Abbiamo finalmente provato la nuova CPU Ryzen 9 5900X, un “mostro” da 12 core con cui AMD ha espugnato l’ultimo fortino che ancora le resisteva: il gaming a 1080p.
Negli ultimi anni il mantra è sempre stato lo stesso: AMD ottima per PC destinati a qualsiasi uso e anche al gioco, ma Intel per i PC comprati, o assemblati in casa propria, migliore per il gaming. Questo perché i processori Ryzen, pur avendo guadagnato molto terreno nei confronti della spopolante concorrenza, fino alla serie 3000 riuscivano a battere i Core di Intel in quasi tutte le applicazioni possibili, eccetto – paradossalmente – quelle che a noi giocatori interessano di più, i videogiochi. È vero che, salendo a 4K e dipendendo sempre di più dalla scheda grafica, il divario si annulla, ma la maggior parte di noi gioca ancora in Full HD e a questa risoluzione il processore centrale dice ancora la sua, contribuendo fattivamente alla generazione di un numero maggiore di fotogrammi. In altre parole: se alle risoluzioni più elevate, dai 1440p in su, a fare la differenza è solo la scheda video, fino ai 1080p un Core i7 o i9 si dimostrava la scelta superiore. Il divario non era così enorme, intendiamoci, ma comunque sufficiente a brillare di più nei benchmark e a costituire una soluzione più interessante per un videogiocatore.
DA OGGI CAMBIA TUTTO
Il motivo per cui le soluzioni di AMD non riuscivano a competere in questo peculiare campo di applicazione è una caratteristica intrinseca delle architetture Zen e Zen 2: la suddivisione di ciascun die (CCD) da 8 core in due complessi (CCX) formati da 4 core e 16 MB di cache di terzo livello.
Sebbene tutti i core potessero accedere liberamente ai 32 MB di cache complessivi, quando un core presente nel primo CCX aveva bisogno di un dato contenuto nella cache del secondo, doveva passare attraverso un’interconnessione che generava dai 70 ai 100 nanosecondi di latenza. Il sistema operativo, del resto, non è consapevole dell’organizzazione interna dei processori che usa: per lui ogni core è identico, al punto che perfino i core logici simulati dalle tecnologie SMT (come l’HyperThreading di Intel e l’analoga tecnologia di AMD) sono visti come core veri e propri, del tutto identici agli altri. Di suo, Windows non assegna i thread dei giochi in modo ottimizzato e, in ogni caso, sembra proprio che questi ultimi traggano un notevole beneficio dalla presenza di una cache più grande. Perciò, passare dal modello 2×16 a una singola grossa cache L3 da 32 MB ha risolto il problema: Zen 3, in pratica, abbandona il concetto di CCX e tutti gli otto core presenti in un die possono accedere alla stessa memoria cache. A tale proposito, AMD ci ha fornito un grafico che mostra chiaramente i tempi d’attesa espressi in nanosecondi, quando un core effettua una chiamata verso la cache di un altro core:
Come possiamo notare dalle barre qui sopra (in grigio i dati di un Ryzen 9 3900X, in arancione il nuovo 5900X), vengono annullati i tempi di attesa tra un CCX e un altro, con un notevole (almeno dal punto di vista di un computer) risparmio di tempo. Lo stesso grafico, tuttavia, ci ricorda che il Ryzen 9 5900X, avevendo dodici core, è formato da due die differenti e, per tanto, restano in gioco le latenze dovute alla connessione tra i due die, quando cioè un core deve chiedere accesso agli ulteriori 32 Mb di cache L3 presenti sull’altro die.
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