Dalle colonne del "Popolo d'Italia" qualche giorno prima Mussolini aveva lanciato due chiari messaggi indirizzati al re: " La corona non è in gioco, purchè non voglia essa stessa mettersi in gioco"; " O ci daranno il governo o lo prenderemo calando a Roma”. La politica dell'Italia del dopoguerra versava in una di crisi profonda, stentavano ad emergere figure in grado di ricompattare quella spaccatura sociale apertasi dopo la fine della Prima Guerra Mondiale.
Nelle piazze di tutta la penisola diventavano sempre più aspri gli scontri tra opposte fazioni spostando così il confronto dal parlamento alle strade.
Alla notizia che migliaia di squadristi erano in procinto di giungere a Roma per una dimostrazione di forza, il 27 ottobre Luigi Facta, presidente del Consiglio, chiese il rientro d’urgenza del re nella capitale. Convocò poi per le 6,30 del mattino del 28 il Consiglio dei Ministri per proclamare lo stato d’assedio, quindi circa due ore dopo si recò al Quirinale per la ratifica del programma. Ma con sua sorpresa il re, in un primio momento favorevole, non firmò. Cosa era successo ?
Forse ci fu il timore di avventurarsi in uno scontro frontale contrapponendo l'esercito al fascismo. Del resto il re fu anche consigliato alla prudenza nella notte dai generali Diaz, Pecori Gilardi e Tahon di Revel. In più sconfiggere l'estrema destra senza avere un'adeguata classe dirigente sulla quale poter contare sarebbe stato un salto nel buio che avrebbe favorito la sinistra portando il paese in una situazione forse ancora più caotica.
Secondo alcuni storici c’è anche da considerare la forte preoccupazione del re sull'atteggiamento che avrebbero assunto le forze armate in caso di stato d’assedio essendo nota la simpatia che larghi strati di esse nutrivano per il fascismo.
Alle 9,30 un deluso Facta tornò al Viminale, sede allora del presidente del Consiglio, per annullare lo stato d’assedio, incautamente diramato senza la firma del re, e formalizzare le dimissioni. Nelle ore successive, il re meditò di nominare Antonio Salandra presidente del Consiglio e Mussolini ministro dell’Interno. Ma questi oppose un netto rifiuto.
Di fronte a questa ferma presa di posizione il re fece allora sapere che era pronto a nominare primo ministro lo stesso Mussolini.
A partire dal 28 ottobre 1922 decine di migliaia di fascisti affluirono a Roma con ogni mezzo. A guidare quell’esercito di irregolari furono Italo Balbo, Emilio De Bono, Cesare Maria De Vecchi e Michele Bianchi mentre Mussolini era rimasto in attesa a Milano. L’esercito non ricevette mai l’ordine di fermare la “marcia" che si svolse in realtà solo il 31 ottobre del tutto tranquillamente e per festeggiare il governo Mussolini.
Circa 25mila squadristi in massima parte con pugnali e bastoni, ma senza armi pesanti, marciarono da Piazza del Popolo alla Stazione Termini dove 45 treni organizzati li riportarono nei luoghi da dove erano venuti. Il corteo era preceduto dalla banda musicale di Roma inviata dal sindaco. Sfilarono sotto il balcone del Quirinale dal qual si affacciarono re Vittorio Emanuele, Armando Diaz e Paolo Thaon di Revel.