Shroud of the Avatar: Forsaken Virtues - Recensione

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Arriva un momento, nella vita di un uomo, in cui è necessario ammettere la sconfitta. A testa alta, senza vergogna. Quel momento è arrivato, almeno per me. E onde fugare ogni dubbio, sappiate che non sto parlando di Richard Garriott, o – per meglio dire – di Lord British, genio visionario che portò, nel lontano 1980, la saga di Ultima sui nostri schermi. Lui, nel suo ultimo progetto, ci ha sempre creduto, e nonostante i pareri discordanti sin dalle prime versioni giocabili della sua ultima fatica, Shroud of the Avatar è ufficialmente tra noi. Quello che ha fallito, qui, sono io: ho perseverato, ora dopo ora, continuando la mia avventura tra le lande di New Britannia, alla costante ricerca di qualcosa che, ahimé, non esiste. L’importanza che ha avuto Ultima Online nella mia vita (ne ho parlato talmente tante volte che non è un segreto) e le esperienze provate, quando ancora masticavo pochissimo l’inglese, su Ultima VI, VII e VIII, mi hanno spinto a credere tantissimo in questo nuovo progetto di Garriott, tanto da non voler accettare, in prima istanza, la cruda realtà: Shroud of the Avatar è un gioco completamente sbagliato sotto ogni punto di vista.

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L’opera di Portalarium, software house texana fondata nel 2009 da Richard Garriott dopo l’insuccesso di Tabula Rasa, dovrebbe essere in tutto e per tutto il seguito spirituale della serie Ultima, con differenze più o meno importanti rispetto al passato (anche per via dei diritti della saga ancora nelle mani di Electronic Arts). Il mondo di Shroud of the Avatar diventa così New Britannia, la cui storia è andata persa nel tempo e il cui aspetto è radicalmente cambiato a causa dell’enorme cataclisma che, centinaia di anni prima degli eventi narrati, ha rischiato di cancellare il pianeta: le due lune, Trammel e Felucca (al solo sentire questi nomi partono le lacrime), si sono scontrate causando una perenne pioggia di meteoriti che ha modificato la geografia del mondo. Forsaken Virtues, in teoria il primo di una serie di cinque capitoli che usciranno nel corso degli anni, si svolge sull’isola di Novia, un “quadratone” di terreno decisamente poco ispirato e che si farà odiare ben presto dai giocatori.

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Bastano pochi minuti in game per trovarsi spiazzati e confusi

Bastano pochi minuti in game per trovarsi spiazzati e confusi. Da un lato si percepiscono il tocco di Lord British e l’anima di Ultima, grazie soprattutto a dettagli come la possibilità di “chiacchierare” con gli NPC utilizzando determinate parole chiave (Name, Job, Bye) o la presenza di centinaia di oggetti da sfruttare per costruire armi, armature e decori per la propria abitazione; dall’altro, la grafica anacronistica (che ricorda fin troppo da vicino Dark Age of Camelot), i tempi di caricamento biblici e un netcode al limite dell’imbarazzante ci fanno solamente desiderare una fine veloce e indolore per il nostro avatar imbalsamato. Avatar che, ci tengo a sottolineare, è unico in senso letterale: esiste un solo slot personaggio, e qualora decidessimo di provare strade nuove, potrebbe venirci in aiuto esclusivamente il pulsantone “cancella PG”. Per fortuna in Shroud of the Avatar non esistono classi, ma una serie di abilità che caratterizzano il nostro alter-ego e che, con i dovuti sacrifici di tempo e risorse, possono anche cambiare durante le nostre avventure.

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Ciò che rimpiango maggiormente di Ultima Online è la libertà di poter girare per Britannia e crearsi le proprie avventure, laddove non era affatto assurdo vestire i panni di un semplice lavoratore con cui dedicarsi alla raccolta di materie prime e alle tante abilità di costruzione. Risulta palese, almeno per il sottoscritto, il tentativo di Portalarium di ricreare le stesse caratteristiche, fallendo però miseramente. Shroud of the Avatar, difatti, è composto da grandi aree in cui perlopiù si possono macinare mostri e raccogliere le poche risorse disponibili, e da una vasta mappa in cui, tra uno spostamento da una zona di interesse all’altra, il nostro eroe cerca di rimanere incastrato in ogni cespuglio o fiumiciattolo. Questa divisione in istanze spezza mortalmente il ritmo, e riesce nel non facile compito di distruggere in un colpo solo sia il senso di libertà che si ha nell’esplorare il comunque ben caratterizzato mondo di gioco, sia la sensazione di trovarsi all’interno di un MMORPG.

Ci tengo a soffermarmi ulteriormente su quest’ultimo punto: Shroud of the Avatar, a mio avviso, non è assolutamente un MMORPG. Il titolo di Richard Garriott, nella folle speranza di accontentare tutti, ha la pretesa di essere sia un’opera single player che un MMO, lasciandoci solo con uno spiacevolissimo amaro in bocca. Volendo è possibile affrontare l’avventura offline, utilizzando un personaggio dedicato, riuscendo così a “godersi” appieno le tante missioni affibbiate dai vari NPC (che consistono perlopiù nel recupero di un oggetto speciale, e sporadicamente in qualcosa di più elaborato): in questo modo, però, si va brutalmente a cozzare con un universo di gioco ben poco credibile, a causa soprattutto delle aree istanziate di cui sopra, che rendono di fatto inutili le tante abilità lavorative, e che funzionano al meglio solo grazie alla compravendita tra giocatori. Giocando online, invece, sbatteremo il muso nell’anarchia più totale, con mercati e venditori sparsi in ogni angolo della mappa tramite cui è possibile, per pochi spicci, mettere le mani su equipaggiamenti niente male, in grado di abbattere del tutto la difficoltà iniziale.

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Non riesco a trovare motivi per i quali consigliare Shroud of the Avatar a qualcuno

Per attraversare un’area troppo pericolosa per il sottoscritto è stato sufficiente correre sempre dritto verso l’uscita, lasciando che alle mie spalle si formasse un lungo trenino di mostri e nemici che poco potevano fare a parte inseguirmi, e raggiungere così incolume nuove zone in cui raccogliere le solite quest (per non parlare delle corse in cerchio per abbattere decine di briganti che mi inseguivano e che venivano lentamente abbattuti dalle mie frecce, senza che mai riuscissero a toccarmi). Questo per dire che se ho perseverato per fin troppe ore in un titolo che mi ha trasmesso unicamente un profondo senso di imbarazzo, è solo per il forte legame che mi unisce alla saga di Ultima e a Lord British. Non riesco a trovare motivi per i quali consigliare Shroud of the Avatar a qualcuno, e anzi, trovo semplicemente folle la sola esistenza delle microtransazioni in un titolo del genere: è vero, non è necessario nessun abbonamento mensile per giocare, e a detta degli sviluppatori non mancheranno novità nel corso dei prossimi mesi; se posso giustificare i trenta dollari necessari per un completo da indossare (non sono mai stato contro le modifiche estetiche), non posso invece accettare la spesa di cento dollari per acquistare un lotto di terreno edificabile su cui erigere la propria abitazione.

Infine, anche se è ufficialmente presente la lingua italiana, il titolo risulta assolutamente ingiocabile a causa del nuovo idioma inventato da Portalarium, metà inglese e metà “italiese” che rende incomprensibile anche il più semplice dei dialoghi. Sono comunque felice di aver giocato a Shroud of the Avatar: ora ho un’ottima scusa per reinstallare nuovamente Ultima Online e tornare a godermi quel capolavoro che – ormai è evidente – mai avrà un degno successore.

Shroud of the Avatar è un titolo semplicemente sbagliato. Tutto appare fuori tempo massimo, dal noioso combat system al sistema di crescita del personaggio, che funzionava benissimo su Ultima Online ma che qui risulta solo ripetitivo. Forse una quindicina di anni fa, mentre stava nascendo World of WarCraft, un titolo come questo avrebbe potuto cambiare la storia degli MMO, portando sui nostri schermi più titoli simili alla storica opera di Origin. Oggi, però, il lavoro di Portalarium risulta solamente un videogioco nato con tre lustri di ritardo, grafica e gameplay compresi. Scrivere queste parole su un titolo di Lord British mi spezza il cuore, ma a conti fatti il mio povero cuoricino si è già rotto tempo addietro, quando l’idea di un seguito spirituale di Ultima si è rivelata fallimentare e Shroud of the Avatar mostrava il fianco alle decine di difetti ancora presenti.

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Pro

  • Si respira quella strana aria di “giochi vecchi”...
  • I dialoghi sono generalmente ben curati.
  • Qualche traccia audio molto gradevole.

Contro

  • ... che però diventa subito stantia.
  • Comparto grafico anacronistico.
  • Quest fin troppo anonime, a parte qualche eccezione.
  • Tante idee, tutte mal sviluppate.
5

Insufficiente

Si ostina pervicacemente a usare un portatile che non vorrebbero più nemmeno al Museo della Scienza e della Tecnica, oltre a vestirsi come Padre Maronno. Abita con un pappagallo che ha chiamato Chocobo, ma non crediamo abbia mai provato a cavalcarlo per davvero (o almeno c’è da sperarlo).

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