Robinson: The Journey - Recensione

PS4

Onestamente, non riesco a capire se l’offerta di Robinson: The Journey rappresenti il proverbiale bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Sulla carta gli ingredienti formano un cocktail di quelli esplosivi: ponete alla direzione Crytek, da sempre croce e delizia dei possessori di schede grafiche più o meno muscolose, aggiungete un’ambientazione esaltante, dove la fantascienza incontra giganteschi dinosauri, e – dulcis in fundo – inquadrate il tutto come una delle esclusive più attese della prima infornata di titoli per la nuova realtà virtuale di Sony. Gli elementi parrebbero essere tutti al loro posto.

ALLA DERIVA TRA LE STELLE

Il giovane Robin è il solo sopravvissuto dello schianto dell’astronave Esmeralda sul Pianeta Tyson III, un corpo celeste coperto da una vegetazione lussureggiante splendida quasi quanto quella di Endor. Quasi, perché nessun posto è bello come Endor.

Robinson The Journey immagine PS4 04

L’immersione offerta dalla realtà virtuale è strepitosa

Assieme a lui troviamo l’intelligenza artificiale HIGS (una sfera di metallo fluttuante a metà tra il Grillo Parlante di Collodi e un saccente tutorial glorificato) e il cucciolo di tirannosauro Laika, perché se precipiti su un pianeta ostile infestato da sauri famelici, adottare la versione mignon del predatore alfa è effettivamente una scelta oculata! Solo che Robin non è Turok, e non si aprirà la strada fino a un ipotetico cattivo finale nuclearizzando lucertoloni a colpi di chronoscepter. Al contrario, l’epopea del protagonista su Tyson III ruota attorno all’esplorazione e alla risoluzione di enigmi, due fattori che presentano problematiche più o meno importanti, una volta calcato in testa il PlayStation VR.

La prima riguarda il motion sickness: Robin può essere mosso liberamente, senza i “teletrasporti” visti nel recente Batman: Arkham VR, ma anche la banale rotazione sul posto rischia di trasformare un audace esploratore in un relitto umano. Non a caso il gioco offre due diversi approcci: è possibile ruotare la visuale con scatti più o meno secchi o fluidamente. Vi conviene provarli tutti subito, prima ancora di lasciare la capsula di salvataggio che il ragazzo ha adibito a casa (con un certo romanzo di Daniel Defoe nascosto in un angolo), perché la nausea rischia di rendere fastidiosa addirittura l’esplorazione di un pianeta alieno pieno di dinosauri. Scherzi a parte, personalmente non sono mai riuscito a fare sessioni più lunghe di un’ora prima di chiedere il time out, un problema certamente soggettivo che però – paradossalmente – ha giovato alla longevità dell’avventura, che altrimenti avrei terminato senza problemi in un sol boccone. Robinson: The Journey è infatti breve, con le peripezie del giovane naufrago stellare facilmente archiviabili in non più di sei ore, a patto di essere intenzionati a passare al setaccio ogni centimetro del pianeta, magari alla ricerca di forme di vita da scansionare per popolare l’enciclopedia del caso.

INADEGUATEZZE

Gli enigmi non sono nulla di memorabile, e generalmente possono essere superati manipolando oggetti o impartendo semplici ordini a Laika, e l’innegabile senso di stupore e avventura soddisfa la prima volta, ma si presta difficilmente a un secondo giro.

Robinson The Journey immagine PS4 01

Robin può essere mosso liberamente, senza il “teletrasporto”

L’immersione offerta dalla realtà virtuale è strepitosa, ma viene parzialmente tenuta in ostaggio dal sistema di controllo. Robinson: The Journey non supporta infatti il Move, sebbene il giovane virgulto tenga sempre stretto in pugno un attrezzo multifunzione innegabilmente simile a una versione futuristica della periferica Sony più bistrattata dai tempi di PocketStation. Inoltre vedere sempre in primo piano la mano di Robin che regge un “cono gelato spaziale”, mentre si comanda il tutto attraverso il Sixaxis, non è il massimo, e si è perseguitati per tutto il gioco dalla sensazione che far levitare oggetti, ruotarli e lanciarli sarebbe stato infinitamente più divertente e naturale usando un sistema di comando differente. Questo si avverte anche quando arriva il momento di scalare pareti e relitti, con i pulsanti dorsali adibiti a stringere la presa su vari tipi di appiglio, un’attività che avrebbe nettamente beneficiato dell’utilizzo di un Move per mano.

Per il resto l’esperienza è piacevole: la grafica non delude, con forme di vita preistoriche in grado di regalare momenti realmente emozionanti e paesaggi evocativi, sebbene precipizi e altri ostacoli siano astutamente disposti per non concedere a Robin un’eccessiva libertà. Del resto la potenza di PlayStation 4 è quella che è, e quindi probabilmente perdonerete l’innegabile divario che passa tra la definizione degli elementi in primo piano e quelli in lontananza; tuttavia, il colpo d’occhio regalato dalla fauna e dai paesaggi di Tyson III dovrebbero far chiudere un occhio almeno su questo aspetto, mentre i fortunati possessori di PlayStation Pro potranno beneficiare di un aggiornamento che dovrebbe offrire significative migliorie grafiche.

Riallacciandoci al pensiero espresso all’inizio, Robinson: The Journey presenta una buona dose di luci e ombre. Si tratta di un’esperienza che andrebbe sicuramente provata, nonché un deciso passo avanti sul pionieristico sentiero della realtà virtuale, ma la brevità e una certa banalità di fondo minano il risultato finale e mi impediscono di consigliarlo, specialmente all’attuale prezzo. Va considerato anche il fattore nausea, sebbene i generosi checkpoint permettano di continuare con una certa serenità quando l’emicrania impone di mettere da parte il visore. Aspettate un calo di prezzo, sperando che, nel frattempo, i ragazzi di Cryteck decidano addirittura di regalarvi un sistema di controllo alternativo via Move.

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Pro

  • Tyson III è da visitare almeno una volta nella vita.
  • Dinosauri!

Contro

  • Rischio di motion sickness piuttosto alto.
  • Troppo breve.
  • Enigmi generalmente banali.
6.9

Sufficiente

Il retrogamer della redazione, capace di balzare da un Game & Watch a un Neo Geo in un batter di ciglio, come se fosse una cosa del tutto normale. Questo non significa che non ami trastullarsi anche con giochi più moderni, ma è innegabile come le sue mani pacioccose vibrino più gaudenti toccando una croce digitale che una levetta analogica.

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