«Non si trattava semplicemente di videogiochi, si trattava di creare qualcosa di immensamente più grande di noi stessi.» -Shigeru Miyamoto , 2011
Il gaming è a tutti gli effetti il settore di intrattenimento di massa più recente e dalla più rapida crescita commerciale nella nostra storia e la sua ascesa allo status attuale racconta del nostro recente passato più di quanto molti libri non facciano, basta saper leggere tra le righe. Racconta, ad esempio di quanto la tecnologia e l’informatica abbiano preso piede in modo irremovibile nelle nostre vite, nel bene e nel male, e nessun’altra industria ha saputo cavalcare la travolgente onda dell’innovazione e della globalizzazione quanto quella del videogioco.
VIVIAMO IN UN’ERA IN CUI IL GAMING È SALDAMENTE PARTE DELLA NOSTRA VITA, MA NON è SEMPRE STATO COSÌ
Data la natura interattiva del media, è estremamente facile discernere il singolo videogame dal contesto storico che gli ha dato vita, permettendoci di indovinare lo stato della società e dell’economia mondiale nel momento in cui è stato pubblicato, così come il modo in cui l’immagine dell’industria videoludica in sé fosse influente sulla percezione del gaming fra i contemporanei. Parliamoci chiaro, non ho vissuto personalmente quell’epoca, stiamo parlando di un’era precedente alla mia nascita, nonostante sia sulla soglia dei 40. Ciò di cui sto parlando è frutto di ricerche e di testimonianze dirette di chi c’era e sa cosa si provava, al di là dei numeri e della nostalgia. Raccogliere queste testimonianze è stata un’esperienza estremamente interessante: contestualizzare la nascita del gaming nei suoi anni ci offre una prospettiva raramente considerata sul perché il mondo del videogioco nel periodo della sua nascita e ascesa commerciale si sia sviluppato così, permettendoci di guardare oltre quei pochi pixel e gameplay scarno che troppo spesso valutiamo con l’ottica dei giorni nostri, incapaci di guardare oltre l’attuale momento storico.
I PRIMI PASSI
Per questo motivo facciamo un passo indietro: negli anni ‘70 il mondo è diverso da come lo conosciamo adesso. Il pacifismo, la voglia di cambiamento e di rivoluzione dei tardi anni ‘60 avevano presto lasciato spazio a conflitti internazionali e crisi economiche difficilmente arginabili con l’ottimismo, e concetti a noi cari e che definiscono la nostra vita attuale e avvicinano paesi e persone come internet e comunicazione globale veloce erano ancora considerabili fantascienza. E parlando di fantascienza, si trattava proprio di un’intera generazione cresciuta a pane, astronavi e alieni di dubbio gusto e scarsa realizzazione scenica quella che si riversava davanti a tastiere e schede di memoria per dare sfogo creativo a un media ancora nuovo e tutto da inventare.
LA CORSA ALLO SPAZIO E L’ATTERRAGGIO SULLA LUNA DIFFUSERO OVUNQUE L’ESTETICA FANTASCIENTIFICA
I semi della ribellione giovanile degli anni precedenti però non erano andati del tutto dispersi, il cambio generazionale aveva portato con sé il rigetto dei costrutti sociali e delle convenzioni professionali che avevano definito le generazioni precedenti: un cambiamento che ha avuto ripercussioni non da poco nell’istituire ambienti di lavoro nuovi che esulassero da schemi e preconcetti in un settore anch’esso nuovo e non regolamentato. Quale migliore occasione per applicare una nuova mentalità aziendale e di lavoro se non quella di lavorare in un industria nata da poco e che in sé rappresentava la novità e il cambiamento? Soprattutto negli Stati Uniti e in Giappone, nacquero realtà più informali atte a focalizzare l’attenzione sull’aspetto creativo più che su quello manageriale. L’Italia degli anni ‘70 però non era altrettanto proiettata verso il futuro e se è vero che le macchine contenenti i primi Pong e giochi simili andavano diffondendosi nei bar, circoli ricreativi e stabilimenti balneari, ancora non esisteva l’idea di creare delle strutture interamente dedicate all’intrattenimento digitale.
SE NEGLI ANNI ‘70 QUESTA TENSIONE VERSO IL FUTURO PRENDE PIEDE, LO STESSO NON SI PUÒ PERÒ DIRE PER L’ITALIA DI QUEGLI ANNI

I NEBBIOSI ANNI ‘80
Con l’avvento degli anni ‘80 i cabinati arcade si fecero sempre più diffusi e comuni, i canali di comunicazione coi distributori divennero più accessibili e il ricambio dei giochi più frequente, il che causò il moltiplicarsi del numero dei giochi presenti in giro. Il bar sotto casa passò dall’avere una singola macchina all’averne tre o quattro e iniziò a temere l’avvento delle sale dedicate quasi esclusivamente ai giochi digitali. La varietà e la creatività del mercato avevano soppiantato la semplicità della singola esperienza, arricchendola con decine, centinaia di esperienze analoghe ma altrettanto interessanti e se era vero che una singola partita poteva durare 5 minuti, decine di singole partite potevano occuparti un pomeriggio intero.
L’esperienza generale legata alle sale giochi negli anni ‘80 e ‘90 riporta alla mente ricordi annebbiati. E non nel senso che non siano ricordi vividi nella memoria, lo sono perfettamente, ma sono accompagnati dal ricordo di una fitta cortina di fumo di sigaretta che avvolgeva e impregnava gli ambienti, le mura, le persone e i cabinati stessi, che spesso avevano addirittura dei posacenere in metallo incorporati!
LE SALE GIOCHI SI CREARONO UNA REPUTAZIONE COME LUOGHI FUMOSI, ANCHE VISTA LA MANCANZA DI LEGISLAZIONE IN MERITO
Le macchine da gioco arcade di quegli anni avrebbero mantenuto più o meno tutte quante la stessa forma e design, con variazioni nei casi di giochi di guida e simili che presentavano volanti, marce, cloche e simili. Verso la seconda metà degli anni ‘80 alcuni cabinati si fecero più evoluti e ingombranti includendo intere postazioni di guida, puntatori a forma di arma da fuoco e interi abitacoli all’interno dei quali entrare per venire bombardati di suoni stereofonici assordanti e schermi sempre più grandi per offrire un’esperienza sempre più avvolgente (e se ne volete una solida testimonianza, vi rimandiamo al nostro reportage dell’Ellettroludica di Avezzano). Gli anni ‘80 segnarono una corsa verso il nuovo nel mondo del gaming e ciò che era di nicchia andava sempre più diventando mainstream. Il videogioco stava gradualmente entrando nella nostra cultura, lentamente ma inesorabilmente, accompagnato dalle prime console casalinghe a processori che si differenziavano dai suoi predecessori a transistor e capaci, per la prima volta nella storia, di lanciare giochi da cartucce ROM, aprendo il mercato verso intere librerie di titoli venduti singolarmente. Spicca su questi l’Atari VCS, altresì detto Atari 2600, uscito sul mercato nel 1977 e seguito a ruota da altre piattaforme quali l’Intellivision, la Colecovision e tante altre.
Negli stessi anni la mentalità nei confronti del gaming e dei suoi appassionati andava cambiando, i “Nerd”, termine da sempre associato al concetto di “sfigato”, iniziano a uscire dalle loro insicurezze e affermare la loro natura con sempre meno timore. La televisione e i media documentarono questo fenomeno di passaggio con film più o meno ironici quali “La rivincita dei Nerd”, del 1984. Certi aspetti però rimangono invariati da sempre, è nella natura umana così come lo è il concetto di controversia associata a qualcosa di nuovo e, in quanto tale, automaticamente da demonizzare. Molti di noi sono abituati a pensare agli anni ‘90 come l’era in cui posizionare le prime controversie videoludiche, con l’avvento del digitale e relativi “giochi violenti” come Mortal Kombat e GTA, ma la verità è che il mondo del gaming ha sempre trovato modo di essere malvisto dai più conservatori. Basti pensare che la prima grande protesta contro i videogiochi la si ebbe nel 1976 con l’uscita sul mercato arcade di Death Race, un semplice gioco il cui obiettivo era uccidere con la propria automobile il maggior numero possibile di “Gremlins” i quali, appena colpiti, urlavano e venivano prontamente rimpiazzati da una lapide con relativa croce. Il gioco fu subito preso di mira dai media di informazione che lo etichettarono come istigatore di violenza stradale e la Exidy, casa produttrice del titolo in questione, fu costretta a ritirare il gioco dal mercato. Nonostante le avversità, era però impossibile fermare l’avvento del futuro che avrebbe portato sempre più giovani e nuove generazioni ad affollarsi nelle sale giochi e svuotare le piazze quasi come in quadro di De Chirico, lasciando in esse solo le ombre del passato. Il mercato si andava ampliando a macchia d’olio, la richiesta sembrava senza fine e nel corso degli anni ’80 le capacità tecniche dei videogiochi arcade si moltiplicarono, permettendo di creare esperienze interattive durature, variegate e che mantenevano i giocatori impegnati per ore e ore, quando non erano impegnati a pensare a quale nuovo gioco sarebbe arrivato da lì a pochi giorni.
IL MONDO DELL’INTRATTENIMENTO ERA CAMBIATO PER SEMPRE E LA SALA GIOCHI NE ERA IL FULCRO, ben più delle console casalinghe

FRA FALLIMENTI E NUOVE RINASCITE
Questo fu l’esatto caso del famoso E.T. per Atari 2600, uscito nel 1983 e che, a detta di molti, causò il famoso Video Game Crash di quegli anni. La verità è ovviamente molto più complessa di così, il mercato era saturo, il controllo qualitativo assente e la gente era ricoperta da costanti uscite e non aveva reali mezzi a disposizione per discernere prodotti che oggi chiameremmo “Tripla A” da quelli fatti tanto per capitalizzare sul successo di un film o di una serie tv.
già c’era chi parlava della fine di un’epoca, anche se in concreto fu una necessaria scossa di assestamento
Il NES rivoluzionò il mercato d’oltre oceano come nessun altro prima di allora nel mondo videoludico: si trattava della prima volta in cui una compagnia straniera prendeva di petto il mercato statunitense diventando entro breve la numero uno del settore. Prova ne sia il fatto che per quasi una decade i giovani e gli appassionati di gaming negli States non giocavano “ai videogiochi”, no, giocavano “al Nintendo”. Tale fu la forza di quell’impatto culturale da diventare sinonimo di un intero settore. Da noi questa rivoluzione arrivò soltanto sulla carta, non ne sentimmo direttamente le conseguenze. Il mercato videoludico europeo andava forte negli home computer quali Commodore 64 e Amiga e la sala giochi era ancora lungi dall’essere obsoleta, sebbene gradualmente le cose iniziassero a cambiare anche da noi. Nel 1987 il NES fece il suo ingresso sul nostro mercato nazionale e si affermò saldamente anche in Italia negli anni a seguire grazie a forti campagne pubblicitarie che coinvolgevano VIP dell’epoca quali Jovanotti per la Nintendo e Jerry Calà, Walter Zenga e Roberto Mancini per la rivale SEGA, che fece il suo ingresso in Italia negli stessi anni. E come dimenticare che per raccontare di questo mondo in costante evoluzione, nel 1988 prende vita proprio la seconda rivista di videogiochi più longeva al mondo, cioè The Games Machine?
In conclusione è affascinante notare come la storia ci abbia consegnato gli eventi che hanno segnato la nascita e lo strutturarsi del mondo del gaming come lo conosciamo oggi, i cui tasselli fondamentali sono andati influenzandosi a vicenda come in un Domino che coinvolge la società, la tecnologia, la moda e la nostra percezione di intrattenimento. Partendo dal liberarci da alcuni costrutti sociali e aprendoci verso nuovi universi creativi e nuovi modi di immaginare il nostro futuro, il gaming ha cavalcato l’onda della novità per poi sfociare nella moda, cadere e rialzarsi per poi affermarsi nella società moderna nel modo in cui lo conosciamo oggi. E se è vero che forse altre specifiche rivoluzioni saranno necessarie di qui a breve nel regolamentare e strutturare in modi sostenibili dati settori del mercato attuale, in particolare quello online, è ormai innegabile che il gaming abbia ottenuto un posto di rilievo nella nostra storia e che ci racconta come le persone abbiano vissuto o stiano ancora vivendo il progresso tecnologico.
SEGUIRE LA STORIA DEI VIDEOGIOCHI È COME SEGUIRE LA STORIA DELL’EVOLUZIONE DELLA NOSTRA SOCIETÀ, PASSO DOPO PASSO