Polybius non è un semplice videogioco. È una storia, una leggenda metropolitana di cui si è iniziato a parlare nel 1989 e che, da allora, non ha smesso di affascinare generazioni intere. D’altra parte, come dice Mr. Wednesday a Moon Shadow, “Believing is seeing”, non il contrario. Cosa raccontano queste insistenti dicerie, mai verificate in maniera incontrovertibile?
SACRO SACRILEGIO
1981. Nelle sale giochi di Portland appaiono cabinati di un nuovo arcade, difficile da definire con precisione: mischia un genere action fantascientifico con elementi sparatutto e puzzle, con labirinti dalle complesse geometrie da cui scappare. Per darvi un’idea, si può pensare a qualcosa di simile a Tempest di Atari, anch’esso uscito nel 1981. Ma Polybius ha un effetto molto più drastico sui giocatori, a cui piace così tanto da non fargli apprezzare nient’altro, provocando crisi di stress, insonnia e incubi a occhi aperti. Una vera e propria dipendenza, insomma, che causa anche risse per le strade.
Nessuno ha mai dimostrato la verità dietro i fatti di Portland
Dove sta la verità? Nessuno l’ha mai dimostrato, ma il risultato è stato comunque che ogni cabinato e qualsiasi evidenza della sua esistenza sono stati eliminati e, ancora oggi, nessuno è riuscito a portare alla luce prove chiare dei fatti accaduti a Portland in quei mesi. Avanti veloce fino ai giorni nostri: Jeff Minter, a capo di Lamasoft, compie un atto al limite dell’ossimoro, a metà tra la devozione assoluta e il sacrilegio più profano: sviluppa Polybius – per davvero! Così facendo, in un certo senso, ne uccide il mito: ora è qui davanti a noi, e non c’è dubbio che sia reale.
INSEGUIRE IL BIANCONIGLIO
Dopo questa doverosa presentazione, parliamo un po’ del gioco vero e proprio, magari con un sottofondo appropriato. Il meccanismo di base è quasi banale e ricorda davvero gli arcade anni ’80: controlliamo una navicella che avanza senza sosta attraverso tunnel dalle forme svariate e che deve eliminare ogni avversario, accompagnata da una costante musica trance.
la velocità impazzisce e ci si lascia trasportare dal flusso colorato davanti agli occhi
Proprio per garantire la massima fluidità dell’esperienza, i ragazzi di Lamasoft non hanno introdotto alcun boss fight; per quanto si tratti di una precisa scelta progettuale, personalmente credo che la loro presenza avrebbe reso ancora più vario l’incedere del gioco, regalandoci qualche momento memorabile in più. Peraltro, per chi cerca maggiore difficoltà ci sono modalità di gioco alternative: Pure, in cui si riparte dal primo livello a ogni game over, e YOLO (la preferita del Keiser!), che concede 9 scudi iniziali ma non ne prevede l’aggiunta al superamento dei vari schemi.
ELLESSEDÌ
La situazione a schermo è tranquilla solo nei primi secondi di ogni partita, dopodiché si popolerà di nemici piuttosto assurdi, dagli alieni à la Space Invaders a gigantesche palle rotolanti, magari passando per innumerevoli forme di bovini. Tutto è un tripudio di colori, immagini, musica ed effetti sonori che saturano di input il nostro cervello. All’aumentare della velocità, il caos comincia a prendere il sopravvento e diventa quasi impossibile mantenere il controllo. Questo non è un problema, perché gli elementi chiave con cui è indispensabile interagire sono quasi sempre di facile identificazione, il che dimostra quanta cura Lamasoft abbia posto nel mantenere almeno un minimo di leggibilità anche durante le partite più frenetiche.
Senza bisogno di droghe, Polybius riesce a trasportarci in un nuovo stato mentale
D’altronde, è proprio da questi dettagli che emerge tutta l’esperienza di Jeff Minter su giochi dello stesso tipo, tra cui Tempest 2000 per PC (quante ore!) e TxK per PS Vita, entrambi sequel del già citato Tempest, un modello che sembra aver decisamente colpito il nostro eroe. Con Polybius si può forse dire che sia arrivato a creare ciò che aveva in testa da molto tempo: un’esperienza lisergica che, senza bisogno di droghe, riesce a trasportarci in un nuovo stato mentale.
Sedetevi e rilassatavi, perché state per partire per un bel viaggio, ancora migliore se affrontato con la mente sgombra – e con il casco VR in testa. Con Polybius, Jeff Minter mette a frutto l’esperienza maturata nella nicchia dei trance-shooter; le meccaniche di base sono semplici ma solide, e offrono un bilanciamento tra rischio e premio che introduce una certa dose di strategia. I 50 schemi a disposizione garantiscono sufficiente varietà, grazie al mix di pochi elementi chiave gestiti sapientemente, nonostante l’assenza di boss fight e qualche picco di difficoltà frustrante. Suggerisco comunque di non giocare troppi livelli di fila, per evitare al cervello un sovraccarico acustico-visivo. E ogni tanto buttate un occhio fuori dalla finestra: dalle mie parti ho notato alcuni inquietanti figuri in abito scuro…