Neoclassici #7 – Limbo

Un bambino si sveglia in una foresta, al centro di un’inquadratura in controluce che rende visibili solo le silhouette. Bianco e nero, luce e ombra. Il bambino si alza ma non ha vita propria, è una marionetta che risucchia al suo interno l’anima del giocatore, costretto a vivere un sogno oscuro, grottesco, intrappolato nella fase REM di qualcun altro, immerso nel sonno profondo di Arnt Jensen.

Il bambino si alza ma non ha vita propria, è una marionetta che risucchia al suo interno l’anima del giocatore

I boschi che circondano la casa in cui è cresciuto, l’aracnofobia che l’ha sempre tormentato, la passione per le pellicole noir, con quella grana che diventa un sottilissimo filtro tra realtà e finzione. Sembra un po’ la storia di com’è nato il primo The Legend of Zelda, nel giardino di casa di un piccolo Shigeru Miyamoto che si inventava storie fantastiche di ritorno da scuola. Un ricordo, rielaborato per adattarsi a uno specifico mood, un sentimento angosciante di pericolo imminente, nascosto, conturbante, ma anche di onirica fatalità, da cui non si può scappare neanche attraverso la più classica via d’uscita da un incubo: morendo.

neoclassici limbo

Il primo sketch disegnato da Arnt Jensen nel 2004. C’era letteralmente già tutto, praticamente “parla”.

È il 2004 quando Jensen, allora concept artist in IO Interactive, comincia a immaginare un luogo che riesca a catturare quell’emozione così inspiegabile a parole, come quando un particolare odore, immagine o suono innesca una reazione chimica nel nostro cervello, creando una sensazione inafferrabile nonostante la sua concretezza.

Il controllo del team sul progetto rimase totale

Un singolo sketch a racchiudere quel luogo speciale, segreto; una spiaggia sferzata dal vento in una giornata umida, tempestosa, la scogliera incombente, un bambino che guarda in alto e delle figure in primo piano, monoliti decorati di spine. Un disegno straordinariamente suggestivo e già così definito, se pensiamo al risultato finale. Il primo seme di Limbo (mi permetto di linkare la pagina Steam, al momento c’è uno sconto a 2 eurini e mezzo, poco più del doppio se si prende anche Inside, nd Mario), l’inizio di una preproduzione in solitaria che durerà altri due anni, quando l’artista deciderà di lasciare definitivamente IO e lanciare il suo concept trailer.

Il breve filmato attira la curiosità della community, di alcuni publisher ma anche di Dino Patti, che lo aiuta con la programmazione per alcuni mesi, fin quando si rende conto che il progetto sta diventando più ambizioso delle loro capacità. Playdead nasce, si espande e finisce così nel mirino di Microsoft, che vede in Limbo un perfetto titolo per il lancio di Xbox Live Arcade (esattamente come il Super Meat Boy di Edmund McMillen), con gli sviluppatori danesi che però tengono il punto e rimandano al mittente certe interferenze creative, con alcuni investitori che, ad esempio, avrebbero voluto evitare di mostrare un bambino morire in tutti quei modi, particolarmente macabri ed efferati.

L’opera si racconta totalmente attraverso il gameplay nascondendo i pericoli in piena vista e la narrativa nei gesti

Ma il controllo del team sul progetto rimarrà totale. Proprio questa visione assolutamente chiara di quello che doveva essere il titolo, quel voler virtualizzare una specifica e intangibile emozione, ha portato alla creazione di un “trial & death” che ha ridefinito il corso della cinematic adventure e ha influenzato in modo determinante la poetica del panorama indipendente dal 2010 in avanti. Un’opera che si racconta totalmente attraverso il gameplay, senza una riga di testo o un tutorial, nascondendo i pericoli in piena vista e la narrativa nei gesti. Limbo gioca infatti tantissimo sul piano psicologico, usando le consuetudini subliminali dei giocatori contro di loro, togliendo sicurezze e inducendo all’errore, spiegando le proprie meccaniche proprio attraverso game over istantanei, sadici, inaspettati e grotteschi, quasi comici. Sembra la versione horror-videoludica della scena della catena di montaggio di Tempi Moderni, sensazione ancora più forte quando nel gioco si arriverà davvero in quell’ambientazione industriale che sembra essere viva da quanto è rumorosa e vorace, come la balena di Pinocchio.

neoclassici limbo

Rigiocarci oggi è ancora sorprendente e bellissimo, perché è un gioco capace di coglierti impreparato anche quando dovresti saperlo a memoria.

Puzzle ambientali in piano sequenza che sembrano inizialmente contro-intuitivi ma che invece si scoprono assolutamente deduttivi, tattili, meccanici, sempre vari e sorprendenti, fortemente basati su un motore fisico sofisticato e tutt’oggi pregevole, capace di rendere tangibile il surreale, ancorando a logiche terrene un mondo chiaramente onirico. Una dissonanza estremamente funzionale allo straniamento del giocatore, costretto a ragionare esattamente come in un sogno, applicando soluzioni quotidiane a situazioni criptiche, spostando casse, tirando leve, azionando macchinari ma anche osservando l’inerzia dei vari oggetti, quasi regredendo a sensazioni infantili, riscoprendo i concetti di azione-reazione tentativo dopo tentativo.

il giocatore è costretto a ragionare esattamente come in un sogno

Un risultato ancora oggi straordinario, ricco e complesso, raggiunto grazie all’essenzialità dei suoi singoli elementi (Fumito Uead insegna): palette cromatica in scala di grigio e “colorata” dalla colonna sonora ambientale, che dà corpo e spessore a tutto il mondo di gioco, progressione bidimensionale, soli due tasti d’azione oltre al movimento. Questo si traduce in sequenze iconiche dove ogni strato ludo-artistico si fonde per mettere in scena le estreme conseguenze di un gioco che vive di momenti fortissimi. Come il confronto col ragno gigante, da affrontare prima di intelletto, poi attraverso il platforming, in fuga, e infine uccidendolo in modo brutale, freddo, utilizzando il suo stesso corpo per proseguire.

neoclassici limbo

La sola sequenza del ragno è un perfetto esempio di game design. C’è la deduzione, c’è il sound design che interagisce con l’azione, c’è il platforming a dare ritmo, l’emozione (soprattutto panico) e infine la macabra soddisfazione.

Da alcune di queste scene si potrebbe tranquillamente tirare fuori un cortometraggio, talmente è pulita e d’impatto la messinscena, con quella qualità nelle animazioni e la totale padronanza del ritmo dell’azione. Non deve sorprendere che lo sviluppo abbia avuto bisogno di 4 anni per arrivare a una forma definitiva, praticamente un anno per ora di gioco.

Da alcune di queste scene si potrebbe tranquillamente tirare fuori un cortometraggio

Lo stesso Patti dichiarerà successivamente che circa il 70% del materiale sviluppato era stato cestinato, col restante 30% rifinito maniacalmente in lunghe fasi di polishing. Una filosofia aziendale che non sarebbe cambiata neanche dopo il clamoroso successo di Limbo, dalla cui uscita passeranno altri 6 anni (e circa 50 persone al lavoro) per vedere il loro “Project 2”, Inside, evoluzione totale del concept di Limbo e uno dei titoli più suggestivi e inquietanti della scorsa generazione.
Ancora poco si sa invece del terzo progetto, in sviluppo dal 2017, che sarà un’avventura sci-fi completamente tridimensionale in Unreal Engine, pubblicata da Epic Games, che coprirà anche la totalità dei costi di sviluppo. Nel mentre due importanti personalità hanno lasciato il team per seguire altri progetti: il co-fondatore e producer Dino Patti, che ha fondato Jumpship la cui opera prima, Somerville, è uscita giusto qualche giorno fa, molto ambiziosa quanto problematica, mentre il lead game designer di Limbo e Inside, Jeppe Carlsen è ora al lavoro sull’intrigante Cocoon, puzzle adventure che uscirà il prossimo anno sotto etichetta Annapurna.

Dino Patti e Jeppe Carlsen hanno lasciato il team di Playdead per seguire altri progetti

Personalità di talento, maturate professionalmente da indipendenti partendo letteralmente da zero e capaci propagare le proprie influenze su ogni sponda dall’industria. Perché ormai non si contano più i videogiochi condizionati, fortemente o anche solo in qualche elemento, da questo “piccologioiello in bianco e nero. Dalla narrativa ermetica alla direzione artistica, dal puzzle design al sound design, dal mood all’esaltazione del game over come fondamento di gameplay. Un documento di game design, come Another World e ICO in altri decenni ma nello stesso genere. Le stimmate di un classico.

L’introduzione dei parassiti che costringono a muoversi in una sola direzione arriva proprio quando il gioco sembra volerci dare un lieto fine. Che illusi.

Un bambino cammina, vede la fine dell’incubo coi suoi occhi luccicanti, nel buio. In lontananza appare una bambina che sta delicatamente raccogliendo fiori. Lui le si avvicina mentre la luce si fa più intensa e i suoni della natura riempiono l’aria. Poi il buio, di nuovo, come quando il culmine di un sogno viene interrotto dalla sveglia. Di nuovo smarriti, fino alla prossima notte.

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La traduzione non è mestiere da dare per scontato

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