Il Metal Gear Solid che ha provato a prendersi sul serio. Il “demo a pagamento” che precede di cinque mesi l’idea dei Playable Teaser gratuito di quel gioco a cui Hideo Kojima non lavorerà mai. La struttura narrativa che abbiamo già visto in Sons of Liberty, ma che non avevamo mai visto con queste nuove meccaniche. Metal Gear Solid V inizia qui, con Ground Zeroes.

Te ho fatto aspettà, eh?
Le note di Morricone si alzano dalle casse non appena Chico preme play sul suo walkman. Quell’agonia è il tuo trionfo. L’agonia di chi, forse per la prima volta da quando è entrato in azienda dal 1986, sta facendo i conti con i diktat di un management sempre più votato ai pachinko e sempre meno ai videogiochi. Era la canzone preferita di Paz, la ragazza di cui Chico è innamorato e che ha cercato di salvare da Camp Omega. Chissà se sanno che questi sono i loro ultimi momenti finali. Chissà se lo immagina Hideo Kojima.
HERE’S TO YOU
La sindrome dell’arto fantasma che 10 anni fa ci ha resi orfani inizia da qui
Ground Zeroes è sospeso tra il già visto e il mai visto. In generale il progetto Metal Gear Solid V è costato –
sta, costando, nel 2014 – tanto a Konami. KojiPro dopo Guns of the Patriot ha deciso che c’era bisogno di un nuovo approccio al
Tactical Espionage Action. Per farlo c’è bisogno di un nuovo engine, pronto in realtà già dall’anno prima visto che ha debuttato sugli scaffali con Pro Evolution Soccer 2014. E
per esaltare Fox Engine non si fanno sconti a nessuno, nemmeno alla voce storica di Snake – David Hayter – che viene sostituito senza troppe cerimonie dal Jack Bauer di 24, al secolo Keifer Sutherland, perché Kojima è convinto che Fox Engine abbia bisogno di un attore vero per dimostrare di essere un investimento giustificato, non ci si può accontentare di un “semplice” doppiatore.
È così che Ground Zeroes finisce per essere un capitolo di tante prime volte.
La prima volta in cui sulla copertina non compare la già citata dicitura “Tactical Espionage Action”, sostituendo l’ultima parola con “Operations”. La prima volta dove non compare l’iconica scatola e su disco non trova spazio nessuno dei nonsensi tipici di Metal Gear
o quasi. La prima volta dove si tenta un approccio sandbox all’unico livello presente, inserendo anche veicoli guidabili
assecondando quella deriva verso l’open world che undici anni dopo il videogioco sta ancora vivendo. Ma è anche l’ultimo capitolo dove sulla copertina compare il nome di Hideo Kojima, quasi a voler rendere Ground Zeroes il prologo di The Phantom Pain anche extra-diegeticamente, dandoci un assaggio di quello che avrebbe potuto essere e invece non sarà mai più.
SNAKES ON A DEMO
Nel marzo 2014 però di tutto quello che sarebbe successo di lì a poco non si parla. Nikkei deve ancora pubblicare l’articolo che darà il là a notizie e speculazioni sul divorzio tra Konami e Kojima, e per quanto adesso sia facile rileggere alcuni dei contenuti di Ground Zeroes come indizi lasciati dall’autore per avvisare il suo pubblico della tempesta che stava arrivando a tenere banco è un’altra questione: Ground Zeroes ha tutti i connotati di una demo a pagamento. O almeno, così dice parte della popolazione videogiocante, e complice anche l’effetto megafono che ha la rete è difficile capire in che percentuale questo sia un problema diffuso. La missione principale, giocata una prima volta, si completa in circa 2 ore. Sapendo dove andare e cosa fare però diventa una pratica archiviabile in 8 minuti – o almeno è il tempo che ci hanno messo su IGN a speedrunnarlo.

Demo a pagamento? Nel 2001 c’era andata peggio con ZoE e il Tanker di MGS2
È a questo punto però che bisognerebbe fare delle puntualizzazioni: non tanto sulla qualità del giocato di quelle due ore o sul fattore rigiocabilità (che
How Long to Beat comunque stima poter arrivare a 21 ore), ma sul precedente storico della saga in questo senso. Anche Metal Gear Solid 2 nei fatti è diviso in due parti, col Tanker a fare da prologo per la Big Shell. E anche nel caso di Metal Gear Solid 2
il capitolo del Tanker era de facto stato distribuito a pagamento, perché allegato alle copie di Zone of the Enders. Zone of the Enders che,
a dirla tutta, a sua volta era completabile in circa 5 ore di gioco. Detto che comunque oltre alle due ore di main quest Ground Zeroes propone altre quattro missioni secondarie a obiettivi (sempre a Camp Omega, ma in altri orari del giorno) più le due missioni Deja Vu e Jamais Vu, c’è da spendere anche
qualche parola sul prezzo a cui il gioco veniva proposto al lancio. 19,99€ per le versioni digitali PS3 e Xbox 360, 29,99€ per quelle PS4 e One (sia in retail che in digitale). Il prezzo nell’ottobre 2014 verrà ridotto a 19,99€ anche sulle all’epoca console next-gen, ma guardato con l’occhio di oggi non sembra sproporzionato quanto lo si percepiva all’epoca. Più avvezzi ad un mercato digitale
fatto soprattutto da titoli indie o Tripla-I venduti su quella fascia di prezzo, oltre che abituati a pagare 80€ per un Tripla-A al lancio in luogo dei 70 di undici anni fa.
DEJA VU VS JAIAMS VU
Il Metal Gear più serio. Finché non si arrivano alle missioni extra…
Su disco poi è innegabile che della sostanza ci fosse. Un aperitivo di quello che poi sarà The Phantom Pain, ma che permette già di iniziare a prendere confidenza con il nuovo giocattolo di Kojima Production. Ground Zeroes è essenziale: tutta la parte gestionale legata alla Mother Base vista in Peace Walker per il momento viene messa da parte, così come il sistema di recupero Fulton. Ma per il resto
Camp Omega è un parco giochi ostile, dove non si possono ingannare le guardie bussando sulle pareti o lanciandogli qualche rivista zozza e vanno giocate in astuzia. O fatte fuori prima che la Reflex Mode – una sorta di Bullet Time che scatta non appena si viene avvistati – termini e l’allarme venga diffuso. Non ci sono ancora i compagni e i gadget con cui Venom Snake potrà seminare il panico in Afghanistan o in Angola, ma i sistemi su cui si andranno appoggiare debuttano qui e il risultato è molto simile ad un capitolo di Hitman o ad uno Splinter Cell. È
un Metal Gear Solid che si prende sul serio come non mai, non tanto dal punto di vista delle tematiche quanto per la messa a schermo, realistico al punto di chiedere al giocatore di compensare la forza di gravità quando si spara dalla lunga distanza.
Verrebbe quasi da dire che il trash e l’eccesso tipici del Kojima tamarro su disco non trovano posto. Poi però si avviano le ultime missioni secondarie, Deja Vu (al lancio disponibile solo su PlayStation) e Jamais Vu (solo su Xbox, per i primi mesi) ed ecco che l’adagio che vuole il lupo perdere il pelo ma mai il vizio prende forma. La missione Deja Vu gioca con la nostalgia: nei panni del Solid Snake low-poly del primo Metal Gear Solid Camp Omega diventa Shadow Moses, chiedendo a Snake di ricrearne le scene salienti per poi concludere tutto con un quiz che rompe la quarta parete. Jamais Vu porta in Ground Zeroes il Raiden di Metal Gear Solid 4 e di Rising Revengeance, sostituendo le guardie della base con dei body-snatcher – anche qua il riferimento è abbastanza evidente – chiedendo al cyborg di sterminarli tutti. E non risparmiando l’ennesima citazione ai viaggi nel tempo e al franchise Terminator.

Undici anni dopo, Ground Zeroes riposa per sempre qui nei nostri cuori
Non può essere che così, perché la memoria di tutto quello che succederà dopo porta inevitabilmente a romanticizzare tutto, perfino quella che ai tempi sembrava
un’operazione più commerciale che d’autore. Non può che essere così perché in quel paio d’ore di racconto si gettano le fondamenta per quello che sarà The Phantom Pain, il capitolo che nonostante la sindrome dell’arto fantasma chiuderà la serie collegandosi anche ai
due Metal Gear per MSX.
Undici anni dopo non posso fare a meno di ripensare a Chico che fa partire Here’s to You sul suo walkman quando sento quelle note.