C’è una scena iconica di Drive, pellicola del 2011 diretta da Nicolas Winding Refn, che alla prima visione mi rimase particolarmente impressa. Il protagonista, senza nome, e Irene entrano in ascensore dopo aver discusso. Ormai la situazione è degenerata, i sicari sono sulle loro tracce e appena le porte scorrono ecco che uno di loro è lì, fare noncurante, giacca bianca e camicia sbottonata sul collo. Loro entrano, il pilota nota la pistola sotto la giacca, sposta Irene, le dà un bacio in slowmo e poi si scaglia sul killer con una brutalità implacabile, lo butta a terra e comincia a prenderlo a calci in faccia, sempre più forte, fin quando il cranio non cede e il piede sprofonda in quella poltiglia di carne, ossa, cervello e sangue fino alla caviglia. Mi rimase impressa perché in quegli anni si tendeva a non mostrare certe conseguenze fisiche così, in primo piano, come invece succedeva in certi film anni ’80-’90 (le teste che esplodono in Scanners, per dire il primo che mi viene in mente) che scoprii però successivamente
“DO YOU LIKE HURTING OTHER PEOPLE?”
Una cosa simile si potrebbe dire di Hotline Miami, arrivato l’anno dopo l’uscita di Drive, 2012, che in una manciata di pixel, rifacendosi all’estetica 8-bit, era capace di mettere in gioco un’efferatezza che faceva impallidire anche i giochi tacciati come “violenti” dall’opinione pubblica.
C’è una scena iconica di Drive che alla prima visione mi rimase particolarmente impressa

Il punteggio diventa quasi un elemento straniante, tanto ogni uccisione è sempre frutto di pianificazione e sincera efferatezza.
Quella di Dennaton Games, nome che cela le identità di un duo di sviluppatori svedesi, Jonatan Söderström (programmatore) e Dennis Wedin (artista) è un’opera senza filtri, angosciante, punk, perversa, capace di prendere l’action top-down alla maniera dei primi GTA e condensarlo in una versione sotto metanfetamine, allucinata, tachicardica.
in quegli anni si tendeva a non mostrare certe conseguenze fisiche

Massacri tarantiniani in situazioni allucinatissime, dove gli stessi colori contribuiscono a creare una psichedelia violentissima.
Perché non si può parlare di quest’opera senza tirare in mezzo Devolver Digital, che proprio con Hotline Miami colse l’occasione per uscire dall’ombra di Serious Sam e iniziare un percorso che diede all’azienda un’immagine e uno stile assolutamente inconfondibile, tanto che forse il publisher di Austin non è ancora riuscito a pubblicare un gioco altrettanto rappresentativo della sua filosofia, andandoci solo vicino con altri titoli clamorosi che ha in scuderia, tra cui moltissimi ispirati ad esso, tra cui Not a Hero, Ape Out e Katana Zero.
Devolver Digital con Hotline Miami colse l’occasione per uscire dall’ombra di Serious Sam e iniziare un percorso che diede all’azienda un’immagine e uno stile assolutamente inconfondibile
DISAGIO VIRTUALE
La narrativa infatti non è banale né tantomeno pretestuosa e questa Miami al neon, vista dall’alto al basso, senza orizzonte, nasconde segreti che vanno oltre le faide tra bande rivali, i complotti nazionalisti e il thriller puro, ponendosi e ponendo al giocatore domande dai risvolti psicologici intriganti, sul senso della violenza, i suoi limiti e l’assuefazione che essa può dare, passando attraverso scelte scenografiche di grande impatto e di chiaro stampo lynchano che tendono a confondere e mescolare realtà e allucinazione, tra messaggi in codice sulla segreteria telefonica, sogni esistenziali e quel viso folle, trasfigurato, distorto, riflesso ora in un cassiere del noleggio VHS, ora in un barista.

La quotidianità tra le missioni è inquinata da elementi surreali e angoscianti, nascosti anche in una pizza, perché no?
Un mondo perturbante, quasi ripugnante in certi casi, che non è raro porti a un rigetto da parte del giocatore, tenuto costantemente sulla corda, psicofisicamente al limite, nudo e in balia degli stimoli ludo-artistici come in pochi altri giochi. Un limite molto diverso da quello verso cui portano i soulslike, molto più vicino a certi film ultraviolenti e/o visivamente iper-stimolanti (a me vengono in mentre opere come Good Time, Strade Perdute, Enter the Void o Requiem for a Dream). Qualcosa del tipo “mi sta facendo male ma c’è qualcosa che non mi permette di smettere” che diventa parte integrante del messaggio che i Dennaton sono riusciti a comunicare attraverso vari strati di disagio inframezzati dal puro divertimento arcade, una violenza che il giocatore non solo perpetra ma subisce in tutta la sua magnitudo, fino alla nausea.

Questa scena in particolare è rimasta impressa nell’immaginario collettivo del videogioco. Clamorosa.
Infine, avendo citato i soulslike, si può dire che Hotline Miami abbia avuto lo stesso effetto sul mondo indipendente che le opere From Software hanno avuto sui tripla A. In 10 anni non ha ancora smesso di essere d’ispirazione, diventando base per giochi che all’apparenza sembrano molto diversi, come Superhot e Neon White oltre a quelli già citati, e questo già ne racconta la grandezza e la portata storica. Ad oggi, 7 anni dopo Hotline Miami 2: Wrong Number, buon seguito ma non altrettanto “perfetto”, celebrato né iconico, abbiamo solo qualche tweet a ricordarci ogni tanto che Dennaton è al lavoro su un’altra opera, e nell’attesa non possiamo che sperare sia altrettanto devastante e scioccante, da chi ha già dimostrato di saper maneggiare la materia videoludica come pochissimi nella Storia, con l’obiettivo di sconvolgere chi ci mette mano, a suo rischio e pericolo.