DmC Devil May Cry: Dante (non) deve morire – Speciale

Basta vergogna. Basta pietà. Basta. Risorgiamo dalle ceneri. Il testo di Never Surrender racconta perfettamente quello che DmC ha provato ad essere dieci anni fa, fotografando in parole l’unico Devil May Cry dove il gameplay non è front man, ma linea di basso.dmcLe casse gracchiano al ritmo electro-industrial dei Combichrist. L’elettronica si fonde col rock su quello spartito dove il rock è sempre stato di casa. Le sinusoidi vengono prese a martellate finché non diventano onde quadre, la stessa sorte che tocca a quei giocatori e a quelle giocatrici che oseranno inserire il Vangelo Apocrifo secondo Ninja Theory nei lettori delle loro console. DmC Devil May Cry è blasfemia, è sovversione, è aperta protesta. È il frutto di menti vissute lì dov’è nato il punk che da perfetti gaijin si appropriano di un immaginario e lo distruggono a loro immagine e somiglianza. DmC Devil May Cry è idee e spregiudicatezza, una vita al limite da consumarsi in una decina di ore. DmC Devil May Cry è. E piaccia o meno è ancora.

BLAMING MYSELF FOR A WORLD ON FIRE

Per capire DmC va capito Devil May Cry 4. Va giocato Devil May Cry 4, provando quel senso di inadeguatezza che solo un gioco – letteralmente – a metà come Devil May Cry 4 può trasmettere. La benzina nel serbatoio sembra finita, si ricorre ossessivamente a soluzioni già sperimentate nel primo e nel terzo capitolo. Il secondo non esiste, non è mai esistito e Capcom stessa anche in anni più recenti farà il possibile affinché sia così – tranne evitare di ripubblicarlo quelle tre o quattro volte. E allora l’unico modo per uscirne è l’azzardo di chiamare qualcun altro a fare il tuo lavoro, una trasfusione di sangue fresco in un organismo anemico. Il primo impatto di Ninja Theory con Devil May Cry in realtà è abbastanza reazionario, o almeno così mi raccontava anni fa il suo Art Director Alessandro Taini.

Per capire DmC va capito Devil May Cry 4. Va giocato Devil May Cry 4, provando quel senso di inadeguatezza che solo un gioco a metà come Devil May Cry 4 può trasmettere

C’è il rispetto che impone l’eredità dei quattro capitoli precedenti, quelli dispari veri e propri capolavori. La risposta che arriva da Osaka però è secca. “Questo siamo capaci di farlo anche noi”. Capcom vuole andare all-in. Vuole un’ultima corsa, un ultimo disperato atto che ricordi a tutti chi e cosa era Capcom solo una generazione prima, quando gli enfants terribles erano trattati come bambini prodigio liberi di sviluppare (in)successi come Okami e God Hand. O forse è solo un bieco tentativo di rinnovare una serie stanca, alla ricerca di un pubblico nuovo più numeroso del vecchio. La stessa cosa che si sta facendo in parallelo con Resident Evil 6, d’altronde. Quale che sia il motivo Capcom vuole qualcosa che Capcom non sarebbe in grado di fare. Ninja Theory li prende alla lettera. E qui inizia il drama.

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È da una decade che si parla del design del nuovo Dante. È troppo emo, è troppo punk, è troppo diverso. Sui forum ai tempi qualcuno l’aveva battezzato Donte, giocando col nome del protagonista e la parola “don’t”. Qualcun altro aveva preferito Dino, acronimo di Dante In Name Only. A prescindere dal significante il significato è chiaro: questo nuovo Dante proprio non ci piace. Oggi magari qualche executive nella stessa situazione tirerebbe il freno a mano. Ninja Theory invece decide di rispondere a tono, e lo fa in una delle sequenze della prima missione del gioco. Ad un certo punto Dante si ritrova davanti ad uno specchio e gli cade in testa una parrucca bianca identica a quella del Dante tradizionale. Il commento è un inequivocabile “nemmeno tra un milione di anni”, mentre la parrucca finisce per terra.

Il commento è un inequivocabile “nemmeno tra un milione di anni”

Sembra una provocazione gratuita, ma in realtà non lo è: c’è del metodo nella lucida follia dello studio di Cambridge, e il colore dei capelli di “Donte” ha un significato preciso. Devono essere neri perché possano scolorire man mano che l’esperienza prosegue e Dante trova finalmente il suo posto nel mondo. Perché questo Dante è un disadattato, un reietto senza nessuno scopo che non riesce a riempire la sua vita nemmeno abusando di alcol, droghe e donne. Un emarginato che pur di provare qualcosa, qualunque cosa, pratica autolesionismo ed è costretto a vivere costantemente in fuga dai demoni senza sapere perché. Senza sapere chi è, chi sono Eva e Dante, due figure che invece per il Dante tradizionale sono il nord magnetico, un punto di riferimento immobile come la Terra nel sistema geocentrico.

LET HATE PREVAIL

Il cambiamento più sovversivo ad opera di Ninja Theory non riguarda Dante, ma i suoi genitori. Sparda nella mitologia della serie è l’eroe che ha salvato il mondo dalla conquista dei demoni, una figura messianica a cui sono dedicate intere dottrine. I nemici che Dante affronta fiutano su di lui l’odore del padre e lo identificano come figlio di Sparda, un’eredità ingombrante quanto quella della stessa serie. In DmC i demoni hanno vinto. Controllano le nostre vite attraverso il debito pubblico, controllano le nostre menti attraverso la pubblicità.

Il cambiamento più sovversivo ad opera di Ninja Theory non riguarda Dante, ma i suoi genitori

Bevi Virility per essere più magro, più sexy, più virile, poco importa se poi questo ti mette nelle mani di Mundus con nessuno a ergersi contro di lui. Sparda è esiliato per sempre e non può tornare e Dante non ricorda chi è, i suoi poteri sigillati per sempre assieme al ricordo di sua madre – la stessa Eva che il Mundus del primo Devil May Cry userà come modello per creare Trish e influenzare il protagonista. È per questo che i capelli di Dante sono neri. È per questo che diventeranno sempre più bianchi nel corso delle varie missioni, finché Dante alla fine non diventerà davvero Dante, un messia per gli umani come il suo padre di un’altra timeline.

dmcLe differenze di level design hanno una ratio diversa. Giocando i Devil May Cry “numerati” si sente ancora oggi l’eco di Resident Evil. Il primo Devil May Cry doveva essere infatti Resident Evil 4, ma questa è una storia che conosciamo tutti. Di questo aneddoto però rimane il riverbero in tutte le fasi dove Dante non è alle prese con qualche combo. Per andare avanti spesso bisogna tornare indietro, esplorare per trovare chiavi e tirare leve che permettono di superare il puzzle. DmC vuole essere più lineare. Allo stesso tempo però non vuole essere statico nello scenario come i capitoli classici. L’idea del limbo serve proprio a questo: le sezioni giocate si svolgono tutte in questa dimensione sovrapposta al mondo reale, ma che non necessariamente coincide con questo. I demoni possono deformarla, spaccando le città costringendo Dante al platforming o dilatandone i corridoi mentre il giocatore li attraversa, in modo da tenere il ritmo sempre per quanto possibile alto.

DmC è soprattutto il primo passo di Ninja Theory verso Hellblade

Funziona anche dal punto di vista più banalmente estetico, permettendo soluzioni artistiche ispirate dall’Essi vivono di Carpenter che contribuiscono al world building del gioco senza passare necessariamente dai soli filmati. DmC è un gioco fatto soprattutto di incastri, di componenti che non si limitano l’una a subire l’altra ma lavorano insieme. Non è ancora l’orchestra sinfonica che sarà Hellblade, ma una band, quella assolutamente sì. Gioco di incastri che poi è l’ossatura del battle system, dove non c’è solo la musica ad aggiungere o togliere strumenti sulla base del punteggio ottenuto, ma sono i demoni stessi a collaborare tra di loro a livello di IA, scambiandosi scudi e cercando di complicare la vita a Dante non solo sfruttando il numero o la loro pericolosità come singoli nemici. Non basta a rendere DmC complesso quanto gli altri capitoli – dopotutto l’idea era cercare un nuovo pubblico, non limitarsi ad accontentare chi è già a bordo – ed è questo il più grande peccato per cui l’opera di Ninja Theory viene messa nelle Malebolge dell’ottavo cerchio.

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SILENT WORDS FROM A BLEEDING MOUTH

Verrebbe da dire che di DmC Devil May Cry c’è rimasto solo questo, orgoglio da ingoiare con una lingua troppo gonfia. In realtà ci sono almeno due lasciti tangibili. All’interno della serie DmC ha alterato irrimediabilmente l’iconografia di Vergil: già nella Special Edition di Devil May Cry 4 uscita per le macchine di settima generazione, il fratello di Dante va a riprendere parte del moveset dal DLC La caduta di Vergil, come poi successo anche con l’edizione di Devil May Cry 5 per PS5 e Xbox Series.

L’idea del limbo serve proprio a questo: le sezioni giocate si svolgono tutte in questa dimensione sovrapposta al mondo reale, ma che non necessariamente coincide con questo

Ma DmC è soprattutto il primo passo di Ninja Theory verso Hellblade, dove l’idea che ogni componente dell’esperienza abbia impatto sulle altre esplode in modo definitivo cambiando il modo in cui guardiamo ai videogiochi. È impossibile mettere Hellblade su un tavolo operatorio e dissezionarlo come farebbe un chirurgo, perché il battle system dipende dalle voci nella testa di Senua come i puzzle dipendono dal design al punto che dopo qualche ora è lo stesso mondo di gioco a suggerire quali rune serviranno per sbloccare il portale, prima ancora che il portale venga individuato.

Dieci anni dopo DmC non è riuscito a portare la rivoluzione incisa su disco fuori dal suo feretro di plastica e carta. Ma in qualche modo ha lasciato una traccia, in qualche modo anche adesso che possiamo dire sia morto suscita qualcosa. Dieci anni dopo possiamo dire che DmC non si è mai davvero arreso. E per quanto mi riguarda ha schiavizzato la mia anima.

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