God Eater 3 - Recensione

PC PS4 Xbox One

Non che non ci abbiano provato in Giappone, ad imitare il fenomeno Monster Hunter. Tra un Blood of Bahamut, un Lord of Arcana e un Toukiden, l’offerta è stata anzi piuttosto coraggiosa, ma solo una serie si è ritagliata la sua piccola nicchia di appassionati grazie ad ambientazione, meccaniche e – sopratutto – uno squisito stile anime.




Perché sì, per tantissimi God Eater è sempre stato “Monster Hunter con la trama”, ma cosa succede dopo che Capcom ha donato personalità e lore all’hunting game per antonomasia con l’avvento della Stella di Zaffiro, della Quinta Flotta e di tutto il resto? Meglio ancora, come se la cava il terzo avvento di God Eater di fronte alla rivoluzione perpetrata da Monster Hunter World?

UNA DANZA MORTALE

God Eater è una saga di successo (almeno in patria) perché ha osato essere diversa, prendendo le distanze dall’illustre ispiratore con uno schema di gioco più dinamico e furioso. Laddove Monster Hunter è metodico negli scontri, God Eater è adrenalina pura, rimuovendo azioni “inutili” come il rinfodero dell’arma per puntare tutto sull’assalto incessante. In questa prospettiva, adattarsi alla situazione per continuare a infliggere danni è imperativo: i God Arc – ovvero le carismatiche armi del gioco create dalle stesse cellule (Oracle Cells) dei giganteschi Aragami – possono mutare forma in un attimo, passando dalla configurazione corpo a corpo a quella a distanza per squarciare le difese nemiche con proiettili elementali prima di tornare a combattere in prima linea. Non solo: ogni giocatore dispone di proiettili curativi e della capacità di innescare lo stato di Burst (ci arriviamo tra un attimo) negli altri tre compagni di squadra, quindi modificare al volo il proprio ruolo da attaccante a supporto è caldamente consigliato per mantenere viva la sinergia. Del resto gli Aragami sono nemici formidabili, torreggianti quanto tirannici eredi di un mondo in rovina, caratterizzati con gran gusto pescando ispirazione in egual misura dal regno animale, dai miti e dal folklore; messa da parte la proverbiale carne da cannone, gli esemplari più grossi sono rapidissimi, vantano un gran numero di attacchi e pestano sodo, mettendo in conto anche il fatto che in God Eater non esistono armature.

God Eater 3 è un gioco che richiede dedizione per essere pienamente apprezzato, contrapponendo a un inizio banale un end game piuttosto intrigante

A parte le ovvie schivate, l’unica difesa è dunque lo scudo che può essere innalzato anche in aria, disponibile in tre “taglie” differenti per danno assorbito e velocità di dispiegamento, relegando alle divise con cui personalizzare il nostro alter ego un ruolo puramente estetico. In tutto questo la mobilità è importantissima: i danni inflitti dalle armi melee possono essere da taglio, da impatto o perforanti, e particolari zone degli Aragami sono spesso e volentieri vulnerabili a una precisa tipologia; poiché è possibile saltare, non è raro lanciarsi in pericolose combo aeree solo per tentare di danneggiare l’unica zona del nemico sensibile alle nostre percosse. I God Arc però vanno oltre il mero danno fisico, capaci come sono di mutare all’occorrenza in spaventose fauci con cui addentare carne e carapace degli apparentemente invincibili nemici e innescare nel possessore uno stato di frenesia chiamato Burst, durante il quale aumentano danno, mobilità e difesa, potenziando nel contempo gli attacchi standard con una serie di tecniche da equipaggiare a piacere e sviluppare un combattimento dopo l’altro. Come accennavamo qualche riga fa, attivare il Burst consente di sparare appositi proiettili all’indirizzo degli alleati per condividere il medesimo stato (o potenziarlo, possono infatti essere accumulati fino a tre livelli), massimizzando nel processo il danno complessivo dell’intera squadra.

CI VUOLE CORAGGIO. E PAZIENZA

God Eater ha dunque carattere; quello che manca a questo terzo episodio è la voglia di svecchiarsi, presentandosi concettualmente come un deciso passo in avanti sulla strada del perfezionamento e, allo stesso tempo, come un titolo piuttosto conservativo. Oramai anacronistiche appaiono sicuramente le arene, da sempre piuttosto piatte e oggigiorno quasi banali se confrontate con quanto visto nel Nuovo Mondo. Scordatevi dunque l’intricato level design, la verticalità, le potenziali trappole e tutte quelle trovate con cui la quinta generazione di Monster Hunter ha cambiato le regole del gioco, perché le mappe di God Eater 3 sono piatte e prive di elementi con cui interagire per guadagnare qualche vantaggio strategico contro gli Aragami; sono presenti i classici punti di raccolta dove recuperare materiali per migliorare l’equipaggiamento o geyser di essenza vitale per fare una pausa strategica ma, a parte questi prevedibili elementi, quel che resta è tristemente scontato e privo di trovate particolari. Il motore grafico non fa nulla per impreziosire l’esperienza, presentando una rappresentazione del mondo di gioco in grado di farsi bello solo grazie alla buona direzione artistica che dona lustro e cattiveria ad armi e nemici; sono disponibili due modalità di visualizzazione che favoriscono rispettivamente la risoluzione e i FPS, tuttavia i 60 fotogrammi al secondo non vengono raggiunti in nessuna delle due. Questo non pregiudica l’azione che resta comunque sempre fruibile, ma il durissimo scotto da pagare per chi muove i primi passi nel gioco è incarnato dalla tediosa campagna. In realtà inizia benone, mostrando un mondo addirittura più oscuro rispetto a quello dei capitoli precedenti per gentile concessione di una sinistra coltre di cenere che consuma tutto quello che investe. Oltre a uccidere un uomo adulto in pochi minuti e rendere gli Aragami ancora più inalberati, la Cenere è anche la causa dell’esistenza degli AGE, ovvero Adaptive God Eater, una razza di soldati improvvisati capaci di brandire i God Arc e considerati sacrificabili strumenti di difesa dal resto della società “civile”.

Poi, però, il tutto vira verso la banalità assoluta tirando in ballo ogni singolo cliché immaginabile, tra mocciosi predestinati a salvare il mondo, dialoghi scontati e avatar dei giocatori muti come pesci assieme e dosi di fan service massicce con corpi femminili privi dello spazio per gli organi interni, tuttavia dotati di seni che sfidano a testa alta ogni legge della fisica e dell’anatomia. Il peggio sono i tempi morti tra una missione e l’altra, allungati da una noiosa “caccia al tesoro” alla ricerca dei personaggi contrassegnati da un fumetto con cui interagire per sbloccare il nuovo incarico. Considerato che buona parte del gioco avviene a bordo di un solcacenere (una sorta di sand crawler sprovvisto della licenza di Guerre Stellari) composto da più piani, la voglia di menare le mani viene spesso frenata dalla frustrazione galoppante. Come ciliegina sulla torta troviamo un’opera di traduzione inadeguata, letterale e sicuramente affidata a qualcuno che non conosce i meccanismi di God Eater, destinata a causare profondi attimi di confusione; al di là di alcune assurdità che spuntano un po’ ovunque nell’interfaccia – comunque trascurabili una volta apprese le basi – consiglio di mettere da parte il carismatico doppiaggio giapponese e affidarsi a quello americano per comprendere correttamente tutti i dialoghi.

NUOVI TRUCCHI PER VECCHI CACCIATORI

God Eater 3 è un gioco che richiede dedizione per essere pienamente apprezzato, contrapponendo a un inizio banale un end game piuttosto intrigante. La trama resta dimenticabile ma si conferma funzionale al gioco introducendo gli Aragami Cinerei (una potente variante capace di entrare in modalità Burst come gli stessi cacciatori, mutando forma e massimizzando la cattiveria) e sostituendo i trascurabili intermezzi realizzati con il motore grafico con sequenze anime davvero molto belle durante i momenti più importanti, mentre la mediocre difficoltà iniziale viene messa da parte quando il gioco si fa duro. La sfida è infatti un fattore piuttosto schizofrenico in God Eater 3, giacché dopo un KO potremo decidere se farci rianimare con una frazione dei punti ferita da un commilitone (rischiando dunque di essere mandati nuovamente al tappeto dal primo colpo vagante) o optare per una completa rigenerazione al punto di partenza, il tutto attingendo a un numero inizialmente eccessivo di “vite”. Proseguendo, però, avremo a che fare con le spedizioni, ovvero sequenze di missioni da portare a termine con un numero finito e non rigenerabile di tentativi, assieme ai famigerati combattimenti con più Aragami di grandi dimensioni. In simili situazioni la padronanza del gioco è imperativa, pena un’impressionante quanto inevitabile serie di decessi a opera di colossali nemici capaci di fare a pezzi una squadra poco affiatata in un batter d’occhio, anche perché bloccare la visuale su un bersaglio non sempre riesce a tenere a lungo sotto tiro avversari tanto mobili. E non sperate di usare trucchetti vecchio stile sfruttando fantomatici tempi di caricamento per riorganizzarvi, giacché le mappe di God Eater sono sempre state continuative e prive della suddivisione in settori vista nei vecchi Monster Hunter.

La cosa peggiore della compagna sono i tempi morti tra una missione e l’altra

Con otto tipologie di armi corpo a corpo a disposizione, God Eater 3 aggiunge all’arsenale del precedente episodio le doppie lame (Biting Edge) e l’Heavy Moon, un affilato hula hoop del tutto simile a quello usato da Tira in Soul Calibur, all’occorrenza trasformabile in una pesante ascia. A questi va sommata una nuova categoria di arma da fuoco al gusto laser che incrementa il danno inflitto finché il bersaglio viene irradiato da un fascio di energia; si tratta di una condizione piuttosto dura da rispettare vista l’imprevedibilità con cui si muovono i giganteschi nemici, il che rende questo nuovo giocattolo uno strumento destinato ai cacciatori più esperti. Per aumentare le possibilità contro i nuovi avversari, il gioco introduce alcune meccaniche niente male: la più interessante è sicuramente la picchiata, che permette di lanciarsi in avanti con una carica aerea verso l’avversario, mirando ulteriormente ad annullare le eventuali pause che intercorrono tra una combo e l’altra. Seguono, secondo il mio personalissimo ordine di importanza, gli Engage (tradotti maldestramente con un generico “Attacchi”), ovvero dei potenziamenti che scattano quando i giocatori lottano vicini l’un l’altro. Ognuno sceglie il buff che preferisce e, al momento giusto, i vantaggi vengono attivati all’unisono finché la coppia non si separa eccessivamente, dando vita a un’idea veramente buona che avvantaggerà le squadre più affiatate. Per finire c’è l’Accel Trigger, ovvero una serie di bonus messi in moto al raggiungimento di determinate condizioni; con tutta questa carne al fuoco c’è da farsi venire inizialmente un bel mal di testa, ma God Eater 3 ha l’accortezza di introdurre le varie meccaniche un po’ alla volta, scongiurando con il passare delle missioni l’apparente piattezza iniziale senza scoraggiare troppo i nuovi venuti.

non sperate di usare trucchetti vecchio stile sfruttando fantomatici tempi di caricamento per riorganizzarvi

Ho buone e cattive notizie riguardo il gioco online: tra le prime annovero la semplicità d’uso, ove è sufficiente attivare l’apposito comando da uno dei tanti terminali che affollano l’hub di turno per creare lobby o unirsi ai party altrui, filtrando i potenziali alleati attraverso una soddisfacente rosa di opzioni e giocare con una fluidità eccellente che mi non mi ha mai piantato in asso durante i miei test. Il rovescio della medaglia è la presenza della campagna, purtroppo presente anche qui. Ogni lobby infatti ha un indice che mostra a che punto della storia partirà la vicenda, e se un membro della squadra non ha ancora sbloccato un determinato intermezzo ai compagni non resterà che attendere, magari ottimizzando l’equipaggiamento. Come alternativa ci sarebbero le missioni d’assalto, e lì la musica è diversa. Ci si connette e il matchmaking si occupa di mettere assieme uno squadrone composto dalla bellezza di otto God Eater, colmando i posti mancanti con NPC generati casualmente, ché l’editor è bello robusto e difficilmente incontrerete due giocatori identici. Alla fine il mega team se la vede contro un potente Aragami Cinereo in un’arena di dimensioni contenute durante cinque minuti di soddisfacente ultra violenza tra colpi che volano da ogni parte e galvanizzanti tracce audio cantate; al termine della rissa ci sono ricompense da portare a casa anche se il bestione ha avuto la meglio, mentre potremo imparare gli Engage utilizzati dai compagni incrociati e usarli durante le nostre avventure. Gran bello, peccato che il numero di queste particolari missioni sia molto limitato.

Sapevate che in God Eater potete addirittura creare i vostri proiettili personalizzati impostando proprietà, effetti e traiettorie? Questo solo per ribadire quanto profondo sia il gioco; complessivamente gli manca la pulizia dell’ultimo Monster Hunter e non mostra particolare coraggio, ma si tratta comunque di un’alternativa brillante (sicuramente ancora la migliore) al colosso Capcom, destinato a giocare in una categoria tutta sua grazie a un gameplay al fulmicotone. Essendo il primo capitolo pensato senza la “zavorra” dei sistemi portatili era logico aspettarsi qualcosa di più, ma gli appassionati non rimarranno comunque delusi. Le nuove leve dovranno però mostrare una buona dose di pazienza iniziale per premettere al titolo di mostrare tutte le sue carte.

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Pro

  • Ottima direzione artistica in stile anime.
  • Sistema di combattimento rapido, furioso e soddisfacente.
  • Gioco online stabile.

Contro

  • Campagna soporifera che spezza il ritmo del gioco.
  • Tecnicamente modesto.
  • Bisogna aspettare diverse ore prima che le missioni diventino realmente interessanti.
7.8

Buono

Il retrogamer della redazione, capace di balzare da un Game & Watch a un Neo Geo in un batter di ciglio, come se fosse una cosa del tutto normale. Questo non significa che non ami trastullarsi anche con giochi più moderni, ma è innegabile come le sue mani pacioccose vibrino più gaudenti toccando una croce digitale che una levetta analogica.

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