Brothers in Arms: il prezzo della guerra

Tutto questo parlare di Six Days in Fallujah mi ha fatto tornare in mente una serie di sparatutto che si è distinta per essere riuscita a fornire una visione più personale della guerra, rispetto a quanto fatto dai suoi contemporanei: i tre Brothers in Arms.

Brothers in Arms

La guerra è un tema onnipresente nei videogiochi. Non è certo una scoperta che io per primo ho compiuto, né una realizzazione a cui sono arrivato oggi: anzi, del tema avevo già parlato qualche tempo fa, cercando di riflettere sul perché il conflitto armato fosse un tema così comune all’interno dei videogiochi e se per caso questa cosa finisce per dire qualcosa di noi. La presenza così pregnante di fatti bellici nei videogiochi non significa che manchino casi in cui essi sono il punto di partenza per una riflessione su quali conseguenze la guerra ha su chi ne è coinvolto; l’esempio più famoso, in non poca misura per la sua brutale efficacia nel trasmettere la disperazione di chi deve subire le conseguenze di un conflitto, è sicuramente This War of Mine.

THIS WAR OF MINE È SICURAMENTE L’ESEMPIO PIÙ FAMOSO DI VIDEOGIOCO CHE RITRAE LE CONSEGUENZE DELLA GUERRA

Ma, in questi giorni, tanta chiacchiera si è fatta di un gioco che vuole ritrarre la guerra (in particolare, una battaglia realmente avvenuta nel 2004) dal punto di vista dei soldati, non nascondendone anche gli aspetti più duri a livello non solo di difficoltà di approccio sul campo ma anche a livello psicologico, usando testimonianze di chi si trovava lì in quelle giornate di novembre. Sto naturalmente parlando di Six Days of Fallujah. Del gioco di Highwire Games, da poco uscito in Accesso Anticipato, e del perché la sua versione attuale fatichi a convincere sotto molti aspetti ho scritto in altra sede, quindi qui non mi soffermerò su di esso. Qua mi interessa parlare di una serie di giochi che, invece, a ritrarre in maniera molto più personale e umana la guerra rispetto a quanto facevano i colleghi in prima persona ci è riuscita alla grande: quella di Brothers in Arms.

QUANDO TUTTI ANDAVANO A OMAHA BEACH

Forniamo un po’ di contesto. Brothers in Arms: Road to Hill 30, primo della trilogia, esce nel marzo del 2005 (e tra l’altro sta a due lire, anzi, euro su Steam). Sono anni in cui i videogiochi hanno la Seconda Guerra Mondiale fra i loro temi prediletti (Call of Duty, Medal of Honor, Battlefield 1942 e Hidden & Dangerous sono tutti di poco precedenti, e l’anno dopo uscirà Company of Heroes), che si cerca di rappresentare in un modo che ricalchi la rappresentazione cinematografica resa iconica dalle scene di Salvate il soldato Ryan; pensate solo a quante volte, nei segmenti di apertura dei giochi sopra citati, abbiamo assaltato Omaha Beach.

LE PRODUZIONI VIDEOLUDICHE DI QUEL PERIODO SI ISPIRANO MOLTO A CINEMA E TELEVISIONE

Negli stessi anni molto influente è anche la serie TV Band of Brothers, trasmessa nel 2001 e che ha per protagonista una compagnia di paracadutisti, e che – già dal nome – è una forte fonte di ispirazione per Brothers in Arms. Nella produzione di Gearbox non seguiamo infatti un singolo soldato, ma una squadra della 101esima divisione aviotrasporta, e per il sergente Matt Baker la collaborazione con gli altri membri sarà fondamentale. Il gameplay di Brothers in Arms: Road to Hill 30 è infatti leggermente diverso da quello degli altri esponenti del genere degli sparatutto nella Seconda Guerra Mondiale. Siamo sempre in prima persona, ma il nostro Matt Baker non è certo un tiratore scelto: per eliminare le squadre nemiche avremo quindi bisogno di una posizione di vantaggio, di fiancheggiare la loro copertura. Questo però richiederà di muoversi allo scoperto, un proposito letale in condizioni normali. Prima di poterlo fare dovremo indirizzare il fuoco dei nostri commilitoni così che obblighino i nazisti a stare al riparo, permettendoci di compiere – o far compiere alle squadre sotto il nostro comando – la manovra di accerchiamento.

Brothers in Arms

La storia, oltre a portarci a conoscere alcuni episodi cruciali avvenuti nei giorni seguenti al D-Day come per esempio la carica del tenente colonnello Robert Cole, si concentra parecchio sul rapporto fraterno che viene a crearsi fra i membri della squadra Easy. Chiaramente non mancano i momenti drammatici. Alla fine di uno dei primi livelli, una squadriglia di Stuka prenderà di mira la squadra, e una delle loro bombe stordirà Baker.

DESOLA È SOLO IL PRIMO DI UNA LUNGA SERIE DI COMPAGNI CHE CADRANNO NEL CORSO DELLA GUERRA

Al suo risveglio, si troverà di fronte il corpo straziato del soldato Michael Desola, fino a quel momento sotto il suo comando. La morte di Desola colpisce narrativamente, per la brutalità con cui è rappresentata – al posto del torace del soldato c’è un rosso cratere – e per il modo improvviso in cui avviene e in cui viene per necessità processata: non c’è tempo di fermarsi, ci sono altre posizioni da prendere, Carentan è lì che aspetta. E non è certo l’unico momento drammatico della serie, che anzi ne è costellata. In Earned in Blood, uscito nell’ottobre 2005, lo scettro del protagonista passerà dalle mani di Matt Baker a quelle di Joseph “Red” Hartsock. Il gameplay è sostanzialmente invariato – Red però mira un po’ meglio di Baker – e così anche l’approccio narrativo: durante le sue battaglie, Hartsock vedrà morire compagni di squadra e rimarrà lui stesso ferito, perdendo parte del suo dito anulare in seguito all’esplosione di una bomba.

Brothers in Arms: Hell’s Highway, uscito nel 2008, cambia leggermente l’approccio di gameplay. È piuttosto evidente, e non incomprensibile, il tentativo di Gearbox di catturare l’interesse di un pubblico più ampio, mantenendo sì l’elemento di gestione tattica della squadra ma rendendo più fattibile l’azione in solitaria. Il gioco presenta alti e bassi, con sezioni al controllo di un carro armato britannico francamente terrificanti, ma la linea narrativa si mantiene sui canoni che ormai hanno assicurato a Brothers in Arms una forse non enorme, ma di sicuro appassionata fanbase.

HELL’S HIGHWAY MOSTRA COME GLI EVENTI BELLICI NON COLPISCONO SOLO IL CORPO MA ANCHE LA PSICHE

Il protagonista è di nuovo Matt Baker, ma stavolta non siamo più nella Francia del nord, ma in Olanda. Il nuovo teatro è quello dell’Operazione Market Garden, assalto paracadutato che, come ben saprà chi conosce un minimo di storia della Seconda Guerra Mondiale, si risolse in un fallimento. Per quanto riguarda Baker, il nostro si troverà a far fronte non solo agli eventi bellici, ma anche ai traumi che la guerra gli ha causato. Frequenti saranno gli episodi allucinatori in cui si imbatterà, che coinvolgono spesso i suoi compagni morti. Una rappresentazione forse esagerata, ma allo stesso tempo efficace nel trasmettere che la guerra non lascia il suo segno solo sul corpo dei soldati, ma anche sulla loro mente.

FRATELLI IN ARMI, FINO ALLA FINE

Anche se sono passati anni da quando li ho giocati, i tre Brothers in Arms mi sono rimasti molto impressi. A livello di gioco, per quanto abbiano sicuramente delle buone idee, sono tutti un po’ ruvidi e sicuramente meno riusciti, meno “giocosi” di altri FPS contemporanei. Ma i loro personaggi, e gli eventi che affrontano, hanno lasciato il segno in me. Certo, quelli descritti sono in larga parte accadimenti di fantasia, ma inseriti in un contesto realmente accaduto e plausibili; per la ricostruzione, Gearbox si è spesso avvalsa delle testimonianze di veterani e del contributo di storici del periodo. E il risultato è una storia che ti entra dentro, che riesce a sembrare genuina, che ti mostra un volto duro della guerra lasciando spazio ai momenti eroici. Un peccato che, dopo aver chiuso Hell’s Highway con la chiara indicazione che per Baker e i suoi era giunto il momento di dirigersi nelle Ardenne, Gearbox abbia deciso di mettere in soffitta la serie.


Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.

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