Una pausa di 13 anni con altri giochi nel mezzo, ma la storia di Syberia non era finita.
Dopo Syberia 2 Sokal decide di esplorare nuove storie e alla ricerca della massima libertà creativa fonda il suo studio, la White Birds Productions. La prima opera sotto questo nuovo tetto è Paradise, uscito nel 2006. L’azione si sposta in un fittizio paese africano dove si sta consumando una guerra civile e la nostra protagonista soffre di una totale amnesia in seguito ad un incidente aereo. Abbiamo quindi la possibilità di “imparare il mondo” allo stesso ritmo suo. Della firma tipica di Sokal ci sono animali ispirati a versioni realmente esistenti, ma con quel qualcosa di diverso. Nonché il mistero connesso a uno di questi animali: occasionalmente ci troveremo a controllare nientemeno che un leopardo nero, che pare avere un legame con la smemorata protagonista. Da lato gameplay rimane la tipica impostazione punta e clicca, nessun esperimento nuovo da questo punto di vista. Anzi, mancando il tema tecnologico tipico dei lavori precedenti, i puzzle si risolvono in modo più canonico, con i classici oggetti da trovare, combinare in modo creativo e utilizzare dove deciso dalla regia.
Solo un anno dopo, nel 2007, arriva Sinking Island. Stavolta siamo nella nicchia precisa del “whodunnit”, il classico giallo con un corpo esanime, un’ambientazione contingentata e il detective venuto da fuori chiamato a trovare il colpevole. Siamo su un’isoletta da qualche parte nell’oceano Indiano. Il ricchissimo proprietario di un lussoso resort ha invitato la famiglia e i collaboratori più stretti a un raduno informale, prima dell’inizio della stagione turistica. Senonché, una sera, viene ritrovato morto giù da una scogliera. Starà al nostro avatar, il tale detective Jack Norm, scoprire i vari perché e percome. Rispetto agli altri giochi di Sokal ci sono delle novità, stavolta. In primo luogo non c’è la dimensione del viaggio; al contrario si tratta di una singola location da esplorare al microdettaglio. E poi, il protagonista è di gran lunga il meno pittoresco di tutta la produzione. Un detective con la testa sulle spalle, concentrato, sempre sul pezzo. Lontano da personalità più istrioniche del genere come un Sherlock Holmes o un Hercule Poirot. In questa nicchia narrativa i personaggi comprimari sono archetipi abbastanza fissi, quindi è strano trovare un’intenzione così generica anche nel protagonista, l’unico personaggio con cui si può spaziare un po’. D’altro canto, forse stavolta l’intenzione era di permettere al giocatore un miglior self-insert, visto che gli viene chiesto più impegno. Infatti, un’altra novità è che i puzzle si risolvono confrontando indizi, divisi tra foto, oggetti, impronte e dichiarazioni.
Sinking Island presenta una singola ambientazione da esplorare al microdettaglio
Ben presto diventeranno moltissimi, ma fortunatamente tutto sarà organizzato in un palmare in cui passeremo un po’ di tempo a guardare e riguardare, fino a poter rispondere alle varie domande che compongono il mistero. Risolverle di “forza bruta” sarà difficile qui. L’ambientazione è ricca di fascino, con questa titanica torre in stile Art Deco in mezzo a un’isoletta mentre in lontananza infuria una tempesta. Isoletta che è anche abitata dalla popolazione locale, creando un inevitabile conflitto tra la megastruttura di lusso “aliena” e le millennarie tradizioni locali. Da non omettere che la costruzione di una simile struttura potrebbe essere stata troppo ambiziosa per la delicata natura del luogo…
Nikopol: Secrets of the Immortals arriva invece nel 2008 e rappresenta un ritorno alla formula in prima persona e schermate fisse. Ottenendo tuttavia un mondo più vivo, più mobile, ispirato alla suggestiva arte visiva di Enki Bilal. Parliamo infatti di un videogioco che arriva dopo una serie di graphic novel visionarie iniziate negli anni ’80 e un film nel 2004. Questo universo narrativo è diventato presto un piccolo cult di nicchia, e TGM non si fece mancare – all’epoca solo su carta – la recensione del gioco, scritta da Mario Baccigalupi (infervorato dalla lettura dell’originale trilogia a fumetti).
Tra fantascienza e mito, Dei egizi camminano tra gli umani
Un cocktail retrofuturistico-mythpunk dove antichi Dei egizi camminano tra gli umani in metropoli con auto volanti e dove i film vengono ancora registrati su bobine. Il gioco si muove in una vicenda molto rapida, dal gusto cinematografico, insolita da proporre come avventura grafica. Purtroppo, dei puzzle al limite dell’illeggibile e scelte ludonarrative strane (riuscite a immaginare una sequenza stealth con ronda dei nemici e momenti di cecchinaggio gestite con inquadrature fisse in prima persona?) portano questo gioco ad essere uno scivolone.
Da qui ci vorrà qualche anno per vedere ancora un’opera di Sokal. Quasi dieci. E per l’occasione, accade un ritorno al passato: proprio a Syberia e Microids.
Da Valsembor a Yakhastan
Riprendere una storia già chiusa è sempre un camminare sulle uova. Parliamo di 13 anni di distanza dall’ultima volta, le generazioni sono cresciute, non sappiamo quanti fan della vecchia guardia si presenteranno per il seguito o se addirittura sono ancora videogiocatori, né quante nuove leve si appassioneranno al punto di recuperare i capitoli precedenti. Da lato narratore quindi, bisogna trovare soluzioni che onorino il passato, ma che al tempo stesso creino un nuovo arco narrativo che stia in piedi da solo. Che fare? Sokal opta per la soluzione più naturale: riprendere la storia esattamente da dove ci aveva lasciato: il treno a molla è ormai inservibile, Hans Voralberg ha completato il suo arco narrativo ed è sparito all’orizzonte e tutto ciò che rimane di Oscar è il suo cuore meccanico. Nel senso che è letteralmente un cuore fatto di ingranaggi. Kate è da sola, insomma.
E adesso? Beh, di sicuro è comunque troppo tardi per tornare alla vita precedente. Dopo che si assaggia un certo tipo di libertà, dopo aver fatto esperienze di vita illuminanti, ci vuole un bel po’ di autonegazione per riprendere una vita normale da ufficio. E in ogni caso nessuna buona azione resterà impunita. Il viaggio verso Syberia ha mosso delle cose e dato fastidio a individui che non si accontentano di sentirsi dire “mi dispiace”. Oltre ad avere nuovi nemici, Kate è pure ricercata dalla società per cui lavorava e a cui deve molte spiegazioni per aver viaggiato con fondi aziendali e non aver mai consegnato la firma di Voralberg. È nel terzo capitolo che la narrazione di Syberia passa da uno stile più interiore a qualcosa di più ambizioso. Uno stile che espande il world building e tenta di tratteggiare una geografia del mondo di gioco e le fazioni che la abitano. Sin dalla prima ambientazione (un ospedale dove Kate è prigionier… ehm, ospite a cui è sconsigliato uscire senza il permesso del primario), troveremo un maggiore numero di comparse con cui dialogare, ben distanti per esempio, dall’enorme università di Barrockstadt dove per decine di schermate incontriamo solo una manciata di persone.
Ho detto schermate? Beh, questo concetto diventa inappropriato perché nel terzo capitolo le ambientazioni arrivano al pieno 3d con movimenti di camera che seguiranno i nostri personaggi.
Ho detto personaggi? Sì, plurale.
la narrazione di Syberia passa da uno stile più interiore a qualcosa di più ambizioso
È attraverso queste novità che continueremo il viaggio di scoperta di Kate, che a volte avrebbe pure la possibilità di tornare a casa, ma… ma c’è ancora qualcosa. Vi è mai capitato di vivere nell’ombra di qualcun altro, aiutarlo a realizzare il proprio sogno, restare con (apparentemente) nulla in mano… e realizzare che se non lui, le persone a lui vicine sono rimaste nella vostra vita?
Syberia 3 va ad esplorare, tra gli altri, questo tema. Perso un eroe, rimane una comunità. Una comunità che ha ancora bisogno dell’aiuto di Kate e lei ha bisogno di quella comunità, che le sta quantomeno dando un senso. Se non di vita, almeno di appartenenza.
Ed eccoci quindi assieme a questa buffa tribù di nomadi alle prese con la loro ultima migrazione. La loro abituale rotta è stata troppo compromessa ed è il momento della ritirata nelle regioni più remote, non ancora interessanti economicamente per la società moderna. E sperando che lo rimangano.
Uno dei temi centrali di questo capitolo è il contrasto tra la civilizzazione con tutti i suoi pregi e difetti e la profanazione di terre sacre indigene. Nonché dell’erosione di habitat naturali.
Un tema che in realtà c’è sempre stato nella serie e anche fuori. Voglio dire, sia in Amerzone che in Syberia, la premessa è andare alla ricerca di ultimi esemplari di specie credute estinte. In Paradise è stato creato un intero glossario interno di flora e fauna. È cambiato solo che da sottotesto si è passati a esposizione in piena luce.
Dalla Taiga a Vaghen
2022. Ed eccoci al quarto e ultimo capitolo. È durante lo sviluppo di questo gioco che Benoît Sokal ci lascia e al resto del suo team rimane il compito di finire l’opera. Ci dà una conclusione? Mmmmhsì, direi di sì. Malinconica, agrodolce. Syberia: the World Before fa male, però dà a Kate una risposta di cui ha bisogno. Se dovessi riassumere il tema di questo gioco in una frase, direi che siamo ancora ben dentro al “senso di non appartenenza”. Kate è ancora confusa su dove dovrebbe essere, ma le è chiaro dove non appartiene.
Syberia: the World Before porta una conclusione, in un certo qual modo
Prospettiva che però non è molto importante per lei, visto che all’inizio del gioco la ritroviamo nella cella di una miniera illegale. Aver aiutato gli Youkol nel precedente capitolo ha messo lei nel mirino di un gruppo paramilitare. Un gruppo nostalgico di un certo partito. Vedremo bene questo aspetto della storia nei flashback di Dana Roze, promettente pianista di Vaghen, città fittizia di lingua e cultura austriaca. Sempre con quella punta di tecnologia Voralberg, dai tram automatizzati a una monumentale piazza-orchestra con automatoni musicisti pronti a suonare a tempo. Ma c’è di più: Dana appartiene a una minoranza che assolutamente non ricorda la comunità ebraica, perseguitata da gente che assolutamente non ricorda i fascisti e sta bollendo un’atmosfera che assolutamente non ricorda i pogrom e la notte dei cristalli. Se la ricerca interiore di Kate rimane abbastanza familiare, il contesto in cui agirà è una detective story alla ricerca del passato della giovane pianista, tra guerra e persecuzione. Per la prima volta nella serie, Syberia: the World before non è un’avventura on the road, quanto piuttosto un’esplorazione minuziosa di una città in particolare. In aggiunta ai flashback giocabili di Dana, non appena ritroviamo informazioni chiave.
Il tutto quasi sempre in compagnia dell’inossidabile Oscar, seppur in una forma diversa dal solito. Come sempre farà fatica a capire le emozioni umane e il sarcasmo, ma ora che non ha più il treno e i suoi abituali riferimenti, inizierà a trascendere il codice di cui è composto e a diventare una nuova forma di sé. La sequenza di eventi di questo capitolo è un po’ forzata e alcuni momenti “accadono perché sì”, ma se sarete disposti a perdonarli, la vicenda nel suo insieme rimane comunque molto intensa.
Marchingegni e chiamate interiori
Abbiamo parlato poco del gameplay di Syberia per il semplice motivo che l’intera carriera videoludica di Sokal è basata sulle avventure grafiche. Con piccole variazioni, però il cuore è sempre rimasto quello. Un cuore che è 90% narrativo e 10% ludico, penso. Comunque, è interessante notare che la player experience migliora di capitolo in capitolo. In particolare con l’avvento del full 3d diventa molto più facile non solo esplorare, ma capire a livello tridimensionale come funzionano le varie tecnologie. Ho trovato più complicati i device puzzles nei primi due Syberia più che negli ultimi, proprio perché con la tridimensionalità e il poter “rigirarsi in mano” i vari marchingegni, a un certo punto mi sono sembrati logici. Non posso dire lo stesso di alcuni momenti dei primi due capitoli, dove mi sono ritrovato ad andare di forza bruta, utilizzando tutto con tutto e prima o poi qualcosa succederà.
Ho trovato più complicati i device puzzles nei primi due Syberia più che negli ultimi
Non è strano trovarsi ad apprezzare molto i primi due e restare indifferenti agli ultimi, anzi, per quanto leggo online è la posizione più comune.
Secondo me i problemi vengono tutti a cascata dal fatto che parte dell’atmosfera rimane surreale con i momenti “Voralberg tech” e i vari animali fantastici. Però stavolta si affrontano situazioni molto reali e circoscritte. Più personali e vicine. Con il tono fiabesco che stride con gli altrimenti chiarissimi riferimenti storici. Ma anche questo contribuisce alla magia di una storia iconica, la cui penna si è ormai posata. Grazie, Ben.