Del Discovery Tour di Assassin’s Creed Origins se ne è parlato molto, soprattutto in virtù delle statue greche censurate con la copertura delle parti intime. Una scelta difficilmente comprensibile dal punto di vista del buon senso comune, vero, ma anche inevitabile, a causa della necessità di risottoporre a ESRB e PEGI il singolo contenuto, disponibile in versione stand alone su PC. In soldoni, Assassin’s Creed Origins è un gioco che, secondo entrambe le scale di valutazione, è giustamente consigliato a un pubblico maturo, mentre la sua modalità di edutainment è chiaramente pensata per un pubblico più vasto (Teen e 12+). In questo senso, l’unica scelta possibile per Ubisoft è stata quella di eliminare qualsiasi componente di nudo, che altrimenti avrebbero potuto causare dei problemi. Scelta conservativa? Probabile. Figlia di un bigottismo che ha anche stufato? Certo, ma dovremmo aprire un discorso enorme e che varrebbe anche la pena affrontare, ma che forse toglie un po’ di giustizia all’operazione di Ubisoft, la quale resta invece apprezzabile al di là dei seni tristemente coperti delle opere d’arte. Quello che non c’è fa male; quello che c’è, per fortuna, è tuttavia profondamente più importante.
THE REAL GAMEPLAY
Per chi ancora non sapesse come funziona il Discovery Tour, o non ha ancora frugato nei menu di Assassin’s Creed Origins, parliamo di una modalità parallela (o di un software stand alone) che ripropone l’intero, splendido, mondo di gioco, svuotato dalle missioni e dalle componenti di gameplay tradizionale, ma popolato di settantacinque percorsi tematici alla scoperta dell’Antico Egitto. Nei panni di Bayek, Aya, Cleopatra e una ventina di altri avatar, possiamo liberamente esplorare l’ambientazione storica per quello che è, in una sorta di diorama animato affascinante e ricco. La presenza dei tour a tappe ricorda l’esperienza audioguidata dei musei, laddove una voce fuoricampo in stile documentario racconta informazioni aggiuntive riguardo luoghi, usi e costumi dell’epoca. È possibile approfondire guardando diapositive dei materiali di ricerca utilizzati dal team di sviluppo (con collocazioni bibliografiche delle fonti relative alle opere d’arte, purtroppo non dei testi) e godersi soprattutto l’ambientazione storica in tutti i suoi dettagli.
Prima di affrontare l’aspetto didattico, mi preme sottolineare che i primi a cui il Discovery Tour dovrebbe interessare sono proprio i videogiocatori, perché per certi versi è l’anima ludica quella che guida il senso di scoperta. Avventurandomi tra le piramidi o le strade di Alessandria, tra i binari su cui trasportavano i blocchi di pietra o negli stabilimenti in cui veniva prodotta la birra, mi sono venute in mente le parole pronunciate a Lucca da Raphael Lacoste, art director del franchise, quando diceva che lavorare sull’Antico Egitto ha permesso al team creativo di rispettare la storia e, contemporaneamente, immaginare soluzioni uniche. Nel Discovery Tour il lato documentaristico ovviamente prevale, eppure attraverso insight esclusivi che spiegano le scelte del team è possibile scoprire dove finisce la fedeltà storica e dove si dà più spazio all’opera di ingegno. Anzi, per certi versi, su stessa ammissione di Maxime Durand, responsabile del lato storico dell’intero franchise, la nuova modalità può essere interpretata come il racconto di come i vuoti storici sono stati riempiti dal team di creativo, e come sia stata trasformata la Storia in un playground efficace. Anche in questo caso si sono alzate le polemiche riguardo alcune scelte di scrittura riguardo l’integrazione sociale operata nella scrittura del gioco, operazione magari che si può discutere, ma che va rispettata a mio avviso soprattutto nel momento in cui viene sottolineata la licenza creativa nella documentazione.
Il Discovery Tour è una modalità parallela che ripropone l’intero, splendido, mondo di gioco, svuotato dalle missioni ma popolato di settantacinque percorsi tematici alla scoperta dell’Antico Egitto
In generale però, la continuità e la credibilità del lavoro originale di Ubisoft è impressionante: il Discovery Tour diventa ben presto il miglior companion book riguardo un’ambientazione che un giocatore che ama i mondi virtuali possa mai desiderare. Tra l’altro, la totalità delle scene presenti nella modalità è integrata normalmente anche nella campagna principale, ed è bellissima la sensazione di ritornare sui passi di Bayek e scoprire che quasi tutto il world building ha una logica ben precisa, che si sposa sia con le necessità creative, sia con la voglia di ricreare il feeling di un’epoca storica precisa. Se fra gli aspetti meglio riusciti di Asasssin’s Creed Origins c’è proprio il senso di avventura che l’esperienza trasmette pad alla mano, il Discovery Tour ribalta quella prospettiva, che da istintiva e mesmerizzante diventa razionale e culturale. Al di là dei suoi meriti didattici, dunque, è proprio il giocatore più appassionato che beneficia maggiormente dell’operazione di Ubisoft, che regala nuovi livelli di lettura all’avventura e rende giustizia al lavoro del suo team di sviluppo. Per questo motivo, forse, il lato di gamification (con i suoi tre Trofei e la meccanica del passaporto con cui si completano i tour), una volta inserito in maniera esplicita, avrebbe potuto essere maggiormente curato. Offrire qualsivoglia obiettivo, dopotutto non rientrava nelle priorità di Ubisoft, e la cornice ludica serve per lo più a offrire una navigabilità chiara e familiare a chi si approccia al Discovery Tour, giocatore o meno che sia. Ribadisco, però, che a quel punto avrei omesso i Trofei, o avrei pensato a qualcosa di più efficace, perché l’idea resta stuzzicante.
I primi a cui il Discovery Tour dovrebbe interessare sono proprio i videogiocatori
TRA ARCHITETTURA E DIDATTICA
A dicembre, nel numero 351 della vostra rivista preferita, abbiamo dedicato un lungo dossier al rapporto tra archeologia e videogiochi. Alessandro Pintucci, presidente della Confederazione Italiana Archeologi, ci ha raccontato proprio di come Ubisoft – al netto delle ovvie licenze poetiche necessarie a trasformare uno scenario in un’ambientazione ludicamente attraente – nella creazione dei suoi mondi sia decisamente molto più scrupolosa e attenta ai particolari di quanto a volte non lo siano le istituzioni. Da questo punto di vista, l’operazione del Discovery Tour è in netta continuità con quanto fatto finora, e sarebbe meraviglioso poter godere di una modalità turistica analoga anche per le precedenti ambientazioni della saga. È d’accordo anche lo stesso Pintucci, con cui ho prontamente chiacchierato in merito al lavoro svolto sulla nuova modalità, che secondo lui «apre praterie sconfinate anche al lavoro di storici e archeologi, oltre che a un godimento superiore della serie. L’idea è geniale, secondo me, è la musealizzazione di un lavoro colossale. Un nuovo step dell’Archaeogaming!». Tuttavia, è interessante anche scoprire dove è migliorabile e quali sono i rischi, parlando dal punto di vista meramente archeologico.
Anche secondo Pintucci l’aspetto meno problematico è la censura delle statue per motivi di rating, ma fa una riflessione interessante sul senso ultimo dell’operazione: «Quello che mi chiedo è quanto diventi chiaro, per un giocatore medio o poco informato, il fatto che si tratti di una ricostruzione verosimile (e quanto verosimile poi bisognerebbe vedere) e non della realtà vera dell’Antico Egitto, quanto sia chiaro ciò che è pura ricostruzione e ciò che invece è realtà archeologica. Se una “licenza poetica” va benissimo in funzione di un gioco in cui ti arrampichi a mani nude per 200 metri su una roccia verticale, diverso è se quello spazio diventa esplorabile in maniera turistica: sembra più uno scenario di un theme park (che infatti a tema Assassin’s Creed sta nascendo) piuttosto che uno storicamente verosimile o reale. Non è solo una una riflessione da archeologo, ma una considerazione che ha spesso portato alla cosiddetta Sindrome di Parigi (per un approfondimento leggero e simpatico cliccate qui), ovvero quel fatto emotivo che prende i giapponesi che visitano Parigi rimanendone delusi perché avevano di partenza aspettative troppo alte sulla città francese. Capita che turisti in visita a monumenti archeologici (che hanno magari visto ricostruiti in 3D a casa loro) possano non essere colpiti da ciò che vedono e non capiscano che l’originale ha necessità di integrazioni enormi per essere apprezzato e compreso, finendo così per preferire il virtuale all’originale, che nella loro testa è “solo quattro pietre”. Non dico, ovviamente, che non vada fatto, altrimenti finirei per remare contro il mio stesso lavoro, ma che forse andrebbe spiegato bene il meccanismo con cui si arriva alla ricostruzione finale e valorizzato l’oggetto originale reale da cui si parte».
i ragazzi messi davanti a giochi prettamente didattici non si applicano
Cosa che accade se approcciamo il Discovery Tour da un punto di vista accademico? Ho chiesto a un altro archeologo, Emilio Verze, professore di un liceo di Storia dell’Arte, quanto uno strumento del genere possa tornare utile dal punto di vista didattico. Di base, secondo lui, c’è un fattore importante da tenere in considerazione, ovvero che «i ragazzi messi davanti a giochi prettamente didattici non si applicano, perché sanno che sono fatti per insegnare qualcosa, e dunque spesso e volentieri coloro i quali traggono maggiormente beneficio dai giochi didattici sono gli stessi che avrebbero ottenuto buoni risultati anche da una forma di apprendimento tradizionale. Io non credo nel gioco didattico fine all’insegnamento: la parte ludica deve essere piacevole di per sé, e solo dopo può contenere dei contenuti didattici (che devono essere coerenti e corretti, ma non necessariamente perfetti sotto ogni dettaglio). Diverso è il gioco che ha al suo interno contenuti didattici “nascosti”: i ragazzi imparano qualcosa senza rendersene conto e Assassin’s Creed, sia con l’Egitto che negli episodi precedenti, ha dimostrato di funzionare; per esempio, una mia alunna ha sfruttato un capitolo della saga per redarre la sua tesina di maturità. Il rapporto tra Storia e videogiochi è interessante: ora sono curioso di scoprire cosa succederà con i miei alunni che stanno giocando a Kingdom Come: Deliverance, riguardo la percezione del Medioevo».
Uno strumento come il Discovery Tour è un’arma importante a disposizione della didattica