Continua il nostro viaggio in compagnia di Aloy, stavolta seguendo gli eventi di Horizon Forbidden West. Il nuovo capitolo della saga della Cercatrice dei Nora la porterà a scoprire molto più a fondo l’importanza di superare la sua solitaria stoicità, relazionandoli con gli altri e comprendendo quanto anche loro siano fondamentali per portare a termine la missione.
Nella prima parte della storia di Aloy ho cercato di analizzare l’evoluzione che l’eroina di Horizon, una delle IP di punta di PlayStation, ha avuto nel corso di tutto il primo episodio della saga. Per farlo ho mostrato il rapporto che la nostra protagonista ha avuto con alcuni dei personaggi presenti nell’opera e le conseguenze che gli eventi fondamentali hanno lasciato su di lei. Alla fine di Zero Dawn, Aloy ha sconfitto la minaccia rappresentata da ADE nel suo tentativo di distruggere la Terra. Pur avendo potuto contare sull’aiuto degli alleati conosciuti durante l’avventura, Aloy in cuor suo sapeva di essere l’unica a poter risolvere la situazione, il suo ruolo e la sua importanza hanno fatto in modo che lei fosse la persona da proteggere a tutti i costi, anche quello della vita stessa dei suoi compagni. La missione però non è finita: una nuova piaga sta affliggendo la natura e gli abitanti del pianeta, così Aloy parte consapevole che quello di salvare il mondo è il suo destino ma parte sola e colma di solitudine perché nessuno su tutta la Terra che ha deciso di proteggere può comprendere quello che ha compreso lei, il valore e il significato che ha per lei quell’obiettivo. È così che arriviamo a Horizon Forbidden West.
COME UNA MADRE CHE CURA IL MONDO
L’intro di Forbidden West è particolarmente esplicativo. Con il compito di creare un collegamento diretto con il gioco precedente, vediamo Aloy correre a cavallo di una delle macchine in cerca di una copia dell’IA di GAIA, con la quale provare a risolvere la piaga che sta lentamente annientando tutte le forme della vita sul pianeta. È sola e non trova nulla da mesi. Ogni notte sogna di incontrare Elisabet Sobeck, la scienziata da cui ha ripreso le fattezze e l’intelligenza e, anche se distanti mille anni, l’unica donna che sente di poter chiamare madre. Elisabet le mette al collo un ciondolo con un mappamondo, simbolo di come Aloy senta su di sé il peso della missione che le ha lasciato la “madre” attraverso gli anni: salvare tutto il pianeta. Durante un lungo abbraccio la nostra protagonista sente di essere a posto con il mondo, di potersi riposare, ma dura poco ed Elisabet svanisce per lasciare spazio con forza alla piaga che divora tutto. È evidente che l’unico modo che Aloy ha per essere veramente vicino alla sua figura materna, per potersi ricongiungere col valore che ha per lei, è completare la missione. Se permette che il pianeta muoia, se per l’umanità non ci sara più speranza, il sacrificio compiuto da Elisabet e perfino la stessa nascita di Aloy saranno state vane.
È un peso terribile da portare sulle spalle e la ragazza decide come sempre di portarlo da sola. Almeno finché non arriva Varl: un altro membro della tribù dei Nora che si era legato alla ragazza nel primo episodio e che l’ha aiutata nella vittoria contro ADE. Nonostante questo, la protagonista insiste nel voler proseguire da sola, ma Varl si oppone e non deve nemmeno protestare più tanto prima che la risolutezza della ragazza vacilli. Aloy accetta di farsi accompagnare ma solo se Varl sarà in grado di vedere quello che vede lei: gli fornisce dunque un focus con cui analizzare il mondo circostante proprio come aveva iniziato a fare lei da molto piccola. Qui abbiamo il primo tema fondamentale del gioco: Aloy ha sempre sentito di essere l’unica a poter completare la missione; un’idea non priva di fondamento, dato che lei scopre di essere stata letteralmente progettata per questo, ma forse aprirsi agli altri, permettere loro di capire davvero qual è il suo scopo, può essere non solo produttivo ma anche giusto: dopotutto alcuni di loro hanno dato la vita per lei. E in effetti anche Elisabet aveva un team di scienziati alle sue spalle. Per tutta la durata di Horizon Forbidden West, Aloy si dedicherà dunque a cercare alleati per la sua base operativa. Ne troverà molti, fra cui il buon Erend, che ben presto inizieranno a conoscerla e capirla sempre meglio anche grazie all’analisi dei dati tramite il focus.
FAR ZENITH, DI PIÙ E MEGLIO
La scoperta che Aloy compie con Varl ci porta a un’altra questione fondamentale dell’evoluzione della psicologia dell’eroina in Forbidden West. I due scoprono che la missione Far Zenith, che si proponeva di inviare una colonia umana fra le stelle, non era fallita come si pensava, al contrario: non solo la colonia era stata fondata ma gli stessi membri principali dell’equipaggio della nave che era partita prima della catastrofe sono anche tornati indietro e sono i responsabili dell’attivazione di ADE. Durante il primo incontro con loro Aloy vede crollare una delle convinzioni che aveva: essere l’unica a conoscere e poter capire le verità del mondo. Il ruolo di prescelta, di migliore, di divinità (anche se lei lo rifiutava) che aveva presso le tribù del suo mondo, qui decàde. I membri di Far Zenith sono immortali, hanno accesso a tutto il sapere pregresso dell’umanità custodito in APOLLO e hanno vissuto altri mille anni fra le stelle acquisendo un livello di conoscenza che per Aloy è inimmaginabile. Nonostante la nostra eroina Nora sia un’abile ingegnera e sappia costruire armi e materiali, i nuovi arrivati hanno corazze impenetrabili e che non possono essere scalfite dalle frecce. Il loro potere è soverchiante, sotto tutti i punti di vista.
FAR ZENITH è l’avversario più formidabile che Aloy abbia mai incontrato, anche in termini di conoscenza. Una scoperta che scuote le sue certezze
BETA, PERCHÈ NON SEI COME ME?
Nel paragrafo precedente abbiamo tracciato un arco tematico dall’inizio di Forbidden West fino a quasi i suoi atti finali. All’interno di questo vale la pena soffermarsi su altri due temi veicolati dal rapporto con i comprimari di Aloy durante l’avventura. Uno di questi è certamente Beta, una copia di Elisabet esattamente come lo era stata Aloy, progettata da Far Zenith per essere utilizzata, una volta tornati sulla Terra, come chiave d’accesso a tutte le strutture nascoste dei Predecessori. Durante il gioco il nostro gruppo riesce a recuperare Beta e a portarla nella propria base. Fin da subito si può notare che nonostante la somiglianza estetica e le eccezionali capacità intellettive le due “gemelle” non hanno particolari caratteri in comune. A causa della sua condizione di schiavitù e costrizione, Beta è sicuramente molto più timida e remissiva di Aloy e non ha la sua sfrontatezza e abitudine alla leadership. Ma il problema del loro rapporto non sta solo in questo. Fin dall’inizio Aloy si accorge che Beta non condivide l’urgenza e la convinzione della sua missione, come se non ne capisse l’importanza o non le importasse davvero.
GENETICAMENTE BETA È ESATTAMENTE IDENTICA AD ALOY. MA NON CARATTERIALMENTE
Il successivo punto di svolta, che ci ricollega a uno dei temi fondamentali che abbiamo delineato nella prima parte dell’analisi, è quello in cui Aloy decide di condividere con Beta i ricordi legati a Rost. È importante perché sebbene la figura di Elisabet abbia un ruolo chiave nella psicologia di entrambe, la reale differenza fra l’eroina piena di forza, vitalità e carisma che è Aloy e la remissiva, incerta e spaventata Beta, la fa proprio la figura paterna di Rost che ha mostrato alla Nora cosa significa combattere materialmente per ciò in cui si crede e difendere a tutti i costi chi si ama. La lezione che Aloy impara dalla morte di Varl è la stessa che gli ha trasmesso non solo il sacrificio di Elisabet ma anche quello di Rost che le salva la vita. Questo Beta non lo ha mai avuto. Ma ciò non significa che lei non possa capire Aloy e comprendere adesso meglio il valore e il significato della missione. Sono delle copie di Elisabet a tutti gli effetti ma non devono necessariamente essere uguali. Le esperienze che ciascuno di noi vive, le persone alle quali si lega, le emozioni che prova durante tutta la propria esistenza ci cambiano in modi profondissimi e ci rendono tutti diversi. Questo ci porta al tema del prossimo paragrafo.
ALVA E LA SENSIBILITÁ DI CIASCUNO DI NOI
La tematica evidenziata nelle righe precedenti torna in modo diretto anche nel rapporto di Aloy con Alva, un personaggio che si conosce verso la fine dell’avventura e con il quale la nostra protagonista stringe subito un forte legame. Alva proviene da una tribù oltre l’Oceano Pacifico e svolge sostanzialmente il ruolo di cercatrice grazie a un focus che indossa insieme agli altri suoi colleghi. Il suo focus è di un modello precedente rispetto a quello di Aloy quindi le sue conoscenze sono ridotte. Ciò che è importante, però, è che Aloy finalmente conosce una ragazza che ha condiviso il suo stesso passato. Anche lei come Aloy è partita per salvare la sua gente e la sua terra, perché ha sentito la necessità e il peso di quella responsabilità su di lei. In virtù delle conoscenze acquisite da entrambe con il focus, per la prima volta nella vita di Aloy il discorso con Alva assume i toni del botta e risposta fra persone che si capiscono senza il minimo sforzo. Da questo punto di vista per la prima volta Aloy non è sola e può pienamente empatizzare con qualcuno con cui condivide le più profonde motivazioni e forza d’animo. L’amicizia fra le due nasce nella maniera più spontanea possibile come se condividessero per forza di cose un destino comune al quale nessuna delle due può sottrarsi.
Estendendo il discorso di Alva a tutti gli altri compagni che aiutano Aloy alla base nel corso dell’avventura, è importante notare come ciascuno di loro analizzi e declini le informazione che ottiene dal focus e dalle vicende stesse in maniera diversa, tramite il filtro della propria sensibilità. Se inizialmente Aloy era convinta che Beta dovesse essere esattamente come lei, forse per il bisogno dato dalla sua solitudine atavica di trovare qualcuno che la capisse, con lo sviluppo del loro rapporto, con la conoscenza di Alva e con il procedere delle relazioni con Varl, Erend, Zo e Kotallo, Aloy capisce che ciascuno di loro è diverso, ha i propri valori e delle motivazioni profondamente personali, legati alla propria esperienza e al proprio passato. Come lei stessa ha compreso quando ha mostrato a Beta il proprio passato con Rost, si può lottare per un obiettivo comune anche senza essere perfettamente uguali. Ciò che arricchisce Aloy stessa e il bene della missione è proprio la sensibilità diversa di ciascuno dei propri compagni. Ognuno di loro è fondamentale, a lei e al mondo. Anche un certo Sylens.
LA SCELTA DI SYLENS
Proprio come abbiamo fatto nel corso della prima parte di questo approfondimento, anche in questo caso voglio dedicare qualche riga al personaggio di Sylens. La cinica controparte della protagonista è anche l’ultimo membro che va ad aggiungersi al gruppo di Aloy, nelle fasi finali dell’avventura. Non è un passaggio da dare per scontato: la Cercatrice lo ha odiato profondamente proprio per il suo cinismo e per l’aver utilizzato sfrontatamente ogni risorsa per attuare i suoi piani, ma Sylens decide infine di collaborare con Aloy perché i loro interessi specifici coincidono. Anche se Aloy sospetta che sotto alla decisione di Sylens ci sia qualcosa, abbiamo visto che dalle tragedie e dagli eventi che accadono in Forbidden West Aloy comprende di dover scendere a compromessi per il bene della missione. Ciò che è rilevante della figura di Sylens al termine di questo secondo episodio della saga è la sua decisione finale, che senza dubbio avrà fatto sorgere qualche sospetto nella mente dei giocatori.
ANCHE SYLENS è UN REIETTO, ABITUATO A VIVERE DA SOLO E LONTANO, ANCHE MENTALMENTE, DAGLI ALTRI
Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.