God of War - Recensione

PS4

Nota bene: Questa è una recensione povera di spoiler ancor più delle particelle di sodio nell’acqua Lete. Procedete tranquilli nella lettura, senza timore alcuno.

Davvero non so se Cory Barlog, la mente creativa dietro a questa sorta di sequel-reboot di God of War, abbia stipulato un patto col dio dei videogiochi che contempli la sua anima in pegno. So di certo, tuttavia, che quello stesso dio dei videogiochi – colui che preghiamo ogni giorno perché illumini il cammino degli sviluppatori timorati – ha alzato la mano e concesso la sua benedizione a Santa Monica Studio: non si spiega altrimenti il clamoroso risultato che abbiamo tra le mani oggi e che mi ha tenuto impegnato per ormai una quarantina d’ore (e ancora ce n’è, prima di aver spolpato a dovere tutto l’end game), per lo più passate a stropicciarmi gli occhi dalla meraviglia. God of War non è solo la rinascita di un brand che relega definitivamente al passato le pur clamorose gesta del Kratos che fu, ma anche un’asticella con la quale si dovranno misurare gli action adventure che verranno in futuro, da Shadow of the Tomb Raider fino a Spider-Man, passando financo per la seconda tornata di The Last of Us. Dite che sto esagerando? Giocatelo, e poi ne riparliamo.

NEL NOME DEL PADRE

Credo sia abbastanza complicato spiegare agli irriducibili appassionati della serie – quelli cui vedo storcere il naso sui social, dopo aver assistito a una misera manciata di minuti di gameplay su YouTube – perché God of War riesca a essere un titolo assai diverso dai predecessori, ma al contempo talmente rispettoso della storia del brand da poter essere visto come una naturale evoluzione, e non parlo solo a livello di puro gameplay. Il Kratos del 2018 è certo differente dal Fantasma di Sparta che abbiamo apprezzato in passato: la metamorfosi non è tuttavia figlia di un colpo di spugna operato indiscriminatamente dagli sviluppatori, bensì di un processo di catarsi del personaggio stesso in quanto uomo; un viatico che diventa pienamente comprensibile solo giocando e vivendo – con cuore sospeso – l’evolversi del rapporto col figlioletto Atreus. Il viaggio che entrambi percorrono non è solo un percorso fisico, ma anche un tentativo necessario di raggiungere l’epifania dello spirito, laddove l’emozionante incipit del gioco è l’enzima che scatena una serie di reazioni di cui Kratos e il figlio sono sia protagonisti, sia involontari spettatori.

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il passaggio dalla mitologia greca a quella norrena segna un passo importante di discontinuità

È un Kratos diverso quello con cui abbiamo a che fare, ma lo è coerentemente col passato, nella misura in cui il personaggio ha subito una maturazione naturale: egli è ancora impavido, certamente, eppur consapevole di come le nefandezze compiute in vita necessitino di essere mondate in qualche modo, senza che colpe e conseguenze ricadano sulla testa di Atreus. In quest’ottica, il passaggio dalla mitologia greca a quella norrena segna un passo importante di discontinuità, come se Kratos abbia avuto bisogno di ripulirsi dalle ceneri che portava addosso con un netto colpo di spugna, prima di avviarsi verso la catarsi finale. Anche qui, vedere il cambiamento di ambientazione come un tradimento sarebbe un atto superficiale e irrispettoso, specie nei confronti del grande sforzo compiuto dal team di sviluppo nella proposta di un lore certo diverso da quanto la serie ci ha abituato, ma parimenti coerente con il Kratos del 2018. Il lavoro di riadattamento è da lodare anche per la capacità di garantire sia un plot pienamente comprensibile a chi non avesse mai vissuto i precedenti God of War (nel caso, cliccando qui potete leggere uno specialino con un breve riassunto e qualche curiosità), sia un valore aggiunto per chi è invece in grado di cogliere alcuni riferimenti che – qua e là – fanno capolino durante il viaggio.

Il nostro ruolo, in tutto questo, non è provare empatia per Kratos o per Atreus (cosa che comunque avviene spontaneamente, in particolare se – come me – avete la fortuna di essere padri di un figlio maschio in cui rivedete voi stessi), ma di partecipare alle vicende come se vestissimo i panni di un terzo personaggio a loro invisibile e che li accompagna nel viaggio. God of War è, di fatto, un infinito piano sequenza che comincia dal menu iniziale e si trascina per tutta la durata del gioco, con il nostro occhio ospitato nell’obiettivo di una steadycam che non molla mai il colpo. Ho particolarmente apprezzato questa scelta, nella misura in cui gli abili ragazzi di Santa Monica Studio sono riusciti a legare in modo clamoroso e senza soluzione di continuità le parti di azione sotto il nostro controllo con le spettacolari scene di intermezzo, in una danza dove il ritmo cambia con una naturalezza esaltante e dove tutti i ballerini sono sempre consapevoli del loro ruolo nella coreografia.

UN PO’ ACTION ADVENTURE, UN PO’ HACK ‘N’ SLASH E UN PO’ ACTION RPG

Nel corpo di God of War albergano anime diverse, che emergono poco alla volta e che si alternano ripetutamente al timone della nave. La sostanza è quella di un action adventure in terza persona abbastanza allineato agli ultimi due Tomb Raider o a Uncharted 4, almeno per quanto riguarda la gestione della telecamera e il design di alcuni passaggi. Il mondo di gioco non ha certo i crismi dell’open world vero e proprio, e tuttavia non mancano strade alternative e tante zone accessorie, accessibili da un certo punto della storia in avanti, quando diventa possibile abbandonare temporaneamente la missione principale per dedicarsi alle numerose attività secondarie. Al di là delle esigenze di completismo, allontanarsi sporadicamente dalla retta via non ha l’unico scopo di soddisfare la sete di esplorazione e di scoperta, ma anche di accatastare materiali e Punti Esperienza necessari rispettivamente al crafting e allo sblocco dei numerosi talenti utili a diversificare l’approccio al combattimento. Si tratta di un aspetto che non va assolutamente ignorato: God of War, da questo punto di vista, palesa le stigmate di un hack ‘n’ slash e – in parte – perfino di un Action RPG vero e proprio, tanto sono profondi e variegati il combat system e il meccanismo di progresso che gli sottende. Elencare qui ogni possibilità sarebbe un esercizio futile e noioso: vi basti sapere che Kratos è distinto da sei caratteristiche RPG-style, da un’arma (il Leviatano) che va migliorata alla bisogna e da due attacchi runici che possono essere sostituiti man mano che l’esplorazione ce ne mette a disposizione di nuovi; in aggiunta, esistono tantissimi pezzi di armatura che forniscono buff e possono essere migliorati dai fabbri, oltre che innestando castoni di vario genere. Peraltro, come vi avevo raccontato in una recente anteprima che vi invito a rileggere (questa), una delle cose fantastiche del combat system di God of War è la capacità di “trasmettere” fisicamente i colpi inferti, ma anche quelli subiti: che ci si lanci contro il nemico a mani nude per stordirlo o lo si prenda ad asciate sulle gambe, la rabbia o il dolore di Kratos diventano i nostri; c’è una fisicità empatica nelle botte che – prima di oggi – ho percepito solo nei videogiochi di FromSoftware e in qualche picchiaduro.

god of war recensione ps4Se le chance di personalizzazione di Kratos sono migliaia, Atreus (ovvero il piccolo Deulofeu, come lo abbiamo goliardicamente battezzato da queste parti) merita un discorso a parte. Il giovane figliolo di Kratos è tutto tranne che uno spettatore non pagante, e anzi – man mano che si avanza nella storia – la sua progressione consente di togliersi sfizi importanti, sia durante le battaglie, sia nelle fasi di esplorazione. Il giovanotto è abile con l’arco e non manca di aiutarci in più di una situazione, sia autonomamente, sia – soprattutto – attraverso l’uso del tasto Quadrato, grazie al quale possiamo impartirgli ordini di varia natura. L’apprendimento di nuove abilità di Atreus (ma anche di Kratos) permette peraltro di accedere a porzioni di scenario precedentemente precluse, alla stregua di un metroidvania qualsiasi. Sottovalutare l’apporto del ragazzo alla causa è un errore che non va commesso: personalmente, mi sono accorto di come fosse importante la sua partecipazione ai combattimenti proprio dopo avergli dedicato le giuste risorse (in materiale per migliorarne l’equipaggiamento, e in XP per sbloccare talenti e potenziamenti), ergo vi invito a fare altrettanto, se non volete che a un certo punto le cose si mettano davvero male.

una delle cose fantastiche del combat system di God of War è la capacità di “trasmettere” fisicamente i colpi inferti, ma anche quelli subiti

Le tante possibilità concesse da tutto questo ben d’iddio spingono costantemente alla sperimentazione. Pur dopo parecchie ore di end game, difatti, la scoperta di nuovi set di armature o di poteri runici (sia di Kratos, sia di Atreus) invita a variare l’approccio, anche perché alcune zone opzionali mi stanno dando un discreto filo da torcere, nonostante abbia optato per il livello di difficoltà Normale. Persino il necessario grinding delle risorse – inevitabile, da un certo punto in avanti – è stato pensato in modo da ridurre al minimo la ripetitività, grazie a soluzioni certo già viste altrove (non entro nel dettaglio, per non rischiare pericolosi spoiler), e tuttavia incastonate in maniera mirabile da Santa Monica Studio nel suo pregiatissimo gioiello.

DEVE ESSERCI UN SEGRETO CHE NON CI DICONO

Viene da chiedersi come sia possibile assistere a cotanta meraviglia scenica, senza che ci sia dietro le quinte qualche antico rituale sciamanico. Chiacchierando con Davide Mancini della cosa, qualche giorno fa, è emerso il sospetto che Sony non abbia proprio raccontato tutto ai dev di terze parti quando ha consegnato i kit di sviluppo, perché il distacco dei titoli prodotti internamente – a livello puramente tecnico – è a tratti imbarazzante. God of War rappresenta la punta di diamante di questa forbice, almeno nelle condizioni ottimali alle quali ho avuto la fortuna di giocarci (PlayStation 4 Pro su un TV OLED 4K, con un impianto surround ben più che decoroso a supporto). Al di là della naturalezza con la quale si passa dall’azione alle scene di intermezzo, in un flusso che non si interrompe mai, il pargolo di Santa Monica Studio è un concentrato di prelibatezze visive cui è difficile restare insensibili, anche se siete videogiocatori multipiattaforma e il vostro occhio è tarato sulla Master Race.

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Il doppiaggio in italiano è assolutamente eccellente e prevede la presenza di molte voci note

La versione PlayStation 4 Pro concede la scelta tra la risoluzione in 4K (attraverso l’ormai consueto checkerboard rendering) e una in Full HD che punta maggiormente alle prestazioni. Ho percorso più di metà avventura sfruttando la prima delle due, che garantisce un frame rate attorno ai 30 fps, seppur con alcune esitazioni sparse. Quando le cose hanno cominciato a farsi davvero serie, tuttavia, ho sentito il bisogno di maggior fluidità e ho quindi optato per la seconda, laddove God of War non si fa grossi problemi a stanziare tra i 45 e i 60 fps. Se non avete a tiro un pannello 4K la scelta è di fatto obbligata, ma anche nell’altro caso il mio consiglio è di dare la precedenza alle prestazioni, specie se siete intenzionati ad affrontare il viaggio a modalità Difficile o – pazzi! – in una modalità hardcore chiamata Un vero God of War, dove gli schiaffi sono garantiti senza soluzione di continuità (l’ho testata per un paio d’ore e vi assicuro che è materia per gente davvero brava). A mio modo di vedere, almeno in questo specifico caso, l’esigenza di un frame rate elevato pesa di più del guadagno in termini visivi apportato dalla risoluzione maggiore, in particolare quando le opzioni in combattimento diventano tante e i riflessi abbisognano di un supporto in termini di scioltezza nella manovra. Si tratta di una questione di sensibilità personale, ma sono pronto a scommettere che anche voi, dopo che sarete passati da una modalità video all’altra, non tornerete più indietro.

Aggiungo un paio di ulteriori note, in chiusura di recensione. Nel caso vogliate un’esperienza ancora più immersiva, dal pannello di controllo è possibile eliminare parte del HUD, se non addirittura tutto il cucuzzaro (compresi gli indicatori di salute dei nemici). Il doppiaggio in italiano è assolutamente eccellente e prevede la presenza di molte voci note: tra le tante, ho di sicuro riconosciuto quella di Roberto Stocchi e di Alessandra Cassioli, ma potrei scommettere qualche euro anche sulla partecipazione di Arturo Valli (Hiro di Big Hero 6) nelle vesti di Atreus, nonché di un incazzatissimo Pierluigi Astore nei panni di Kratos, il quale – qualche anno fa – aveva ironicamente doppiato Zeus nella serie animata italiana Ulisse: Il mio nome è Nessuno. A ogni modo, qualora siate indefessi fruitori dell’idioma originale, sappiate che il menu di configurazione dell’audio permette di cambiare al volo la lingua delle voci e degli eventuali sottotitoli. Della colonna sonora non ve ne parlo nemmeno: ascoltatela e fatela vostra; qualora non vi venisse la pelle d’oca, sappiate che siete delle brutte persone.

God of War è il miglior action adventure della generazione corrente e la cosa più bella successa a PlayStation 4 dai tempi di Bloodborne. Non c’è niente fuori posto, a cominciare da una direzione artistica mostruosamente ispirata, passando per un combat system incredibilmente profondo e sfaccettato, fino a una strapotenza tecnica che fa impallidire tutto quanto visto finora sull’ammiraglia di Sony. Qualcuno potrebbe obiettare che Kratos non sia più Kratos, e che il gameplay sia stato eccessivamente stravolto rispetto a quanto la serie aveva offerto finora, ma si tratta di questioni di lana caprina: Santa Monica Studio non ha dipinto un Kratos diverso, ma solo più maturo e trasformato dalle rudezze del passato, ammodernando la formula con un’alternanza bilanciata alla goccia tra azione, narrazione e progressione. Davvero non c’è nessun motivo per cui non dobbiate far vostro God of War il prima possibile, anche qualora abbiate una spiccata idiosincrasia per il genere al quale appartiene. Chapeau.

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Pro

  • Ricco, sfaccettato e impegnativo il giusto.
  • Tecnicamente mostruoso.
  • Raccontato in maniera egregia.
  • Colonna sonora di assoluto pregio.
  • Ben doppiato.

Contro

  • La mappa è un po’ confusionaria.
  • In 4K non sempre regge i 30 fps stabili.
9.7

Ottimo

Detto, fatto, un po' matto. Il Kikko redazionale passa per vecchio e stanco, ma è quello che porterà un fiore, un mouse e una tastiera sulle tombe di tutti gli altri loschi figuri che gravitano per le nebbiose vie di TGM.

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