La mia vita da videogiocatore è macchiata da una grave carenza: prima di Let it Die non avevo mai giocato a un titolo prodotto da Grasshopper Manufacture. È comunque impossibile non conoscere quel pazzo visionario di Goichi Suda, e nonostante le mie mancanze ho stampato in mente interi spezzoni di No More Heroes, a detta di molti appassionati una delle opere più meritevoli della libreria Wii. Così, un po’ intimorito e un po’ spaventato, complice sia il video mostrato alla PlayStation Experience di quest’anno, sia la sua natura free to play, ho provveduto a scaricare Let it Die sulla mia fiammante (nel senso che a volte rischia di prender fuoco) PlayStation 4. Ancora fatico a comprendere ciò che ho visto, ma una cosa la so per certo: non riesco a smettere di giocare.
GREZZUME
Partiamo subito con le critiche pesanti, così da togliermi i vari sassolini dalle scarpe e poi dedicarmi a una bella sfilza di complimenti: Let it Die è un gioco poco rifinito (potrebbe tranquillamente essere definito “spigoloso”), che vanta mappe ripetitive, spoglie e anonime. Come se non bastasse, le texture sono estremamente lente nel caricarsi, facendo soffrire fin troppo spesso, soprattutto tra una sezione di gioco e l’altra, le nostre povere retine. Trovo poi il sistema di controllo poco pratico: la corsa e la camminata silenziosa condividono lo stesso tasto, e lo stesso vale per la schivata e la parata, rendendo di fatto un incubo infilare i giusti comandi nelle parti più concitate.
Let it Die ha tanto di quel carisma che è impossibile non finirne catturati
TORRI SBILENCHE
Ancora però non ho fatto le dovute presentazioni: l’ultima opera Grasshopper Manufacture è, di base, un frittomisto di qualsiasi cosa. Abbiamo fortissimi richiami agli anni ’80 e alla cultura pop giapponese, con una violenza gratuita e talmente esagerata da risultare quasi ridicola, con tanto di armi non convenzionali come ferri da stiro e mosse di wrestling a coronare il tutto. La vera genialata avviene però grazie alle meccaniche di gioco: partendo da un action in terza persona che strizza l’occhio alla serie Souls, vestiamo i panni di un tizio mezzo nudo che deve affrontare una lunghissima scalata verso la cima di una torre, abitata da varie amenità che proveranno in qualsiasi momento a farci la festa.
L’ultima opera Grasshopper Manufacture è, di base, un frittomisto di qualsiasi cosa
Qui spunta la caratteristica che mi ha fatto innamorare dell’opera di Suda: il permadeath. Un po’ come accade nella serie di Miyazaki, una nostra morte prematura coincide con la perdita di tutti gli oggetti raccolti, delle monete guadagnate e dell’esperienza macinata, cui si unisce anche il momentaneo (si spera) abbandono del nostro avatar digitale, che rimane a presidiare il luogo della propria morte sotto forma di zombie/maniaco omicida. Raggiungere il luogo del misfatto con un nuovo personaggio e corcare di botte il redivivo è un ottimo modo per riacquisire la proprietà del combattente, pena una lunga sequenza di bestemmie con altissimo rischio di scomunica.
YOU DIED
In Let it Die batte fortissimo un cuore da roguelike, che non solo prevede una punizione abbastanza severa per chi crepa all’interno della torre, ma che vanta livelli più o meno procedurali quel tanto che basta per offrirci sempre mappe leggermente diverse ma che, come già accennato, peccano fin troppo di anonimato.
In Let it Die batte fortissimo un cuore da roguelike
GODURIA SPLATTER
Come credo stiate immaginando, Let it Die è stata una sorpresa più che gradevole, e soprattutto ha portato sui nostri schermi una fresca ventata di novità nell’universo dei free to play, fin troppo spesso collegati a generi come MOBA, Shooter Arena e MMORPG. Non ho trovato grandi differenze tra chi decide di spendere i propri quattrini e chi invece decide di giocare senza toccare il portafogli: ogni giorno è possibile raccogliere un premio “fedeltà” che – non troppo raramente – coincide con un bel mucchietto di Death Metal, valuta del gioco con cui è possibile avere qualche beneficio, tra cui la possibilità di resuscitare il proprio avatar, allargare il magazzino e comprare biglietti speciali che ci fanno risparmiare tempo di gioco e risorse.
È gratis e divertente, e Zio Morte ha carisma da vendere
Let it Die è stata una sorpresa fantastica, capace di offrire locura purissima e meccaniche di gioco originali, nonostante i numerosi difetti di cui vi ho parlato in apertura di recensione. Ci troviamo davanti a un videogioco che miscela sapientemente Dark Souls a un roguelike, che offre una ventata di aria fresca nell’universo dei free to play, che (finalmente) non ci infila nel mezzo di un MOBA e che ci fa SUDAre innanzi a ogni pericolo. Con un carisma da vendere e qualche scelta stilistica sfiziosa, sarebbe un crimine non scalare nemmeno un piano della Torre di Bael. È pure gratis… cosa volete di più?