Spari in lontananza. Da un ex-edificio della TerraGroup poco distante si fa largo un grido incomprensibile, dev’essere russo. Come sempre, l’agonia dello sconfitto dura un istante. Ogni volta è una questione di attimi, ma qui a Tarkov non potrebbe essere altrimenti: è il centro storico dell’Inferno, dolore e morte non si fanno mai attendere troppo da queste parti.
In fondo, in Escape from Tarkov ciascuna partita è un unico istante di tensione più o meno lungo. Discorso interessante da approfondire, ma un rumore di passi mi riporta bruscamente alla realtà. I miei sensi si acuiscono, la minaccia sembra provenire da destra. Mi volto, scorgo una sagoma tra le fronde e punto l’AK-47. È di nuovo una questione di attimi, è di nuovo mors tua vita mea.
IL FASCINO DEL LATO OSCURO
Un colpo, un cadavere (il mio, purtroppo). Quasi come Battlestate Games: un gioco, un successo (a onor del vero ci sarebbe Contract Wars, ma vabbè). Tornato alla ribalta proprio di recente grazie a un importante aggiornamento che, sul finire del 2021, ha aggiunto non solo una nuova location, Lighthouse, e dei nuovi nemici PVE, i Rogue, ma anche alcuni hotfix, Escape from Tarkov è un conturbante FPS hardcore tuttora nella fase di closed beta in cui è entrato ufficialmente ad agosto 2017. Ho dunque esagerato nel definirlo un successo? Dipende dai punti di vista.
La rotta è indubbiamente giusta, il Lato Oscuro degli FPS ha trovato un degno rappresentante
TRA I DUE LITIGANTI, IL TERZO SPARA
I motivi per cui vale la pena non perdere di vista Escape from Tarkov sono molteplici. Innanzitutto la storia, ché rischiando l’osso del collo rovistando fra le macerie della città si possono recuperare anche dei frammenti di trama. Gli eventi che fanno da sfondo al gioco si svolgono a Norvinsk, una fittizia regione a metà tra Russia ed Europa che, nel corso del tempo, ha attratto diverse società sfruttando il richiamo economico. Qui la TerraGroup, una celebre corporazione con sede a Tarkov, una delle due città più grandi della Zona Economica Speciale di Norvinsk, ha finito per essere coinvolta in una serie di scandali politici. Nell’arco di sei mesi ciò ha dato il via a un’escalation di tensione che è sfociata in un conflitto armato fra le forze di pace delle Nazioni Unite, le truppe sotto il comando del Ministero degli Affari Interni e due compagnie militari private. Come conseguenza dello scontro, i confini di Norvinsk sono stati chiusi e i suoi abitanti isolati dal mondo intero.
Le PMC (Private Military Company) più attive nell’area off limits sono due compagnie militari private assunte dalle parti coinvolte nel conflitto iniziale. L’USEC, i cui membri vengono reclutati dalla famigerata società internazionale della TerraGroup e intenzionata a insabbiare le indagini delle autorità locali sulle attività segrete svolte dalla corporazione stessa. Sulla sponda opposta del disastro socio-politico invece si trova la fazione BEAR, controllata dallo stesso governo russo che l’ha creata e impiegata dai funzionari della regione di Norvinsk al fine di scoprire qualsiasi prova delle attività illegali della società. Com’è facile immaginare, più passa il tempo, più la situazione nella regione si fa complicata. La guerra che ha dilaniato Tarkov ha sconvolto le vite dei residenti, alcuni di loro hanno abbandonato la città mentre altri sono rimasti, azzannandosi alla gola tra loro per non soccombere nella lotta per la sopravvivenza. Questi ultimi sono noti come Scav, (tratto dal termine scavengers, cioè rovistatori), ed è a questo punto che entriamo in scena noi.
STEALTH, KILL, LOOT E VIA. EASY, NO?
Prima di sperimentare in prima persona cosa significa fuggire da Tarkov nei panni di uno dei mercenari sopravvissuti alla situazione appena descritta, al momento della creazione del proprio alter ego si deve scegliere da che parte stare tra USEC e BEAR. Fatto ciò ci si può avventurare in varie decadenti località e tentare di uscirne vivi, magari dopo aver recuperato del loot. Detta così sembra facile, nevvero? Probabilmente chi non conosce il gioco ma se la cava con gli FPS mainstream starà pensando “Che ci vuole? Esploro senza dare nell’occhio, piazzo qualche kill, prendo il bottino e me ne torno a casa. Easy!”. Ammetto di averlo pensato mentre scaricavo il gioco, già. Dopo aver sbattuto ripetutamente la testa contro il muro eretto da Battlestate Games, posso affermare con granitica certezza che di facile non c’è niente in Escape from Tarkov, ad eccezione naturalmente di una cosa: morire.
Gli stessi sviluppatori lo descrivono come “un gioco hardcore realistico in prima persona, GDR/simulativo, con caratteristiche MMO e una trama”, ed effettivamente è così. Il termine hardcore sta bene su tutto in quel di Tarkov, perfino i menu in game e i comandi lo sono, addirittura scovare il launcher di Battlestate Games può rivelarsi ostico, ma non è niente in confronto a ciò che attende chi non è preparato a dovere. A scandire ogni partita c’è un timer e ogni mappa ha vari punti di estrazione da cui fuggire, ma alcuni di essi prevedono dei requisiti da rispettare, ergo chi non conosce l’esatta ubicazione delle uscite e/o il loro funzionamento non ha alcuna speranza di salvare la pellaccia. Questo vuol dire che nei fatiscenti luoghi in cui ci si dà battaglia per un tozzo di pane è norma e regola imbattersi in sciacalli, voltagabbana, ladri e assassini, ma anche camper in attesa di compiere un’imboscata presso le uscite.
A Tarkov e infernali dintorni non c’è spazio per la pietà, niente margine d’errore per i maldestri né agevolazioni per chi non è pronto
CHI VA PIANO VA SANO E VA LONTANO (DA TARKOV)
La morte quindi è un problema serio, eppure il vero problema è che lasciarci le penne è tremendamente facile. Armature e protezioni varie si possono indossare, anzi una corretta gestione dell’equipaggiamento e dell’inventario è indispensabile data l’importanza rivestita dagli oggetti in questo gioco, ma soprattutto all’inizio basta un colpo nel punto giusto per dire addio ai propri sogni di gloria. Il racconto con cui s’è aperto lo speciale che state leggendo è uno scorcio di ciò che può capitare durante una qualsiasi partita a Escape from Tarkov, come ben saprà chi ha confidenza con il gioco. Chi non lo conosce invece ormai avrà intuito che si tratta di un FPS tattico feroce, avvincente e bastardo dentro, una produzione inflessibile che punta sul realismo e sulla simulazione. Tanto nei sobborghi di Tarkov quanto all’interno di un edificio isolato, a prescindere dall’orario in cui si svolge un raid ogni minimo rumore è fondamentale perché permette di rilevare la posizione dei nemici, però la regola d’oro vale anche al contrario. È per questo motivo che è saggio adattare ossessivamente la propria postura (eretta, prona o accucciata) all’ambiente e alle circostanze, parimenti a una velocità di movimento che influisce sul rumore prodotto da ogni nostro passo.
Detto che la principale causa delle morti in azione è lo scontro a fuoco (ah, dimenticavo: il severo gunplay strizza l’occhio alle simulazioni militari, dunque quando si spara si deve tenere conto della fisica dei proiettili e della balistica, del rimbalzo e della penetrazione dei colpi, inoltre le armi si possono inceppare o surriscaldare, per non parlare dell’usura), i pericoli possono nascondersi letteralmente ovunque. Calcolando che rovistare richiede qualche secondo e che è necessario ispezionare singolarmente gli oggetti trovati per capire di cosa si tratta, ci vuol poco a immaginare quali assurde vette possa raggiungere la tensione tra il timer che scorre, gli avversari umani e le diverse tipologie di Scav guidati dalla IA (non lo avevo ancora detto? Escape from Tarkov è uno sparatutto PvPvE) pronti a ucciderci per sottrarci il bottino.
ESCAPE FROM TARKOV PRESENTA ANCHE ELEMENTI SURVIVAL
MORS TUA VITA MEA, OH YEAH
Questo è a grandi linee il sunto di cosa attendersi da Escape from Tarkov, ma sarebbe presuntuoso da parte mia pensare di poter riassumere in una manciata di pagine un’esperienza così intensa, profonda e sfumata. Il punitivo shooter di Battlestate Games possiede dinamiche e meccaniche di cui sarebbe un peccato non parlare, ma di materiale stuzzicante ce n’è talmente tanto che ogni tratto distintivo meriterebbe uno speciale. Non ho nemmeno accennato al rifugio da costruire e potenziare per ottenere vantaggi, ho colpevolmente omesso i dettagli sull’economia attorno cui ruota la compravendita degli oggetti (ciò che viene recuperato durante i raid può essere rivenduto ai mercanti oppure agli altri giocatori: chapeau agli sviluppatori), oppure ancora non ho menzionato la possibilità di giocare come Scav anziché con il proprio personaggio principale. Può sembrare un’alternativa di poco conto ai raid canonici, invece non lo è affatto: impersonare uno Scav vuol dire gettarsi nella mischia con un pg dotato di loadout casuale, senza cioè mettere a rischio i propri averi, e provare a recuperare oggetti da trasferire al personaggio principale; in un mondo in cui l’avidità è l’unico valore che conta, una simile opportunità è manna dal cielo.
Escape from Tarkov è un’esperienza d’una potenza sconcertante, è un pugno nello stomaco delle percezioni quando meno te lo aspetti. Scorbutico, scostante e impervio al primo appuntamento, superato lo shock iniziale si rivela avvincente come pochi, senza dubbio capace di ripagare generosamente d’ogni sforzo fatto per venirne a capo.
QUELLO CREATO DA BATTLESTATE GAMES NON È UN GIOCO PER TUTTI, MA è PROPRIO QUESTO UNO DEI SUOI PUNTI DI FORZA