Il recente annuncio di un remake del primo Dead Space avrà sicuramente fatto gioire molti fan delle avventure di Isaac Clarke, che in un futuro non meglio specificato e a patto di possedere un PC o una console di nuova generazione potranno tornare a calcare i tetri corridoi della USG Ishimura. A me, però, offre l’occasione per prendere le difese del capitolo più bistrattato della serie originale: Dead Space 3.
Partiamo dalle basi della mia esperienza con i necromorfi. Giocai a Dead Space a poca distanza dalla sua uscita nei negozi digitali, dietro consiglio di un amico che riuscì non ricordo come a convincermi a installare un gioco horror; forse c’entrava qualche tipo di ricatto. C’è da dire che inizialmente l’ottima atmosfera e il valore di produzione del titolo mi presero non poco, e anche i primi incontri con i necromorfi furono da me affrontati con la baldanza di chi vuole dimostrare ai suoi compagni di voice chat che lui non ha certo paura di quattro ammassi di pixel, per quanto schifidi e artigliuti. La costante angoscia provocata da quegli antri di metallo male illuminati però fece sentire il suo opprimente peso, e una volta arrivato al reparto medico decisi che non avevo nessuna voglia di avere a che fare con neonati necromorfi dal malsano interesse per la mia testa, e chiusi il gioco per non riaprirlo più.
CHI NON SPARA IN COMPAGNIA…
Per chiarirci, non considero questo un difetto di Dead Space; semplicemente, non era il tipo di gioco che faceva per me, grazie tante. Dal 2008 al 2013, però, qualcosa cambia: con Dead Space 3, infatti, Isaac Clarke non era più solo nella sua lotta impari contro i necromorfi, e vedeva anche il sergente John Carver (e un potenziale secondo giocatore) unirsi a lui nell’esplorazione di relitti spaziali dove solo gente poco saggia deciderebbe di avventurarsi. Proprio l’introduzione del gioco cooperativo fu un fattore fondamentale nel convincermi a tuffarmi nuovamente nella serie, e vi dico subito che l’esperienza complessiva mi lasciò molto soddisfatto.
DEAD SPACE 3 ABBANDONÒ IN LARGA PARTE LE ATMOSFERE HORROR DEI SUOI PREDECESSORI
VEDO LA GENTE MORTA!
Al di là di tutto questo, però, a me Dead Space 3 è piaciuto. Esperienze cooperative di alto profilo ai tempi erano merce rara; al di là del faro nella notte rappresentato da Portal 2, sembrava che questo tipo di funzionalità fosse relegata a giochi indie o, come nella serie Borderlands, all’avere semplicemente una persona in più che spara o fa da bersaglio al posto tuo. Però Visceral Games fece più di questo: certo, John Carver era sempre una bipede umanoide in più che i necromorfi potevano scegliere come loro prossimo spuntino, ma il gioco cambiava anche in tanti piccoli modi per adattarsi alla presenza di un secondo giocatore. Si andava da cose di puro contorno, come ad esempio le brevi scene dove vediamo Carver percorrere strade parallele alle nostre e darci indicazioni mutare in dialoghi in tempo reale fra i due, alla necessità di proteggere il nostro compagno mentre si dedica a risolvere un puzzle (mai più dirò che gestire il traffico tramviario deve essere un mestiere semplice). E poi c’era il colpo di genio.
Continua nella prossima pagina…
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