Meglio degli elenchi mosse variopinti, con quarti di luna, mezzelune e via dicendo, o è più giusto concedere ai giocatori di picchiaduro in erba un po’ di respiro, permettendo di eseguire le tecniche speciali dei personaggi con più leggerezza?
Durante la prima vera presentazione di Project L, picchiaduro sviluppato da un team interno a Riot Games e guidato da Tom e Tony Cannon, due personalità molto note nell’ambiente, proprio i due fratelli hanno motivato la scelta di mettere in campo input semplificati per l’esecuzione di mosse speciali dicendo:
“Non si tratta di sviluppare un gioco in cui i nuovi giocatori possano avere una chance di battere i professionisti, ma di permettere ai giocatori di qualsiasi grado di abilità di divertirsi”
A un mesetto di distanza, Arc System Works ha fatto intravedere qualcosa del prossimo picchiaduro al quale hanno contribuito in qualità di sviluppatori, DNF Duel, che a sua volta permetterà ai giocatori di eseguire le tecniche dei vari lottatori abbinando una semplice direzione alla pressione di un tasto apposito – un po’ come si era già visto in GranBlue Fantasy Versus. Non si tratta dunque di casi isolati, perché di semplificazione e accessibilità si parla ormai da molto, molto tempo nel mondo dei picchiaduro; eppure questo febbraio porta con sé anche The King of Fighters XV, con le sue mezzelune intrecciate, e da poco abbiamo assistito anche a ritorni di fiamma di “vecchie” glorie. È stato il caso di Blazblue Centralfiction, che con l’implementazione di un netcode rinnovato ha fatto registrare numeri discreti (oltre 1200 giocatori attivi di media a Dicembre 2021 su Steam, con un incremento di oltre il 700% sul mese precedente) nonostante un gameplay non esattamente immediato. Insomma: chi ha ragione? Ma soprattutto: c’è qualcuno che ha davvero, totalmente, ragione?
UNA VECCHIA STORIA
Intanto ricordiamoci un punto fondamentale: gli input semplificati non sono certo nati ieri. Se il primo Street Fighter (1987) aveva fatto dono al mondo dei videogiochi da combattimento dell’hadouken, con il suo quarto di luna ormai storico (che in quel caso era tutt’altro che semplice da eseguire), già il capostipite di Mortal Kombat (1992) puntava a un approccio diverso, eliminando dall’elenco mosse le diagonali, rendendo la vita più semplice agli aspiranti dispensatori di Fatality. Benché non si possa certo dire che la scelta non sia stata un successo, è evidente che quarti di luna, mezzelune, lune piene e pretzel (non guardate me, è colpa di SNK) siano ancora qui, dopo tutto questo tempo.
Perché? La risposta semplice è che non è detto che gli input semplificati siano la scelta giusta, perché per esserlo devono essere implementati in maniera corretta e molto oculata. Per elaborare un po’ abbiamo bisogno di capire per quale razza di motivo un manipolo di sviluppatori di picchiaduro abbia pensato che fosse necessario un buon numero di tasti direzionali per dar vita a un’onda energetica… e soprattutto capire come mai un sacco di altri professionisti, nel corso dei successivi decenni, si siano trovati d’accordo con loro.
Non è detto che gli input semplificati siano la scelta giusta, perché per esserlo devono essere implementati in maniera corretta e molto oculata
In più, gli sviluppatori possono utilizzare una serie di input piuttosto complessi per limitare la potenza di mosse speciali altrimenti troppo devastanti. Prendiamo come esempio la Ultra 1 di Zangief in Super Street Fighter 4: Arcade Edition: si tratta di una presa dal danno enorme, rapidissima, in grado di battere la gran parte delle opzioni dell’avversario (purché non si trovi in aria nel momento in cui l’animazione ha inizio). Per eseguirla, il giocatore deve effettuare quello che in gergo si definisce un 720°, ovvero due cerchi completi (o due lune, come preferite) con i tasti direzionali del caso, per poi premere i tre pugni contemporaneamente.
A rendere complicato il tutto c’è il fatto che, come molti sanno, quando si preme il tasto SU, nei picchiaduro, il personaggio ha la brutta abitudine di saltare; nella fattispecie, dal momento in cui il giocatore immette l’input, Zangief stacca i piedi da terra dopo appena 6 frame. Alcune meccaniche avanzate vengono incontro al giocatore: è possibile eseguire la mossa fermandosi a 540°, ovvero dopo un giro completo e una mezza luna e, sfruttando una rapida successione di input, si può dilatare leggermente il tempo a disposizione arrivando a 7 frame in totale. Questo significa che, dopo aver immesso questi comandi: avanti, diagonale, basso, diagonale, indietro, diagonale alto/indietro – si hanno a disposizione solo 7 frame in cui completare con: alto, diagonale, avanti, diagonale, basso, diagonale, indietro, tre pugni. Eseguire con costanza l’Ultra in questo modo è molto difficile ed è (anche) per questo la mossa può essere così forte.
NON PRENDIAMOCI TROPPO SUL SERIO
Anche solo la spiegazione di questa tecnica può scoraggiare o, più probabilmente, far venire il latte alle ginocchia a un giocatore estraneo al mondo dei picchiaduro; è questa la reazione che molti sviluppatori cercano di prevenire inserendo input semplificati all’interno delle loro opere. Una scelta condivisibile soprattutto perché, in fin dei conti, un genere così incentrato sulle modalità multigiocatore non può vivere senza un buon numero di giocatori attivi. Qual è il problema principale con cui deve fare i conti questa opzione? Che la complessità di un picchiaduro risiede solo in minima parte nell’esecuzione.
Un genere così incentrato sulle modalità multigiocatore non può vivere senza un buon numero di giocatori attivi
Il rischio, se si sceglie di lavorare unicamente sulla difficoltà di esecuzione, è che il giocatore alle prime armi comunque non riesca a leggere correttamente la partita, trovandosi quindi in difficoltà nello scegliere l’opzione giusta con cui rispondere allo mosse dell’avversario. In quel caso, anche avendo la completa padronanza meccanica delle tecniche a disposizione del proprio personaggio, l’esperienza di gioco potrebbe risultare frustrante. C’è modo quindi di effettuare un’operazione ancora più radicale e abbassare il livello di difficoltà globale di un dato picchiaduro?
La risposta, per nostra fortuna, già esiste e la troviamo in Fantasy Strike, videogioco free-to-play pubblicato nel 2017 dallo sviluppatore (e giocatore noto nell’ambiente dei picchiaduro) David Sirlin. Si tratta di un esperimento interessante ai fini di questa analisi, perché dimostra in maniera puntuale cosa si può ottenere (nel bene e nel male) andando a limare ogni singolo punto critico per quanto riguarda la difficoltà di questo genere. Che piacciano o meno le scelte fatte, è innegabile infatti che Sirlin si sia mosso con grande cognizione di causa.
Per facilitare la corretta lettura della partita, Fantasy Strike opta per un ritmo lento (nei movimenti dei personaggi, sia a terra che in aria) e fornisce feedback visivi frequenti – per esempio, il golem Rook brilla di azzurro quando esegue tecniche in grado di assorbire un colpo dal nemico, e se si viene agguantati dalla sua presa speciale appare sullo schermo la scritta “Jumpable!” per ricordare al malaugurato giocatore che il modo di rispondere a quella tecnica sarebbe stato saltare via. In più, Sirlin ha ridimensionato in maniera decisa le risorse alle quali si deve prestare attenzione: la barra super serve unicamente, appunto, per le mosse super e l’indicatore della vita è diviso in sezioni, che decadono a blocchi quando si subiscono attacchi, rendendo molto più semplice tenere d’occhio l’equilibrio della partita.
ASILO NIDO
Per guidare il giocatore nelle sue decisioni, il gioco suddivide i (pochi) personaggi del cast in categorie ben precise e fa uso di archetipi ben noti, senza nascondere la chiara ispirazione a lottatori di altri videogiochi molto celebri. L’elenco mosse è limitato e ogni tecnica a disposizione del combattente ha una funzione chiara; non occorre molto tempo per capire quali assi abbia nella manica il proprio personaggio, né per studiare le tecniche avversarie ed elaborare strategie per contrastarle. Per quanto riguarda l’esecuzione, in Fantasy Strike il contatore delle combo non raggiunge mai cifre elevate e ogni tecnica è eseguibile premendo un singolo tasto o, in alternativa, un tasto e una direzione. Si tratta insomma di un picchiaduro che mette in chiaro a quante cose è virtualmente possibile rinunciare in nome dell’accessibilità. Fantasy Strike è un’ottima arena per i giocatori che vogliono cominciare a capire le basi del genere, che riesce a ridurre al minimo il tempo di apprendimento per far passare quanto più tempo possibile all’interno delle partite vere e proprie. Spogliato di quasi tutti i possibili orpelli, il gioco si è esposto al rischio di esaurirsi davvero troppo in fretta, senza offrire abbastanza libertà ai giocatori più esperti di dar sfogo alla loro creatività.
Un ottimo esempio di come si possano far uso di input semplificati senza rinunciare a (pressoché) nulla è invece Power Rangers: Battle for the Grid, picchiaduro sviluppato da nWay e pubblicato nel 2019, come parte delle celebrazioni per il venticinquesimo anniversario della saga. Anche in questo gioco, come in Fantasy Strike, tutte le tecniche a disposizione dei personaggi possono essere eseguite con la pressione di un tasto abbinato, eventualmente, a un input direzionale. Eppure, a differenza del picchiaduro sviluppato da Sirlin, Battle for the Grid riesce a lasciare ampia libertà ai giocatori pur abbattendo l’ostacolo iniziale (attenzione: iniziale qui è la parola chiave) derivato dall’esecuzione di input complessi.
Battle for the Grid riesce a lasciare ampia libertà ai giocatori pur abbattendo l’ostacolo iniziale derivato dall’esecuzione di input complessi
Oltre alle diverse meccaniche di gioco presenti, che arricchiscono la formula di base, è possibile alternare i personaggi attivi in maniera estremamente fluida, compattando di fatto le squadre fino a farle diventare quasi una singola entità. Inoltre, il sistema che sta alla base delle combo è particolarmente brillante: ci sono regole semplici e precise che determinano quanti attacchi di una data tipologia possano essere concatenati in una singola serie e, sebbene l’esecuzione dei singoli colpi sia banale (grazie agli input semplificati), padroneggiare le combo avanzate è estremamente gratificante grazie al particolare accento posto sul ritmo. Le combo si basano interamente sul tempismo; Battle for the Grid non ammette molto margine di errore al riguardo, ma dopo un po’ si impara come recuperare eventuali inciampi in corso d’opera aggiustando il ritmo o la composizione della serie.
UN, DUE, TRE, UN DUE, TRE, UN!
Padroneggiare un personaggio, in questo picchiaduro, significa essenzialmente capire a quale tempo scorre la sua musica, per farla propria e permettersi poi, in un secondo momento, di usarla come base per la propria improvvisazione. Non è un caso se nella pagina della wiki di Mizuumi dedicata al ranger rosso, Jason Lee Scott, troviamo scritta questa indicazione riguardo all’esecuzione di una sua combo:
“Il ritmo con cui premere i pulsanti è molto simile a quello di un valzer. In particolare il valzer n°2 di Dmitri Shostakovich si avvicina molto al tempo corretto.”
Ho passato ore nella modalità allenamento senza neppure accorgermene, con a disposizione solo i personaggi del roster di base: Battle for the Grid è un picchiaduro che riesce a essere appagante, evitando che i giocatori più rodati percepiscano gli input semplificati come una zavorra o, nel migliore dei casi, un male necessario. Credo che il picchiaduro sviluppato da nWay sia un grande esempio di ottima implementazione di questo sistema, in grado di far sentire davvero poco (per non dire niente) la mancanza di quarti e mezzelune. Credo anche, tuttavia, che questi Power Rangers mettano involontariamente a nudo la fragilità dell’idea che basti rimuovere qualche diagonale per rendere questo genere più accogliente per i nuovi giocatori.
GLI INPUT SEMPLIFICATI SONO UNA BUONA SCELTA, MA È IMPORTANTE NON CONSIDERARLI UNA PANACEA PER TUTTI I MALI
Non credo che la chiave di volta sia fare in modo che il giocatore passi meno tempo possibile ad imparare le meccaniche di gioco. Penso piuttosto che si debbano fornire dei motivi validi per trattenere il giocatore abbastanza a lungo da spingerlo a imparare di più, così da giustificare in maniera continua l’investimento di tempo, creando un ambiente dinamico e coinvolgente, che possa vantare una buona quantità di contenuti e, soprattutto, un sistema di matchmaking chiaro e funzionale, in grado di fornire una sfida davvero adeguata al livello del singolo utente.