Un bambino si sveglia in una foresta, al centro di un’inquadratura in controluce che rende visibili solo le silhouette. Bianco e nero, luce e ombra. Il bambino si alza ma non ha vita propria, è una marionetta che risucchia al suo interno l’anima del giocatore, costretto a vivere un sogno oscuro, grottesco, intrappolato nella fase REM di qualcun altro, immerso nel sonno profondo di Arnt Jensen. Il bambino si alza ma non ha vita propria, è una marionetta che risucchia al suo interno l’anima del giocatore

Il primo sketch disegnato da Arnt Jensen nel 2004. C’era letteralmente già tutto, praticamente “parla”.
È il 2004 quando Jensen, allora concept artist in IO Interactive, comincia a immaginare un luogo che riesca a catturare quell’emozione così inspiegabile a parole, come quando un particolare odore, immagine o suono innesca una reazione chimica nel nostro cervello, creando una sensazione inafferrabile nonostante la sua concretezza.
Il controllo del team sul progetto rimase totale
Il breve filmato attira la curiosità della community, di alcuni publisher ma anche di Dino Patti, che lo aiuta con la programmazione per alcuni mesi, fin quando si rende conto che il progetto sta diventando più ambizioso delle loro capacità. Playdead nasce, si espande e finisce così nel mirino di Microsoft, che vede in Limbo un perfetto titolo per il lancio di Xbox Live Arcade (esattamente come il Super Meat Boy di Edmund McMillen), con gli sviluppatori danesi che però tengono il punto e rimandano al mittente certe interferenze creative, con alcuni investitori che, ad esempio, avrebbero voluto evitare di mostrare un bambino morire in tutti quei modi, particolarmente macabri ed efferati.
L’opera si racconta totalmente attraverso il gameplay nascondendo i pericoli in piena vista e la narrativa nei gesti

Rigiocarci oggi è ancora sorprendente e bellissimo, perché è un gioco capace di coglierti impreparato anche quando dovresti saperlo a memoria.
Puzzle ambientali in piano sequenza che sembrano inizialmente contro-intuitivi ma che invece si scoprono assolutamente deduttivi, tattili, meccanici, sempre vari e sorprendenti, fortemente basati su un motore fisico sofisticato e tutt’oggi pregevole, capace di rendere tangibile il surreale, ancorando a logiche terrene un mondo chiaramente onirico. Una dissonanza estremamente funzionale allo straniamento del giocatore, costretto a ragionare esattamente come in un sogno, applicando soluzioni quotidiane a situazioni criptiche, spostando casse, tirando leve, azionando macchinari ma anche osservando l’inerzia dei vari oggetti, quasi regredendo a sensazioni infantili, riscoprendo i concetti di azione-reazione tentativo dopo tentativo.
il giocatore è costretto a ragionare esattamente come in un sogno

La sola sequenza del ragno è un perfetto esempio di game design. C’è la deduzione, c’è il sound design che interagisce con l’azione, c’è il platforming a dare ritmo, l’emozione (soprattutto panico) e infine la macabra soddisfazione.
Da alcune di queste scene si potrebbe tranquillamente tirare fuori un cortometraggio, talmente è pulita e d’impatto la messinscena, con quella qualità nelle animazioni e la totale padronanza del ritmo dell’azione. Non deve sorprendere che lo sviluppo abbia avuto bisogno di 4 anni per arrivare a una forma definitiva, praticamente un anno per ora di gioco.
Da alcune di queste scene si potrebbe tranquillamente tirare fuori un cortometraggio
Ancora poco si sa invece del terzo progetto, in sviluppo dal 2017, che sarà un’avventura sci-fi completamente tridimensionale in Unreal Engine, pubblicata da Epic Games, che coprirà anche la totalità dei costi di sviluppo. Nel mentre due importanti personalità hanno lasciato il team per seguire altri progetti: il co-fondatore e producer Dino Patti, che ha fondato Jumpship la cui opera prima, Somerville, è uscita giusto qualche giorno fa, molto ambiziosa quanto problematica, mentre il lead game designer di Limbo e Inside, Jeppe Carlsen è ora al lavoro sull’intrigante Cocoon, puzzle adventure che uscirà il prossimo anno sotto etichetta Annapurna.
Dino Patti e Jeppe Carlsen hanno lasciato il team di Playdead per seguire altri progetti

L’introduzione dei parassiti che costringono a muoversi in una sola direzione arriva proprio quando il gioco sembra volerci dare un lieto fine. Che illusi.
Un bambino cammina, vede la fine dell’incubo coi suoi occhi luccicanti, nel buio. In lontananza appare una bambina che sta delicatamente raccogliendo fiori. Lui le si avvicina mentre la luce si fa più intensa e i suoni della natura riempiono l’aria. Poi il buio, di nuovo, come quando il culmine di un sogno viene interrotto dalla sveglia. Di nuovo smarriti, fino alla prossima notte.