favoloso Mike ha*un suo sito internet, un negozio di gadget, degli sponsor e addirittura un fan club.
E ci insegna che perdere la testa non è poi tutta questa tragedia.
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BizzarroBazar
che bella storia, da raccontare ai piccini per farli addormentare
Beh, j4s ha svapo :asd:
Inviato dal mio PRA-LX1 utilizzando Tapatalk
Beh, j4s ha svapo :asd:
Inviato dal mio PRA-LX1 utilizzando Tapatalk
si pero' siamo adulti e quindi possiamo batterlo, come successo con IT che i grandi alla fine ce l'hanno fatta a sconfiggere il mostro, anche se qualcuno nel cammino non ce l'ha fatta
suzukireaian
09-11-17, 14:22
Beh, j4s aveva svapo :asd:
Inviato dal mio PRA-LX1 utilizzando Tapatalk
fix
GenghisKhan
09-11-17, 19:55
Questa del pollo la conoscevo già :asd:
Kronos The Mad
17-10-18, 22:13
Yoshihiro Hattori e l’Halloween mortale
Yoshihiro Hattori (服部剛丈) era un giovane ragazzo pieno di energia. Amava la vita, amava il mondo, amava viaggiare. Nato nel 1975, era ancora un sedicenne quando, nel 1992, è partito per gli Stati Uniti per unirsi alla American Field Service, un programma di interscambi per studenti di varie nazioni. Yoshihiro viveva a Baton Rouge, capitale dello stato della Louisiana. Era ospite di un professore del college e della sua famiglia.
In questa città però non troverà altro che la morte, protagonista di un crimine che tutt’oggi lascia ancora molti vuoti e dubbi.
Tornando ai fatti: Yoshihiro e il suo amico Webb, figlio del professore, ricevono l’invito ad una festa di Halloween per studenti giapponesi che si terrà il 17 ottobre. Sono passati solo un paio di mesi dal suo arrivo in America. Decide di vestirsi come Tony Manero del film “La Febbre del Sabato sera”.
Arriva il fatidico giorno, i due ragazzi si preparano e partono in direzione della casa nella quale si terrà la festa, in un quartiere nella zona est della città. Una volta lì si avvicinano a quella che pensavano essere la casa giusta, confusi dalla somiglianza dell’indirizzo e dalle decorazioni all’esterno. Si tratta invece della casa di Rodney Peairs.
I due ragazzi, inconsci dell’errore, bussano tranquillamente alla porta ma nessuno risponde. La moglie di Peairs, Bonnie, era invece uscita dalla porta laterale, probabilmente per capire chi fossero i due ragazzi. Webb, che l’aveva vista, tenta di chiedere spiegazioni ma la donna spaventata rientra subito in casa e consiglia al marito di munirsi della pistola.
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Passato qualche secondo lo stesso Webb si rende conto dell’errore e fa per comunicarlo anche al ragazzo giapponese per poter così ritornare in macchina. Proprio in quel momento Rodney Peairs apre la porta del garage. Gli studenti cercano subito di spiegare lo sbaglio e che erano lì solo per una festa ma Peairs non si fida e punta la pistola contro il finto Tony Manero urlandogli di non muoversi. Webb che aveva visto la pistola lancia un urlo verso Yoshihiro che, forse per il suo inglese non perfetto o forse pensando a uno scherzo di Halloween, non ascolta né l’avvertimento del suo amico né l’ordine urlatogli da Peairs.
Nel momento esatto in cui il ragazzo giapponese fa un ulteriore passo nella direzione di Peairs, quest’ultimo spara colpendolo al petto per poi andarsi a rinchiudere in casa. Webb a quel punto corre subito dai vicini in cerca di aiuto.
Yoshihiro era steso a terra, sulla schiena gravemente ferito. La pallottola lo aveva colpito al polmone sinistro, all’altezza della settima costola. La polizia arriverà dopo 40 minuti e il ragazzo giapponese morirà qualche minuto dopo, sull’ambulanza, a causa dell’enorme quantità di sangue persa.
Rodney Peairs è stato immediatamente arrestato e dopo un processo durato sette giorni – processo molto discutibile e durante il quale sono state presentate più versioni della storia, una nella quale Yoshihiro è stato descritto muoversi a gran velocità verso il suo assassino, in un’altra il ragazzo giapponese faceva dei movimenti molto strani, in un’ultima il Peairs era incapace di intendere a causa della grande preoccupazione provata per la moglie terrorizzata e in lacrime – la giuria lo ha considerato non colpevole. Il processo civile ha invece ribaltato la sentenza di quello penale condannando Peairs a un risarcimento, nei confronti dei genitori del ragazzo, di 650.000 dollari.
https://www.ohayo.it/cultura/storia-giapponese/yoshihiro-hattori-e-lhalloween-mortale/
questa dovrebbe andare in 'murika plis staph amarcord
Rot Teufel
18-10-18, 09:06
il pollo :asd:
GenghisKhan
18-10-18, 14:21
Le armi portano sicurezza :snob:
Kronos The Mad
14-07-19, 11:40
Le Belve di Vercelli
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Doretta Graneris e Guido Badini. Nomi che, oggi, dicono poco o nulla. Personaggi caduti nel famigerato dimenticatoio, passati in secondo, terzo piano, sepolti, inghiottiti dall’inesorabile trascorrere del tempo e delle cronache.
Eppure, stiamo parlando di due tra i più spietati, lucidi assassini che la storia contemporanea italiana abbia mai incontrato sul proprio cammino. Doretta Graneris e Guido Badini, infatti, sono passati alla storia con il macabro appellativo “le belve di Vercelli”. Ma riavvolgiamo il nastro della narrazione sino a quei fatidici giorni di 43 anni fa. È il novembre del 1975.
Doretta e Guido, legame mortale
Doretta Graneris (Vercelli, 16 febbraio 1957) è una ragazza di 18 anni. La sua famiglia, borghese e ben vista dalla comunità locale, è composta dal padre, Sergio Graneris (45 anni), dalla madre, Itala Zambon (41 anni), dal fratello minore, Paolo Graneris (13 anni) e dai nonni materni, Romolo Zambon e Margherita Baucero, rispettivamente di 79 e 76 anni. Doretta è diplomata al Liceo Artistico e, saltuariamente, va a lavorare nella officina da gommista del padre.
Una famiglia, dunque, normale, ordinaria, come tante: la scuola, gli affetti, i problemi, la monotonia della vita di provincia. Tutto sembra tremendamente comune, consueto. Normale, appunto. Ma non è così. Doretta, invero, vive in modo personale il proprio disagio famigliare, sociale ed esistenziale. Un disagio silenziosamente interiorizzato e covato, ma pronto ad esplodere e a manifestarsi in modo violento e vendicativo.
E’ descritta come una ragazza solitaria, “complessata” – usando una definizione tanto semplicistica quanto diffusa –, è attratta ossessivamente dal sesso. Si considera brutta e grassa, si ritiene inferiore, è insofferente verso tutto e tutti – ad iniziare dalla sua città, Vercelli – e reputa i propri genitori eccessivamente severi, autoritari, retrogradi, rigidi, tradizionalisti. L’insofferenza di Doretta rispetto ai propri genitori – che le impediscono anche di uscire la sera – si tramuta in viscerale disprezzo.
Si scontra spesso con il padre Sergio e la madre Itala: scontri generazionali, ribellione giovanile nei riguardi di una famiglia che, al contrario, non ha mai fatto mancare nulla ai propri figli, Doretta compresa. Rigidi sì, ma al contempo generosi. Sergio Graneris, a testimonianza degli ottimi rapporti che intercorrono tra i Graneris e gli Zambon, apre una attività di gommista assieme a Romolo.
Famiglia benestante quella Graneris; persone abituate a guadagnarsi il pane (ed il danaro) con il sudore del proprio lavoro. Prerogativa che, tuttavia, non piace a Doretta.
Nel novembre 1975, Doretta Graneris ha un fidanzato. Si chiama Guido Badini, 23 anni, ragioniere, rimasto prematuramente orfano: il padre, morto in un ospedale psichiatrico quando ha 14 anni, la madre, sarta, malata di cancro.
Si sono conosciuti a fine 1972, a casa di Doretta, in occasione del Capodanno. Guido Badini è un ragazzo ormai allo sbando: privo di punti di riferimento, disadattato, senza lavoro. Un “Peter Pan” in negativo. Tra i due nasce un rapporto contraddistinto da malsana complicità, all’interno del quale è Doretta a condurre le danze: ella è la figura dominante e catalizzante, Guido recita il ruolo di spalla ideale. I due sono accomunati da una visione al contempo ribelle ed apatica della vita: entrambi senza lavoro e voglia di trovare un impiego, la coppia vive grazie al denaro dei genitori. Ma non vogliono ambire ad una vita misera, fatta di stenti: al contrario, essi bramano denaro ed un tenore di vita agiato. Denaro facile.
La relazione tra i due giovani, però, è vista di cattivo occhio dalla famiglia di Doretta. Liti e reiterate discussioni conducono ad un punto di rottura, di non ritorno: Doretta e Guido vanno a vivere insieme, a Novara, nell’appartamento di Guido Badini. Solo la generosità e la premura dei genitori della ragazza – nonostante gli attriti con la propria figlia e la mai sopita diffidenza verso il suo compagno – consente alla giovane coppia, priva di indipendenti entrate finanziarie, di vivere abbastanza dignitosamente. Anche alla luce del timido riavvicinamento, la famiglia di Doretta costituisce sempre più un peso, un ingombrante fardello, un ostacolo allo stile di vita dissoluto e solitario della coppia. Doretta e Guido decidono di sposarsi: le nozze sono programmate per la fine di novembre. Questa, tuttavia, non sarà l’unica decisione presa dai due giovani in quei freddi giorni.
13 novembre 1975: la strage della famiglia Graneris
Doretta Graneris e Guido Badini, inesorabilmente stritolati dalla loro “realtà parallela”, meditano un piano diabolico: uccidere, sterminare la famiglia Graneris. Avidità – impossessarsi del patrimonio della famiglia stessa – e desiderio di eliminare ogni persona sgradita sono le cause scatenanti che portano alla strage. Si stima un ammontare di circa 100 milioni depositati in banca. Altro denaro sarebbe ricavato, nelle intenzioni della coppia, dalla vendita degli immobili di famiglia.
È la sera del 13 novembre 1975. Doretta e Guido si recano a casa della ragazza, una villetta in via Caduti nei Lager 9, situata alla periferia Sud-Ovest di Vercelli. La famiglia è raccolta davanti al televisore, ignara dell’atroce destino che la attende. Assieme a Doretta e Guido vi è un terzo ragazzo. Si chiama Antonio “Toni” D’Elia, 19 anni di Trecate ma di origine calabrese, un altro sbandato con precedenti penali, una sorta di amante – alla luce del sole – di Doretta. I tre giungono a casa della famiglia di Doretta dopo disparati passaggi ancorché alquanto arrischiati: Doretta, dopo aver lasciato l’appartamento di Guido Badini, si reca da Antonio D’Elia. I due rubano, ad Arese, una Simca, vettura che poi verrà data alle fiamme. Frattanto, Guido Badini noleggia una FIAT 500, con la quale raggiunge i due complici a Vercelli.
In casa entrano solo Doretta e Guido. D’Elia attende fuori, in strada. La coppia, prossima al matrimonio, discute coi genitori della ragazza circa alcune delicate questioni riguardanti le nozze. D’un tratto, la mattanza ha inizio.
La dinamica vede Doretta e Guido sparare in simultanea con pistole diverse, una Beretta ed una Browning. Pochi secondi ed è tutto finito. La famiglia Graneris viene decimata dalla lucida follia di Doretta e Guido: cadono in sequenza il padre Sergio, la madre Itala, i nonni Romolo e Margherita, infine Paolo. Il fratello tredicenne, dapprima solo ferito e che cerca sino all’ultimo riparo, viene freddato con un colpo a bruciapelo. Il suo corpo giace vicino alla finestra. In tutto, le pistole di Guido e Doretta esplodono 19 colpi. La mattanza si è consumata, rapida e feroce, la famiglia di Doretta Graneris annientata. I ragazzi lasciano la villetta e si dirigono a casa di un altro amico, ove rimangono circa due ore. Come nulla fosse.
L’arresto e le condanne
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La carneficina viene scoperta, la mattina seguente alla strage, da Maria Ogliano, 67 anni, madre di Sergio Graneris e nonna di Doretta, insospettita dalla assenza del figlio al lavoro. Il lampadario ed il televisore ancora accesi. Il cancello incomprensibilmente aperto. La scena che si palesa agli occhi della Ogliano e dei Carabinieri è raccapricciante. Bossoli ovunque, di due pistole.
Le indagini non tardano ad attivarsi. Gli investigatori rintracciano a stretto giro Doretta, in quell’istante in compagnia di Guido, a Novara. I due sono fuori casa, al mercato. Come mai la ragazza mostra una innaturale insensibilità di fronte alla notizia dello sterminio della propria famiglia? E come mai, nell’abitacolo dell’auto di Badini, i Carabinieri trovano un bossolo del medesimo calibro (7,65) ritrovato sulla scena del crimine? Badini afferma che gli è caduto dopo una sessione al poligono di tiro: ed effettivamente, il ragazzo va a sparare al poligono e possiede alcune pistole.
Tutto si sviluppa e si consuma nell’arco di poche ore. La coppia è prontamente condotta in caserma.
L’interrogatorio è lungo e tambureggiante. I due assassini cedono e confessano: il primo a cedere è Guido, Doretta – che in un primo momento nega il proprio coinvolgimento – confesserà più tardi.
In una prima fase, Doretta si assume tutta la responsabilità degli omicidi. Ma gli inquirenti non le credono. Guido, possessore e appassionato d’armi, confessa, ma scarica ogni colpa su Doretta, la vera regista dei crimini. Tra i due inizia uno scaricabarile senza soluzione di continuità: Doretta accusa Guido, Guido accusa Doretta. L’amore tra i due, ancora vivo nelle prime fasi delle indagini (scambio di lettere appassionate), svanisce allorché ognuno cerca il modo di addossare la colpa sull’altro.
Non è tutto: i due – specie Guido – cambiano più volte versione dei fatti. Guido, ad un tratto, si assume ogni responsabilità: è lui ad aver sparato, lui ad aver ucciso, lui a voler rendere orfana la sua amata Doretta in segno di disprezzo verso gli opprimenti genitori della ragazza. Insomma, un omicidio a sfondo passionale: sterminare la famiglia della propria amata quale estrema prova d’amore, nonché rivalsa su persone – i genitori di Doretta – che non lo hanno mai apprezzato. Doretta e Guido: accomunati dalla assenza dei genitori. Una visione tanto complice quanto distorta.
Poi, però, si rimangia tutto. Al contempo, la posizione di Antonio D’Elia appare subito più defilata: è sì complice, partecipa ai delitti ma il suo ruolo appare “marginale”, logistico potremmo definirlo. La pena inflitta al D’Elia, infatti, rispecchia i fatti.
Guido afferma, inoltre, di essere stato plagiato, condizionato da Doretta. Questa, come emerge dalle carte processuali, si rivela un’abile dominatrice senza scrupoli. I due cercano, ad ogni modo, di invocare l’infermità mentale mediante inverosimili esternazioni e falsi retroscena i quali, infatti, vengono rigettati. Doretta e Guido sono bugiardi, furbi, feroci assassini ma totalmente capaci di intendere e volere. Qualcuno, in un’epoca in cui lo scontro politico si manifesta anche in modo particolarmente violento, cerca di conferire un colore politico ai delitti: Badini, infatti, parimenti ad altri personaggi invischiati più o meno direttamente in questa losca vicenda, è un simpatizzante di estrema destra. Una vendetta politica? No, nulla di tutto ciò. La politica, qui, non c’entra. È solo una “invenzione intellettuale” della stampa.
Durante il processo, ecco il colpo di scena. Si scopre che Guido Badini ha già ucciso, in luglio. La vittima è Anna De Giorgi, una prostituta. Un delitto apparentemente privo di movente. Guido Badini, invero, ha ucciso la donna solo per il gusto di uccidere: una prova di forza della quale potersi vantare di fronte a Doretta e ai suoi amici. Badini cerca di coinvolgere altre persone, ma questi si rivelano estranei ai fatti.
Doretta Graneris e Guido Badini sono condannati all’ergastolo. È l’aprile del 1978. L’Appello – datato 1980 – e la Cassazione, nel 1983, confermano la pena detentiva.
Nel gennaio 1987, Doretta ottiene 15 giorni di libertà: esce da Le Nuove di Torino assieme ad una assistente sociale del SERMIG (Servizio Missionario Giovani). Nel 1991, inizia a lavorare nel Gruppo Abele di don Ciotti. Diciotto anni dopo gli omicidi di Via Caduti nei Lager 9, Doretta Graneris ottiene la semilibertà (7 aprile 1993), tramutata in libertà condizionale nel 2000.
La donna – laureata in Architettura ed ormai integrata – vuole dimenticare ed essere dimenticata ma, inevitabilmente, la eccessiva benevolenza della giustizia non può che destare dubbi e perplessità.
Anche Guido Badini, all’apparenza un “detenuto modello” come Doretta, palesa un percorso carcerario tormentato. Nel 1987, escogita un piano, con la complicità di persone all’esterno del carcere, per evadere – approfittando di un permesso premio – ed uccidere nuovamente. Piano prontamente smascherato e soffocato sul nascere. Nel 1997, ritorna in carcere, a Brescia: traffico di droga. Anche Badini, nel marzo 1993, aveva ottenuto un regime di semilibertà; dal 1992, lavorava come giardiniere nella comunità “Fraternità” di Ospitaletto. Dai primi anni 2000, Badini è libero.
Il caso Graneris è, in definitiva, una torbida storia di provincia. La provincia quale scenario ricorrente – in passato come ai giorni nostri – di efferati episodi di cronaca nera. Una torbida storia in cui una figlia ribelle ed il proprio ragazzo – anch’egli mina impazzita immersa nella movimentata, ardente ma al contempo tradizionalista società Anni ’70 – commettono uno degli omicidi multipli più disumani della storia d’Italia. Non tutto è stato scritto, non tutto è stato detto attorno a quella sera del 13 novembre 1975. Doretta, infatti, ha confessato gli omicidi ma la dinamica degli accadimenti appare ancora sfocata.
Doretta Graneris, anche in sede processuale, spersonalizza i membri della propria famiglia: “lui”, “lei” al posto di “papà” o “padre”, “mamma” o “madre”. Distacco, spersonalizzazione, barriera psicologica rispetto ad avvenimenti fortemente traumatizzanti sebbene scaturiti dalla protagonista stessa, Doretta.
Aspetti inquietanti di una vicenda ancora di tremenda attualità.
Fonte: Emadion (https://emadion.it/omicidi/assassini/coppie-assassine/doretta-graneris-e-guido-badini-le-belve-di-vercelli/)
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/05/l80enne-serial-killer-ex-macellaia-regalava-carne-umana-in-gelatina-ai-bambini-del-suo-quartiere/5498380/
Kronos The Mad
06-10-19, 10:30
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/05/l80enne-serial-killer-ex-macellaia-regalava-carne-umana-in-gelatina-ai-bambini-del-suo-quartiere/5498380/Brava donna
Kronos The Mad
06-10-19, 10:38
La terribile Tucandeira
(da Bizzarro Bazar
http://bizzarrobazar.com)
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Il rito di iniziazione della tucandeira è tipico del popolo Sateré Mawé stanziato lungo il Rio delle Amazzoni al confine tra gli stati di Amazonas e di Pará del Brasile.
Il rituale prende il nome da una formica di grandi dimensioni (la Paraponera clavata) la cui dolorosissima puntura, 30 volte più velenosa di quella di un’ape, causa gonfiore, arrossamento, febbre e violenti brividi.
Questa prova di coraggio e di resistenza sancisce l’ingresso nell’età adulta: ogni adolescente che voglia diventare un vero guerriero vi si deve sottoporre.
La tucandeira si svolge nei mesi dell’estate amazzonica (da ottobre a dicembre).
Per prima cosa si catturano le formiche, prelevandole dai formicai ubicati alla base di alberi cavi, e le si rinchiudono in un bambù vuoto chiamato tum-tum. Viene poi preparata una mistura di acqua e foglie di cajú, e le formiche vengono immerse e lasciate in questa “zuppa” anestetizzante.
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Una volta che sono addormentate, vengono inserite a una a una nell’ordito di un guanto di paglia, con i temibili pungiglioni rivolti verso l’interno. Si aspetta poi che si risveglino dal loro torpore: rendendosi conto di essere intrappolate, le formiche cominciano ad agitarsi, sempre più rabbiose.
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Quando finalmente arriva l’ora del rituale vero e proprio, tutto il villaggio di riunisce per osservare e incoraggiare gli adolescenti che si sottopongono all’iniziazione. È il tanto temuto momento della prova. Riusciranno a resistere al dolore?
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Colui che conduce la danza intona il canto, adattando le parole alla circostanza. Le donne siedono davanti al gruppo degli uomini e accompagnano la melodia. Alcuni candidati si dipingono le mani di nero con le bacche del genipapo e poi bevono un liquore molto forte detto taruhà, a base di manioca fermentata, utile per attenuare il dolore e darsi forza nell’affrontare il rito. Chi affronta la tucandeiraper le prime cinque volte deve assoggettarsi a determinate diete. Quando le formiche si risvegliano, inizia il rito vero e proprio. Il direttore della danza fa scivolare i guanti sulle mani dei candidati e soffia del fumo di tabacco nei guanti, per irritare ulteriormente le formiche. Poi i suonatori attaccano a suonare rudimentali tubi di legno mentre i ragazzi iniziano a danzare.
(A. Moscè , I Sateré Mawé e il rito della tucandeira, in “Etnie”, 23/01/2014)
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Le formiche inferocite cominciano a pungere le mani dei giovani, che vengono fatti ballare per distrarsi dal male. In poco tempo le mani e le braccia si paralizzano; per superare la prova, il candidato deve indossare i guanti per almeno dieci minuti.
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Passato questo lasso di tempo, i guanti vengono rimossi e il dolore ricomincia a manifestarsi. Ci vorranno ventiquattro ore perché l’effetto delle neurotossine inoculate si plachi; il giovane sarà vittima di dolori lancinanti e talvolta preda di tremori incontrollabili anche nei giorni successivi.
E questo per lui è solo l’inizio: per essere completo, il rito andrà ripetuto altre 19 volte.
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Attraverso questo rituale, un Sateré Mawé riconosce le proprie origini, leggi e usanze; e dall’adolescenza in poi dovrà ripeterlo almeno una ventina di volte per poterne trarre i benefici effetti. Tutta la popolazione partecipa al rito e osserva come i candidati lo affrontano. È un momento importante per conoscersi, incontrarsi, contrarre futuri matrimoni.
La tucandeira è anche un rito propiziatorio, attraverso il quale l’indio può diventare un buon pescatore e cacciatore, avere fortuna nella vita e nel lavoro, essere un uomo forte e coraggioso. La gente si riunisce molto volentieri per questo rituale, che oltre all’aspetto festivo e ludico è anche l’occasione per rievocare il mito cosmogonico dell’origine delle stelle, del sole, della luna, dell’acqua, dell’aria e di tutti gli esseri viventi.
(A. Moscè, Ibid.)
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In questo video del National Geographic sulla tucandeira, il capo tribù riassume in maniera mirabile il senso ultimo di queste pratiche:
“Se vivi la tua vita senza alcun tipo di sofferenza, o senza sforzo, non varrà nulla.”
https://youtu.be/ZGIZ-zUvotM
Tratto da:
Bizzarro Bazar
http://bizzarrobazar.com
http://bizzarrobazar.com/2019/10/06/la-terribile-tucandeira/
In questo video del National Geographic sulla tucandeira, il capo tribù riassume in maniera mirabile il senso ultimo di queste pratiche:
“Se vivi la tua vita senza alcun tipo di sofferenza, o senza sforzo, non varrà nulla.”
Ecco dov'è finito Teon :pippotto:
tigerwoods
06-10-19, 11:11
E questo per lui è solo l’inizio: per essere completo, il rito andrà ripetuto altre 19 volte.
auguri! :asd:
Tristemente sparita la tribù che faceva lo stesso coi cazzi.
Pff nulla rispetto alla sofferenza di un adolescente poco ossicinato della civiltà occidentale con gli ormoni a palla e nessuna che gliela dà :caffe:
eeeehhhh... ma le tradizioni vanno conservate...
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