PlayStation Classic – Recensione

Sono un uomo con tanti dubbi, ma un paio di certezze le ho anche io. La prima è che l’ananas non va sulla pizza, ma proprio mai. Un’altra (che, per inciso, continuo a predicare da qualche lustro di troppo) riguarda la grafica dei videogiochi: i poligoni invecchiano male. Ci torniamo tra un po’, giusto il tempo di rimarcare quanto sia stato fondamentale il debutto di PlayStation nel 1994, una genesi capace di rivoluzionare dal giorno alla notte un mondo che credevamo di conoscere come le nostre tasche. Convinti di affacciarci sul futuro davanti al Freescape di Incentive o immersi nei crudi simulatori di volo in wireframe della Microprose, noi videogiocatori con qualche primavera di troppo abbiamo vissuto la seducente prospettiva dei mondi poligonali promessi da SONY come la nascita di una nuova realtà.

Volente o nolente si è trattato di un punto di svolta tanto netto rispetto a un passato quasi esclusivamente devoto all’arte bidimensionale che difficilmente assisteremo in futuro a una rivoluzione simile, una in grado di cambiare il volto del nostro hobby con un impatto tanto deflagrante. Avanti veloce ed eccoci nel dicembre del 2018: sono passati la bellezza di ventiquattro anni dal Big Bang griffato SONY ed ecco spuntare nuovamente l’originale PlayStation sugli scaffali dei negozi, solo miniaturizzata e con una ventina di giochi caricati in memoria. Perché si sa, la nostalgia è uno strumento potente e sarebbe da sciocchi non servire un’appetitosa madeleine nei piatti degli ex giovani che nel 1994 erano stati testimoni di un evento tanto clamoroso.

SCELTE E VOLONTÀ

C’è solo un problema: la madeleine la devi saper preparare secondo la ricetta di zio Proust, altrimenti rischia di rimanerti sullo stomaco senza portare con sé il profumo buono di una volta. PlayStation Classic è un piatto riuscito solo a metà: il modello in scala della macchina è molto bello, ma l’esperienza restituita una volta collegato a un moderno televisore non è delle migliori. La colpa però va spartita in modo equo. Da una parte il tempo che passa ha il suo peso: come già detto l’avvento di PlayStation ha significato una nuova alba nel mondo dei videogiochi, e tanti generi nati o riscritti in chiave poligonale sono stati elaborati, sviluppati e perfezionati enormemente durante gli anni. Ergo, giocare oggi un FPS come Rainbow Six con i pad originali orfani dei due analogici (dovrebbe esserci un video di unboxing da queste parti dove mostro cosa vi aspetta nella confezione) o il primo Grand Theft Auto con i controlli in stile Tank (gli americani li chiamano così, ma io ho sempre detto “à la Asteroids”; a ognuno il suo) sono azioni che richiedono una prova di fede notevole. Il medesimo vigore è necessario per approcciarsi a un “mattonazzo” lento e verboso come Revelations: Persona, primo capitolo di una saga che deve gran parte del suo successo al terzo episodio uscito nel 2006; si tratta di un gioco giudicato ostico già all’uscita, tanto che Atlus ne realizzò successivamente una versione riveduta e corretta per PSP.
PlayStation Classic Immagine 01

i giochi girano decentemente, ma scordatevi pure i classici filtri in stile CRT per addolcire l’immagine

Poi, ovviamente, la colpa è anche di PlayStation Classic, inutile girarci attorno: basta fare un giro tra i credit nella scarna schermata iniziale per constatare che per l’emulazione è stato pigramente usato il PCSX ReARMed, un emulatore open source implementato peraltro senza il minimo sforzo di ottimizzazione. Questo vuol dire che i giochi girano decentemente, ma scordatevi pure i classici filtri in stile CRT per addolcire l’immagine, così come cornici varie per abbellire le vistose bande nere che troverete ai lati dell’area di gioco. L’ho scritto all’inizio, i poligoni invecchiano male: un po’ è colpa del progresso che fa gradualmente apparire datato uno stile grafico nato per riprodurre e simulare la realtà, ma ci sono diversi modi per migliorare la resa di giochi concepiti per i vecchi televisori a tubo catodico sugli attuali pannelli ad alta definizione, come ben sa chi bazzica nel mondo dell’emulazione, è solo questione di volontà. Non è un caso che tra i titoli che spiccano maggiormente tra quelli inclusi nella versione occidentale della macchina (la lineup giapponese è parzialmente diversa, e baratterei parecchia roba per Gradius Gaiden…) svetta il primo Rayman con la sua arte bidimensionale, sicuramente slavata nella resa a 720p senza filtri di sorta, ma comunque ancora perfettamente riconoscibile, assieme a quei giochi legati a meccaniche ancora oggi intriganti e fresche come Intelligent Cube o il gioco di piattaforme poligonale Jumping Flash, seguito spirituale di Geograph Seal, uscito l’anno prima sull’X68000 di Sharp a opera di una Exact particolarmente visionaria. Soffermandoci ancora un attimo sul fronte emulazione, è possibile salvare la partita in qualsiasi momento premendo il tasto reset sulla macchina per tornare alla dashboard, ma ogni titolo può sfruttare un solo slot per il save state, una cosa che lascia un filo interdetti. Per quanto riguarda i salvataggi canonici, invece, ogni gioco ha a disposizione una Memory Card virtuale da riempire a piacimento.

IL PASSATO CHE PRESENTA IL SUO CONTO

Probabilmente, però, la cosa che farà storcere il naso agli ex giovani di cui sopra è la lista dei giochi inclusi, che allego qui di seguito per completezza:

  • Battle Arena Toshinden
  • Cool Boarders 2
  • Destruction Derby
  • Final Fantasy VII
  • Grand Theft Auto
  • Intelligent Qube
  • Jumping Flash
  • Metal Gear Solid
  • Mr Driller
  • Oddworld: Abe’s Oddysee
  • Rayman
  • Resident Evil Director’s Cut
  • Revelations: Persona
  • Ridge Racer Type 4
  • Super Puzzle Fighter 2 Turbo
  • Syphon Filter
  • Tekken 3
  • Tom Clancy’s Rainbow Six
  • Twisted Metal
  • Wild Arms

Niente Gran Turismo, niente Wipeout, nessuna traccia di Suikoden 2 né di Symphony of The Night, Crash Bandicoot assente ingiustificato assieme a Spyro, Bushido Blade e alle altre decine di classici che vi stanno venendo in mente mentre leggete queste righe, molti dei quali indubbiamente più che degni di prendere il posto di Rainbow Six o del primo Destruction Derby. SONY ha trasformato il videogioco da fissa per nerd sfigati e brufolosi in un passatempo ganzo e giovane grazie non solo all’indiscussa qualità di un sistema rivoluzionario, ma anche a un reparto marketing fenomenale e a tante licenze, che siano case automobilistiche o semplici colonne sonore, probabilmente scadute e impossibili da riscattare. Presumo che sia lo stesso motivo per cui non trovate Cadillac and Dinosaurs, The Punisher o Alien VS Predator nel recente Capcom Beat ‘Em Up Bundle, e sicuramente ci saranno mille motivi che giustificano la defezione di importanti successi realizzati da terze parti.
PlayStation Classic Immagine 02

SONY ha trasformato il videogioco da fissa per nerd sfigati e brufolosi in un passatempo ganzo e giovane

Il mio lavoro però non consiste nel cercare le motivazioni dietro questa o quella plateale assenza, bensì segnalarvi l’ovvio: la lineup di PlayStation Classic, così com’è, si presenta decisamente lacunosa, sicuramente varia ma inadatta a rappresentare una delle ludoteche più importanti di sempre. Non aiuta il fatto che molti giochi sono inspiegabilmente disponibili nella sola versione PAL: quando vedi Tekken 3 aprirsi con il classico “Licensed by Sony Computer Entertainment Europe” ci vuole poco per cadere all’inferno dopo aver scrutato le porte del paradiso! Quando arriva il momento di mettere mano al portafogli, tutto questo cozza violentemente con il prezzo decisamente alto, platealmente superiore alle retro console miniaturizzate della concorrenza. Allo stato attuale, PlayStation Classic si propone come una macchina del tempo elegante ma dagli interni drasticamente sobri, ideale per quella cerchia di giocatori cresciuta con la console originale e poco avvezza all’aspetto hardcore del retrogaming. Chi dunque non conserva gelosamente la vecchia PSX e proprio non ha voglia di visitare mercatini o passare al setaccio Ebay alla ricerca di questo o quel frammento di gioventù, troverà una soluzione semplice e plug and play con cui placare gli attacchi di nostalgia: basta collegare la mini console al televisore e il cavo di alimentazione USB a un qualsiasi alimentatore 5V e il gioco è fatto, senza configurazioni rognose tra i piedi. Assicuratevi però che i giochi legati ai ricordi più cari siano inclusi nella peculiare dotazione della macchina: a volte vale la pena sforzarsi un po’ di più per ottenere un risultato nettamente migliore.

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