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Fortnite non ha bisogno di noi (e non ne ha mai avuto)

Nel 2017, quando ancora non lavoravo per la migliore (nonché seconda al mondo per longevità) rivista di videogiochi, mi fu assegnata la recensione di Fortnite. Preceduto da grosse aspettative – in fondo si trattava pur sempre di un gioco prodotto da Epic – il titolo sviluppato da People Can Fly era arrivato già sgonfio al momento della prova sul campo. Accolto con giustificata diffidenza, Fortnite portò a casa recensioni tiepide, inclusa la mia, lo ammetto, avvolte nella presuntuosa convinzione di aver assistito all’ennesima next big thing del videogioco destinata a finire dimenticata nel giro di un paio di settimane. Non ci avevamo capito nulla, e non ci avremmo capito nulla ancora per un bel po’.

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Per quanto si possa in fondo essere d’accordo sul fatto che quella prima versione fosse poca cosa, Fortnite è risorto dalle sue ceneri nel giro di due mesi, mentre ormai tutti o quasi noi del giornalismo di settore guardavamo altrove.

Fortnite è risorto dalle sue ceneri nel giro di due mesi, diventando un pezzo enorme di cultura pololare

Con un po’ di autoindulgenza potrei dire che è l’industria ad averci insegnato che i treni dell’hype passano, e invece di osservarli sfumare all’orizzonte è meglio (per tutti, per lo stesso settore) iniziare a eccitarsi per il prossimo in arrivo. Eppure, è innegabile che Fortnite sia diventato un fenomeno mondiale, un pezzo enorme della cultura popolare mentre il giornalismo videoludico guardava dall’altra parte. Poi certo ci siamo voltati indietro, perché i numeri fanno sempre gola e la popolarità di Fortnite torna sempre buona per guadagnare click con una news in homepage, ma comunque continuando a trattarlo con un certo snobismo.

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Gli eventi di fine stagione di Fortnite sono calamite di attenzione: ricordate il buco nero?

È da un po’ che provo a chiedermi quali siano le colpe di Fortnite. Forse l’essere apertamente indirizzato a un pubblico di adolescenti, come se ci fossimo dimenticati che in fondo quasi ogni titolo sul mercato è concepito con in mente quel target e l’anomalia è rappresentata da adulti con centinaia di ore a disposizione, non dai ragazzini che passano i loro pomeriggi sull’isola. O forse l’idea preconcetta che sia un gioco semplice, per bambini, ignorando così la stratificazione di meccaniche ed elementi occorsa negli anni (il mio cervello ancora non riesce a costruire e sparare allo stesso tempo, in ogni caso).

Non c’è un angolo della cultura pop che ormai non abbia un punto di contatto con Fortnite.

Il sospetto ulteriore è che in qualche modo abbia influito anche l’auto esclusione di Fortnite da quel ciclo di contenuti che autoalimenta la produzione di siti e riviste di settore. Di Fortnite non arrivano codici di accesso anticipati alle redazioni che consentano di esplorare in anteprima i nuovi capitoli, non ci sono eventi stampa né alcun’altra corsia preferenziale.

È evidente che per Fortnite la stampa di settore non sia un referente privilegiato

È evidente, insomma, che per Fortnite la stampa di settore non sia un referente privilegiato come avviene negli altri casi, e questo ci offende mortalmente. Eppure, cinque anni dopo, Fortnite è ancora qui, più forte che mai. Negli ultimi giorni è stata giusto pubblicato un nuovo aggiornamento che, tra le altre cose, oltre a cambiare nuovamente i connotati alla mappa di gioco, aggiorna il comparto grafico su console next-gen e PC e introduce le motociclette, andando a stravolgere ancora una volta le dinamiche di gioco con l’aggiunta di una nuova componente.

l’update stravolge di nuovo le dinamiche

È un vizietto che Fortnite ha da sempre. Negli anni ha impostato una struttura capace di reggere urti profondi e modifiche radicali, dal Guanto dell’Infinito di Thanos alle barche, senza battere ciglio. Una caratteristica con pochi o nessun precedente, che abbiamo ignorato, forse perché troppo orgogliosi per giocarci (o per ammettere di farlo) o forse perché nessun PR ha mai insistito perché lo facessimo.

Fortnite collabora spesso con Marvel in occasione delle uscite del MCU.

La verità, dolorosa e spietata, è che Fortnite non ha bisogno di noi e non ne ha mai avuto. Il gioco di Epic mette a nudo come pochi altri quanto il giornalismo videoludico, nella sua forma attuale, sia un residuato che serve a poco e che oltre tutto nasconde sotto il tappeto grossi problemi deontologici.

La verità, dolorosa e spietata, è che Fortnite non ha bisogno di noi e non ne ha mai avuto

Ma se per quest’ultimi il discorso è troppo ampio per essere affrontato in questa sede, ci si può anche solo limitare a considerare come Fortnite (e non solo, ma è l’esempio più lampante per il suo percorso e per i suoi legami) rappresenti in un certo senso il superamento di un preciso e vetusto modello di giornalismo videoludico, reso obsoleto da streamer, influencer e content creator, per quanto la cosa non ci piaccia.

Il concerto di Mashmellow, il trailer in esclusiva di Star Wars: Fortnite oggi è il place to be.

Nonostante le stroncature nelle recensioni, la trascuratezza con cui viene trattato e l’esclusione quasi totale da classifiche di qualità e premi di settore, Fortnite è sempre qui, macina numeri strepitosi e accumula a ogni nuova iterazione collaborazioni con brand imponenti e marchi trasversali al settore (per cui il reparto commerciale di qualunque testata farebbe carte false).

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Fortnite X Balenciaga. Devo dire altro?

Fortnite, insomma, potrebbe vivere molto più a lungo del giornalismo videoludico per come lo abbiamo sempre inteso, e questa è una realtà (o quanto meno una prospettiva) con cui dovremo prima o poi fare i conti.

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