Come si è modificato il level design di Serious Sam da The First Encounter a The Second Encounter? Dalla follia totale a un maggiore bilanciamento, cosa si è ottenuto e cosa si è perso in due giochi all’apparenza identici che nascondono profonde differenze strutturali.
In mezzo alle decine di giochi che studio, completo e analizzo nel corso dell’anno cerco sempre di inserire alcune saghe storiche che per un motivo o per un altro in passato mi sono perso. Un po’ per cultura, un po’ per gusto, trovo impensabile evitare consapevolmente “la storia del videogioco” nella costante formazione di un pensiero critico in evoluzione. Per questo il mese scorso ho deciso di giocare alla serie di sparatutto a orde per eccellenza, Serious Sam, che avevo avvicinato soltanto per brevi toccate e fughe tanti anni fa, ma che non avevo mai recuperato in modo schematico e completo. Cosa rende “cult” un videogioco? Cosa lo rende valido e incapace di invecchiare? Buone idee, buone realizzazioni, ottima varietà, buon bilanciamento di alcune meccaniche peculiari. Serious Sam: The First Encounter mi ha convinto già dopo i primissimi minuti, catturando da subito la mia attenzione attraverso un game design strano che sviluppa in un modo tutto suo il concetto di orda e che si sostiene attraverso un complesso equilibrio di level design, encounter dei nemici, posizionamento e potenza delle armi, segreti e caratteristiche di Sam. Tutti questi elementi insieme concorrono per rendere bilanciata un’esperienza di gioco che per certi versi distrugge tutti i canoni degli FPS “old school” per presentare un’esperienza folle – con un carattere unico e un flow altalenante – che rema tutto il tempo contro il giocatore.
Serious Sam: The First Encounter, a dispetto di quanto possa sembrare da una prima occhiata, non si sviluppa attraverso stanze in cui si susseguono orde di centinaia di nemici. Quelle orde ci sono, chiaramente, e rappresentano un elemento di sfida importante per il giocatore, ma il gioco di Croteam è sviluppato ruotando intorno a un concept ben più raffinato (e folle): ogni singolo elemento del gioco è potenzialmente una sfida al giocatore.
THE FIRST ENCOUNTER SI DIVERTIVA A FAR USCIRE NEMICI “DALLE FOTTUTE PARETI”, LETTERALMENTE
Serious Sam: The First Encounter, invece, se ne frega completamente. O almeno, dà quell’impressione. Toglie al giocatore – e di riflesso a Sam – la sensazione del “avanzare ad armi spianate uccidendo tutti” ma anche la sensazione del costante pericolo. Sam ha l’armamentario di un’intera superpotenza a disposizione nelle sue tasche, ma il modo in cui le orde e le sfide vengono gestite e presentate al giocatore lo lascia del tutto impotente e impreparato a cosa si troverà davanti.
THE FIRST ENCOUNTER NON È SEMPRE BEN BILANCIATO, ma la gran parte dell’esperienza si sostiene su un filo perfettamente equilibrato di follia e cattiveria
Per questo motivo Serious Sam: The First Encounter si sviluppa attorno a un ritmo di gioco a cui gli FPS “old school” non ci avevano abituato: è frenetico, ma richiede costante riflessione e gestione delle risorse e delle armi. Contro i nemici servono le armi giuste al momento giusto, e la scelta dipende dall’area, dalla quantità, dalle munizioni, dagli spazi, dal pool di nemici che stanno arrivando contemporaneamente, dal nostro tempo di reazione. E se l’ultimo di questi aspetti è legato a una capacità manuale di reazione, gli altri sono tutti strategici. Un errore di valutazione a difficoltà massima può significare la sconfitta, e di solito gli errori di valutazione sono legati al level design. È necessario quindi iniziare a capire come sono stati costruiti i livelli (e le arene) del gioco.La suddivisione più ovvia (ed efficace) è molto semplice: spazi grandi e spazi piccoli. Tutta la filosofia di design dei livelli di Serious Sam: The First Encounter si sviluppa su questi due concetti: spazi grandi in cui poter gestire le ondate di nemici con un pool elevato di armi e con le strategie più efficaci, e spazi piccoli (di solito chiusi) in cui la maggior parte delle strategie sono inutilizzabili e rateo e potenza di fuoco diventano necessari per sopravvivere.
C’È UN EFFICACE EQUILIBRIO FRA SPAZI APERTI, CHE RICHIEDONO USO DI STRATEGIA, E SPAZI CHIUSI, DOVE RATEO E POTENZA DI FUOCO DIVENTANO CONDIZIONI NECESSARIE
CROTEAM STESSA CI PERMETTE DI ROMPERE LE REGOLE DEL SUO GIOCO
SERIOUS SAM THE SECOND ENCOUNTER: CAMBIO DI FILOSOFIA
Lo sviluppo dei livelli cambia però radicalmente proprio in Serious Sam: The Second Encounter, ed è il modo in cui si modifica che ha fatto da motore per l’idea di questo articolo. Lo stesso concept folle si inserisce stavolta in livelli più “classici” che sembrano essersi ricordati di dieci anni di sparatutto in prima persona: segreti meno nascosti ma più appaganti, molta più varietà di situazioni e livelli, (semplici) puzzle ambientali da risolvere, aree più grandi, più strutturate e più bilanciate rispetto alle orde, power-up che consentono di affrontare i nemici con meno frustrazione (dalla supervelocità all’invincibilità) e un ritmo generale di gioco più sostenuto e meno altalenante. Insomma, tutto stupendo, se non fosse per un piccolo problema: funziona peggio.
Capire perché funzioni peggio, e in che senso, però, richiede uno sforzo concettuale: una modifica che sulla carta appare migliorativa non lo è necessariamente sulla pratica se non è accompagnata da un sufficiente ribilanciamento delle altre componenti, soprattutto se, come era il caso di The First Encounter, l’intera struttura ludica si basa su un filo estremamente sottile. Serious Sam: The Second Encounter è un gioco migliore del precedente: lo supera nel roster di armi e dei nemici, nella varietà dei livelli, nella proposta di gioco, nel feeling mouse alla mano, nel bilanciamento dell’esperienza complessiva. Non riesce a superarlo nel punto in cui tenta di allontanarsi radicalmente, cioè nel level design. Sulla carta, appunto, l’idea era ottima: coscienti della lezione di DOOM, hanno riempito i livelli di chiavi da trovare, porte da aprire, interruttori da premere. Peccato che all’ennesimo livello in cui la porta centrale va aperta prendendo un oggetto che si trova a sinistra e un oggetto che si trova a destra, ogni volta innescando decine di nemici a ogni nuova azione, la sensazione puzzi più di “già visto” che di sorpresa. The Second Encounter non riesce mai ad avere il level design di DOOM e di Duke Nukem 3D, e soffre del tentativo di rendere le aree qualcosa di più dei due concetti di “spazio grande” e “spazio piccolo”. Nel tentativo di complicare i livelli, Croteam ha ampliato tutte le aree, e bisogna attendere più di metà gioco per arrivare a bilanciamenti che ricordano quelli del gioco precedente. Uno spazio “piccolo” sembra piccolo per via della grande quantità di nemici che bisogna ucciderci dentro: se negli spazi “piccoli” della maggior parte dei livelli di The Second Encounter non vengono richiesti rateo e potenza che servivano in The First Encounter cambia completamente la sensazione del giocatore. Il risultato è quello di un gioco che appare nettamente più bilanciato nel suo complesso, ma meno folle e meno identitario. E perdendo quella caratteristica, però, fatica di più a scontrarsi con i mostri sacri del genere.
IN SERIOUS SAM THE SECOND ENCOUNTER IL BILANCIAMENTO DELLE ARMI È COMPLETAMENTE SPOSTATO: GIÀ NEL TERZO LIVELLO ABBIAMO UN ARMAMENTARIO PAUROSO
Se si fa un rapido conto delle armi a disposizione lungo il gioco, e si notano i loro punti di forza, quasi tutto l’armamentario di Sam è ideale per affrontare i nemici dalla distanza: il fucile di precisione uccide anche i nemici più grossi in pochissimi colpi e con un colpo solo fa fuori la maggior parte dei nemici di piccola e media grandezza, compresi i robot. Lanciagranate e cannone possono essere caricati e arrivano a distanze impressionanti, il lanciarazzi è precisissimo anche a centinaia di metri di distanza e minigun e pistola laser hanno un rateo di fuoco sufficiente per gestire le orde più grandi. A causa della maggiore portata dei livelli e della necessità di costruire strutture più tortuose con chiavi e interruttori, la grande quantità di opzioni strategiche per l’approccio dalla distanza impedisce (nella maggior parte dei casi) situazioni come quelle che si verificano in Dune di The First Encounter, che è probabilmente il miglior livello della serie: centinaia di nemici in uno spazio aperto in cui bisogna sfruttare ogni abilità strategica e manuale, ogni arma e ogni trick per sopravvivere a ondate assurde e insensate.
In Dune è impossibile gestire tutti i nemici dalla distanza alle difficoltà più alte, e questo non fa altro che aumentare l’adrenalina del gioco e dell’esperienza, e possedere già il Cannone SBC in quel livello avrebbe reso meno divertente tutta la sfida. Si potrebbe obiettare che il giocatore può comunque approcciarsi ai nemici con scontri ravvicinati anche in The Second Encounter, ed è indubbiamente vero, ma se nel precedente gioco della serie si trovava costretto a farlo per variare costantemente approccio in base ai concetti di “spazio piccolo” e “spazio grande” qui ha semplicemente la possibilità di utilizzare un arsenale più ridotto per puntare a soluzioni meno efficaci al contrario di andare per la soluzione più efficiente, pratica e razionale che utilizza le armi migliori – di cui ha decine e decine di munizioni a ogni angolo.
Per questo era necessario bilanciare di nuovo le componenti di quel filo sottile: quando, cambiando area, il giocatore perde di nuovo tutte le sue armi e si ritrova costretto a sfruttare un arsenale ridotto oppure le sole armi a distanza ravvicinata si risente in parte il feeling di The First Encounter, ma passa subito appena il nuovo livello si apre e immediatamente riceviamo di nuovo armi che permettono il contenimento dalla distanza. E il punto è che non è neanche un difetto del gioco, perché se i livelli si aprissero senza offrire quelle armi l’esperienza si sbilancerebbe dall’altro lato. A dimostrazione di quanto sia complesso il tema del level design e di come ogni modifica strutturale e concettuale può andare a stravolgere altri concept e le sensazioni globali di un giocatore. Serious Sam: The Second Encounter è un gioco migliore del suo precedente, e sarebbe folle affermare il contrario. È un risultato migliore e più solido, che rientra nella sua generazione di sparatutto.
È, come scrivevo sopra, un risultato più bilanciato, ma meno folle e meno identitario. Meno cattivo. In altri termini, più lontano da quel concept attorno a cui il primo gioco era stato costruito e che mi aveva subito catturato. E, mentre mi preparo a giocare a Serious Sam II, non so se ne sia davvero valsa la pena. Se era necessario. Se questa evoluzione strutturale, non sia stata, invece, una piccola degenerazione.
Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.