Fear & Hunger, o del piacere della sofferenza

Sta per arrivare Fear & Hunger 2: Termina.
“Chiiiii?”
Lo so, lo avete pensato in molti. Non ve ne faccio una colpa: del resto, parliamo del seguito di un videogioco che oggi 22 novembre 2022 conta poco più di 700 recensioni su Steam.
“Dio ce ne scampi!”
Pochi di voi,  invece, al solo leggerne il nome starete rivivendo nella memoria i traumi provati quando avete dato, incuriositi, una chance al primo capitolo, Fear & Hunger, rilasciato ormai quattro anni fa.

Fear & Hunger

“Glory to the Green Hue Moon”

L’esclamazione, infine, di voi selezionatissimi utenti che avete provato, poi ripudiato, poi riconsiderato, dunque perseverato e, dopotutto, amato l’opera prima di Miro Haverinen.
Per ciascuno di voi quale che sia il vostro gruppo di appartenenza, ho qualcosa da dire. Alle porte del secondo capitolo, originariamente previsto per il 2020, poi per il 2021 e poi rinviato indefinitamente fino alla pubblicazione della pagina Steam solo un mese e mezzo fa, è necessario che si parli di uno dei più maturi, punitivi e conturbanti jrpg-dungeon crawler-soulslite-roguelite-survival horror usciti dai vicoli del grande mercato a cielo aperto dell’internet.

PER COLORO CHE NON SANNO

Cos’è, allora, Fear & Hunger? Qualche nozione introduttiva per stuzzicare i palati più esigenti, cercando al contempo di non svelare troppo di ciò che ha in serbo il titolo creato con RPG Maker. All’avvio di una nuova partita, il giocatore può scegliere fra quattro diversi personaggi giocanti: ciascuno ha un diverso background, in parte modificabile dal giocatore (con conseguenze concrete in-game), ciascuno ha motivi diversi di discendere nel dungeon di Fear & Hunger, e ciascuno ha un proprio set di abilità e specificità per il combattimento. La scelta di uno qualsiasi di questi individui non comporta la sparizione del resto del cast: ritroveremo gli altri possibili personaggi giocanti all’interno del dungeon, impegnati a raggiungere il proprio obiettivo, seguendo una propria storyline; faranno parte del nostro party, se lo vorremo, oppure andranno incontro al loro destino.

Fear & Hunger

Parlo di party perché in effetti la base ludica dell’opera di Haverinen gira intorno ai combattimenti a turni tipici di un JRPG. Una volta incocciati su un nemico (sempre visibile nella mappa con visuale top down: non esistono scontri casuali), ha inizio, ahinoi, il combattimento. Una delle più macroscopiche particolarità di Fear & Hunger è la possibilità di direzionare gli attacchi su specifiche parti del corpo (pensate alla serie Fallout): mirando a un arto, ad esempio, avremo la possibilità di amputarlo, diminuendo l’attacco dell’avversario o impedendogli specifici attacchi; mirando alla testa potremo decapitare il malcapitato, con conseguenze prevedibilmente nefaste (ma non aspettative sempre una morte subitanea…); potremo mirare anche a parti meno nobili, recidendo una coda, un tentacolo, un’ala, i seni o il pene.

POSSIAMO ESSERE BRUTALI NEI CONFRONTI DEI NOSTRI NEMICI, MA ANCHE LORO NON ESITERANNO A FARE LO STESSO

Non fatevi impressionare da punti anatomici inconsueti, stiamo appena lambendo la superficie. Se è vero che noi possiamo essere brutali con i nostri avversari, è altrettanto vero che i nemici ben conoscono la legge del taglione. Fear & Hunger, diversamente dalla quasi totalità dei suoi omologhi, non istituisce asimmetrie a vantaggio del giocatore: possiamo amputare un arto del nemico e il nemico può amputare uno dei nostri, con conseguenze spesso distruttive per la run. Perdere un braccio (o due), perdere una gamba (o due), morire per dissanguamento, fame o infezioni, perdere la vista (e, fidatevi, non la si perde nella maniera astratta di molti altri videogame): sono tutte eventualità molto meno che remote. L’opera di Haverinen è brutale, punitiva quasi oltre la ragionevolezza: sfruttare tutti gli strumenti a nostra disposizione, dare un’organizzazione efficiente al nostro party, conoscere il nemico, quindi mirare alle parti giuste del nemico; inoltrarsi nel dungeon di Fear & Hunger è esclusivamente una questione di sopravvivenza. Ogni elemento favorevole è costantemente controbilanciato da qualcosa di negativo: Fear & Hunger non fa facili concessioni al giocatore, e proprio per questo rende ogni conquista soddisfacente in misura maggiorata.

Sì, quella è la “terza gamba” dell’ogre.

Come il titolo suggerisce, la fame è un altro compagno di viaggio costante e il giocatore deve procacciarsi continuamente cibo (possibilmente edibile, per evitare spiacevoli conseguenze) al fine di mantenere in salute ciascun membro del party. Ingrossare il party vuol dire avere maggiori chance di vittoria in combattimento; ma ingrossare il party vuol dire anche avere più bocche da sfamare. Al contempo, altra preoccupazione sempre presente per il giocatore è illuminare il proprio cammino con l’ausilio di torce: i recessi delle profondità sono avvolti dall’oscurità, e l’assenza di fonti di luce rende quasi del tutto inosservabile ciò che avviene su schermo, vanificando di fatto la partita. In assenza di level up, il personaggio progredisce mediante conoscenza e oggetti; equipaggiamenti migliori aumentano le nostre possibilità di avere la meglio, mentre sono i libri che, oltre a renderci edotti sul passato di questi luoghi e sul senso del nostro peregrinare, ci permettono di apprendere formule e schemi per il crafting. Sennonché anche la lettura di questi libri non è concessa senza patimento al giocatore: una delle meccaniche ricorrenti di questo videogame è il lancio della moneta, testa o croce; all’apertura di un libro o allo sferrare alcuni particolari attacchi, una moneta viene lanciata in aria e tocca al giocatore scegliere un lato: se si vince, bene; se si perde…

ANCHE IL SALVATAGGIO È SOGGETTO ALLA DEFERENZA ALLA SORTE

Questa deferenza alla sorte è prevista anche per il salvataggio. Fear & Hunger, pure nella sua natura latamente roguelite (ci torneremo), concede al giocatore di poter salvare i suoi progressi, dormendo presso dei letti sparsi nel dungeon; tuttavia, il salvataggio non è garantito. Lancio della moneta: se si vince, si salva, se si perde, qualcuno verrà a farci visita, magari ci ucciderà o ci menomerà pesantemente, vanificando minuti e minuti di giocato. La precarietà è una nostra compagna nell’oscurità di questo mondo sotterraneo, ed è amplificata dalla natura randomica di alcuni elementi di gioco. Ad esempio, il primo piano del dungeon è generato casualmente, come in un roguelike; gli oggetti contenuti nei vari recipienti sono di solito casuali: a ogni caricamento, magari dopo una morte, ciò che si rinviene in un dato livello è unico di quella run. Questo rappresenta un ennesimo fattore di incertezza, che può decretare senza mezzi termini la riuscita o la sconfitta nel percorso di discesa.

Come una delle sue grandi fonti di ispirazioni, Fear & Hunger racconta un mondo in cui le pulsioni erotiche e tanatologiche si permeano.

Parlando di discesa, ci troviamo di fronte a un altro aggiornamento del mito della katabasi, le risposte alle domande del nostro personaggio prescelto (come di tutti gli altri) possono trovarsi solo al fondo; è possibile districarsi fra gli arcani e le divinità che albergano in queste profondità solo sforzandosi di comprenderne le leggi e relative conseguenze topografiche. Soprattutto in questo si avvertono le venature soulslike del titolo, come riferito, del resto, dallo stesso autore in questa intervista (a proposito, consultate tutti gli ottimi approfondimenti sull’opera e non solo presenti nel sito). Il lore affonda nella cronistoria miyazakiana, e soprattutto dal tessuto narrativo che più l’ha formata: l’opera magna di Kentaro Miura, Berserk. Allora la bravura di Haverinen non è consistita tanto nel rinnovamento di un materiale attinto, quanto nel modo in cui ha parcellizzato questo mondo, consegnandolo al giocatore, il solo che può comprenderlo, ricostruendolo. Scandaglio “archeologico” che non ha solo finalità, per così dire, contemplative; poche altre volte nella mia esperienza videoludica conoscere il mondo di gioco è significato dominarlo, con conseguenze concrete sulla giocabilità stessa del titolo. Lascio a voi utenti scoprire come.

PER COLORO CHE SANNO E HANNO ODIATO

Mi rivolgo adesso nello specifico a chi conosce il titolo, ne è stato magari attratto all’inizio per il malsano fascino, per poi allontanarlo e reciderlo come una necrosi purulenta. Non ho nulla da obiettarvi, vi capisco. Lasciate però che vi spieghi il mio punto di vista. Chiaramente da ora in poi ci saranno maggiori spoiler sui contenuti di gioco, siete avvisati.

Fear & Hunger

Ecco il rappresentante di uno degli aspetti più ansiogeni del videogioco.

Immagino che uno dei motivi, forse il principale, che vi ha portato a disprezzare Fear & Hunger sia la sua punitività, che talvolta supera il confine del buon senso. Del resto, un videogioco che affida deliberatamente la risoluzione di certe situazioni a un lancio di moneta non può certo definirsi alfiere dell’agency del giocatore prima di tutto. E se è pur vero che l’RNG è un minimo ricorrente di ogni esperienza con elementi rougelite, va però ammesso che Fear & Hunger pecchi, in più di un’occasione, quasi di sadismo nell’infliggere sanzioni, spesso irreparabili e che non possono essere di fatto previste ed evitate dal giocatore; il quale, dunque, avverte innanzitutto ingiusta frustrazione. Tutto ciò è indubitabile, così come è fuor di discussione che Fear & Hunger indugi troppo su una rigiocabilità ottusa e artificiale, troppo prona ai capricci del caso. L’esperienza di Haverinen pone una barriera di ingresso molto alta e gode a sferrare calci nei denti del giocatore sin dalle primissime battute – pensate alla coppia di cani che sin dal principio si mette a caccia del nostro avatar, decretandone facilmente la morte per il giocatore alle prime armi.

FEAR & HUNGER PECCA QUASI DI SADISMO, IN PIÙ DI UN’OCCASIONE. MA FA TUTTO PARTE DEL PERCORSO DI SCOPERTA E ILLUMINAZIONE

Cionondimeno ritengo che questa brutalità, pur eccessiva, vada interpretata attraverso la lente deformante di un videogioco che, come dicevamo, fa della conoscenza progressiva una delle sue forze trainanti. È del tutto consono allo spirito dell’opera morire e menomarsi, più e più volte; tentare una strada ed errare senza vie d’uscita; tentare una soluzione e comprendere che sarebbe stato meglio agire all’opposto. Non sto appellandomi alle inflessioni roguelite del titolo, bensì a quel processo interno al giocatore, attraverso il quale lo stesso, un pezzettino alla volta, divelle le asperità scaturenti dall’ignoranza. L’opera offre, per l’utente attento o consapevole, diverse scappatoie utili ad attenuare o addirittura scongiurare il grosso degli elementi randomici; ed è così che laddove prima si scorgeva una selva di spade di Damocle pendenti ad ogni passo, con l’accumularsi dei tentativi un sentiero sempre più evidente prende a rischiararsi. Si tratta di un percorso di graduale “illuminazione” non dissimile da quello che caratterizza il dominio del mondo di gioco di un Souls o di Darkwood.

Fear & Hunger

Ad esempio, esiste un percorso molto semplice (e palesemente previsto dallo sviluppatore) per evitare i cani iniziali e procacciarsi da subito il save spot (che per la prima volta è gratuito, senza lancio di moneta): in altri termini, il gioco concede silenziosamente un checkpoint che funge da proficua base di partenza per la discesa. Oppure, pensate alla letalità degli orchi carcerieri e alla paura tremenda che incutono le prime volte: la conoscenza del pattern di danni localizzati da infliggergli li rende incontri quasi innocui. Fear & Hunger nasconde numerosi espedienti e segreti utili a facilitare la navigazione all’interno delle tetre stanze, accessibili solo al giocatore intraprendente e curioso, che ha sfruttato i fallimenti per farne ottimizzazione e scoperta.

PER COLORO CHE SANNO E HANNO AMATO

L’opera di Miro Haverinen si contrassegna per la sua ardita commistione di elementi derivanti da esperienze ludiche disparate e per il suo carisma fuori dall’ordinario, debitrice di opere entrate nell’immaginario pop ma anche portatrice di un’estetica riconoscibile. Un videogioco che non ha paura di allontanare il suo pubblico potenziale, caratterizzandosi per scelte di design estreme, ma anche un esponente di un modo tutto indipendente di approcciare al medium, tra idee fuori dai canoni e scelte senza compromessi.

Per voi che da quel dungeon siete usciti provati ma un po’ diversi, mi allineo al vostro entusiasmo, perché Termina ha le carte in regola per catturare tutte le specificità e l’immaginario del primo capitolo, proiettandolo in una dimensione maggiore e in un setting moderno-ma-non-troppo, così poco utilizzato nel videogame: ben otto personaggi giocabili, la presenza di armi da fuoco, una città isolata e avvolta nella nebbia… Non possiamo sapere se e come Miro riuscirà a replicare o a superare i traguardi raggiunti con il primo capitolo; però possiamo esser certi che avremo di fronte qualcosa che non si è soliti vedere in questa industria. E, alla fine, queste esperienze sono il motivo per cui continuiamo a videogiocare.


Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.

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