Il titolo di questo articolo è molto meno generico di quel che sembra, ed è anzi vero che la ricerca di un proprio linguaggio rende la VR di HTC Vive, e in misura diversa il pacchetto Oculus+Oculus Touch, una sorta di primordiale e allo stesso tempo evolutissima sala giochi arcade (e c’è pure un gioco in sviluppo a tema, New Retro Arcade Neon, raffigurato nell’immagine sottostante). Resta estremamente difficoltoso, direi impossibile, comunicare per iscritto le sensazioni della realtà virtuale, se non dicendo che i giochi degli attuali visori ricordano la materia soffusa dei sogni, un po’ per i “limiti” attuali di risoluzione (siamo già a 1.080*1.200 per ogni occhio, ma tutto cambia, nonostante le lenti, in relazione alla breve distanza di visualizzazione), e un po’ per la pazzesca sensazione di presenza che anche i primi caschetti riescono a restituire. In tutti i casi, la sperimentazione di nuove soluzioni diventa un obbligo, a maggior ragione se il sistema di rilevamento e la disponibilità di controller cinetici ci trasportano in uno spazio realmente esplorabile con il nostro corpo, come limite da superare nello sviluppo di un videogioco VR e, al contempo, come incredibile possibilità sul piano dell’immersione.
La ricerca di un proprio linguaggio rende la VR di HTC Vive una sorta di primordiale e allo stesso tempo evolutissima “penny arcade”
Non è raro tornare a confrontarsi con projectile weapon, distruzione di mattoncini, shooter su binari ed esplorazioni più complesse che stanno ricercando la loro strada tentativo dopo tentativo, come poteva essere agli albori del videoludo. Tuttavia, nel cammino non vanno perse di vista le qualità grafiche e narrative che alcuni prodotti riescono a offrire, osando un pochino di più, insieme a un cuore simulativo che già adesso sta facendo scintille, tanto su Oculus quanto su HTC Vive, passando non da controlli speciali ma dalle periferiche che le simulazioni automobilistiche, aeronautiche e aerospaziali hanno sempre avuto. Ed è meglio dare il via alle danze, prima di incedere in eccessive divagazioni: partiamo dal buio di un’invasione dimensionale, dove muoversi in uno spazio di sei metri quadrati è più che abbastanza, se si vuole evitare l’infarto.
PURA ROOM SCALE: BROOKHAVEN E I SUOI FRATELLI
Per far risaltare uno schema di gioco tutto sommato semplice, la ricerca di una grande atmosfera può essere una strada ostica ma assai feconda: è stato questo, probabilmente, il pensiero dominante di Phosphor Games durante lo sviluppo di The Brookhaven Experiment, shooter da “postazione room scale” (ovvero, non ci si muove dallo spazio definibile in SteamVR, nel mio caso 2,5 metri per 3,5) che si nutre di una vasta gamma di suggestioni lovecraftiane sui varchi da altri piani di realtà. Troviamo, ad esempio, le gigantesche mostruosità nella nebbia di The Mist – citate nello scenario delle opzioni – basi militari che nascondono segreti, rumori angoscianti ed incalzanti musiche elettroniche, in ricostruzioni semplici ma capaci, a loro modo, di coinvolgere la visione anni 80 che sta facendo impazzire il mondo con Stranger Things. Il racconto è elementare ma fa il suo dovere: ovviamente, dell’azione viene inquadrata solo la sequenza shooter, in cui un agente speciale deve difendersi da ondate di aberrazioni – sempre più potenti e meno “antropomorfe” – ed è la voce di una operatrice a informarci su quello che accade prima e dopo quel momento, condendo ulteriormente lo stile cupo della messa in scena.
The Brookhaven Experiment nobilta la sua essenza da semplicissimo shooter con un’atmosfera studiata e incisiva
Sotto il profilo del gameplay non dovete pretendere altro, a parte le diverse armi, ottiche, modifiche, munizioni speciali e granate che possiamo sbloccare nei livelli; aspettatevi, invece, una taratura della difficoltà sempre ben dosata, tanti salutari spaventi nel buio e un linguaggio essenziale che si fonde all’oscura atmosfera, con punteggi di fine livello e un paio di modalità alternative allo storymode. Il gesto armato contro i mostri riesce a restituire un’impressionante sensazione di “ignoranza”, e la grafica si pone su livelli più che discreti nel design delle creature, delle armi e soprattutto negli effetti di luce, intelligentemente studiati per coprire la relativa semplicità della modellazione poligonale.
D’altra parte, The Brookhaven Experiment non è certo l’unico videogame su HTC Vive a sfruttare bene una dimensione puramente room scale: a lato di giochi ludicamente simili ma meno affascinanti per i miei gusti, come Space Pirate Trainer o (molto meglio, comunque) Blasters of the Universe, Hover Junkers è un divertentissimo shooter multiplayer in cui ogni giocatore controlla una sorta di piattaforma semovente, completa di barriere virtuali dietro a cui ripararsi, all’interno di uno scenario da cartoon postapocalittico non lontano da Borderlands. Unseen Diplomacy, invece, è un carismatico physic puzzle spionistico che si svolge in spazi claustrofobici coincidenti con la nostra room scale, in cui dobbiamo cimentarci con sistemi di sicurezza, condutture, taglientissimi laser e speciali visori di indagine ambientale. Il gioco di Triangular Pixels è un po’ la mia ossessione, a dire il vero, perché non riesco a soddisfare la richiesta di spazio (un lato deve essere di 4 metri) e mi sono persino incastrato nel tentativo di giocarci ugualmente, non riuscendo a raggiungere un cacciavite virtuale che, nel mio vero salotto, era collocato dietro una scrivania. La VR di HTC Vive può essere anche questo.
RAW DATA E IL TELETRASPORTO D’AZIONE
Proprio nelle scorse settimane è uscito in Early Access uno degli action più puliti e ben fatti apparsi su HTC Vive, Raw Data, in grado di cogliere una consuetudine di molti titoli in catalogo – il teletrasporto verso una posizione indicata con il touchpad del controller – e di adattarla alle esigenze di un adrenalinico tower defence d’azione in prima persona. Il gioco di Survios insegna buone cose un po’ in tutto, anche al di fuori delle missioni: dalla stanza delle opzioni e del tutorial, fino alla banale selezione di un menù, la rappresentazione di mani e avambracci riesce a non interrompere quasi mai il senso d’immersione, attraverso interazioni fantascientifiche (ma nemmeno troppo, oggigiorno) con schermi, ologrammi e oggetti vari.
Raw Data adatta una consuetudine di molti titoli su HTC Vive – il teletrasporto con il touchpad del controller – alle esigenze di un adrenalinico tower defence
Lo scenario è marcatamente cyberpunk, a metà strada fra le sarabande action di Binary Domain e Hard Reset, e viene contestualizzato in una serie di arene – laboratori di facoltose corporazioni, installazioni industriali a cielo aperto, futuristiche strutture militari – in cui dovremo difendere un “core di dati” dall’assalto di androidi, droni volanti e vari tipi di robot corazzati. Le mappe si fanno più grandi e relativamente complesse man mano che procediamo nelle missioni, e il gioco scorre via divertentissimo tanto in solitaria quanto in co-op, grazie a meccaniche gestuali ben studiate con pistole e katane (a disposizione degli eroi attuali, in attesa degli altri …), a una serie di spettacolari poteri e alla presenza di fattori irrinunciabili per un tower defence, come le torrette da piazzare a suon di monete fra un round e l’altro.
D’altra parte, pur brillando per realizzazione visiva e funzionale, anche Raw Data è un esempio fra molti. Fin dalla pubblicazione di HTC Vive è molto battuto Vanishing Realms, un action fantasy con tanta esplorazione e piccoli elementi di ruolo, dove si combatte contestualmente mimando movimenti di spada, parate con lo scudo, lancio di incantesimi, tiro con l’arco e ci si muove sfruttando un teletrasporto giustificato con la magia. Lo sparatutto A Legend of Luca si fonda grossomodo sugli stessi concetti, ma con un’ottica molto più arcade, mentre adventure sui generis come The Gallery Episode 1: Call of Starseed puntano tutto sull’atmosfera visiva e sull’interazione con lo scenario, avvallando il teletrasporto come caratteristica puramente esplorativa al pari, ad esempio, dei cambi di immagine o stanza nelle vecchie avventure grafiche. Interessante anche la strategia spicciola di Out of Ammo, dove occorre gestire una battaglia con grafica cubettosa a là Minecraft, interpretando alla bisogna i soldati, oppure la recente rivitalizzazione VR di Missile Command contenuta in Inbound, davvero emozionante per chi ci ha passato del tempo al bar e si ritrova, oggi, a camminare in mezzo a una versione 3D dello stesso scenario. Lo stesso sistema a teletrasporto è usato in Left Hand Path, fantasy horror in cui possiamo mimare le magie con i segni nell’aria, oppure nelle follie “da bar” di Pool Nation VR, dove sfidare altri giocatori a biliardo, a freccette e lanciarsi addosso tutto il lanciabile del locale. Ed è sempre strano far bisboccia in realtà virtuale, con il modello del compagno davanti a sé: dopo aver superato lo strano imbarazzo, sembra davvero di essere tornati bambini.
SIMULAZIONE E DUTTILITÀ SU HTC VIVE: DA ELITE A THE SOLUS PROJECT
Ci sono, poi, esperienze del tutto opposte per senso dei controlli e vocazione, determinate da un lato dalle simulazioni di veicoli/velivoli, e dall’altro dai videogame in VR che si sforzano di essere in qualche modo “normali”, adattando il gamepad o i controller di Vive a esigenze di gioco più canoniche. Chiaramente, i titoli simulativi in prima persona sono quelli che si adattano più efficacemente, e anche per questo sono stati tra i più precoci adepti della realtà virtuale: è stato così per Elite Dangerous, che ha fatto un po’ penare nell’adattamento ad HTC Vive (definizione delle immagini un po’ “blurry”, lettura difficoltosa dei testi, tutto grossomodo rientrato) ma è ormai diventato anche in casa Steam l’esperienza VR più incredibile di questa generazione, con i suoi schermi contestuali ai movimenti della testa, i comandi Hotas replicabili nella realtà e un senso di controllo e immersione che, per come la vedo io, non ha eguali nella storia dei videogiochi.
Elite Dangerous è ormai diventato anche in casa SteamVR l’esperienza più incredibile di questa generazione di visori
Discorso simile, in termini di efficacia visiva e funzionale, per Assetto Corsa (non ufficialmente supportato, bisogna fare le modifiche descritte qui) e Project CARS, al di là del fatto che personalmente non impazzisco per i titoli di corse automobilistiche e, per lo stesso motivo, non ho in casa una periferica volante, più che consigliata in realtà virtuale. Com’è noto, tra i due titoli esistono differenze sostanziali nella propensione alla simulazione dura e pura, e tuttavia è il gioco di Slightly Mad a spuntarla per resa estetica e pulizia d’immagine in VR, seppur di misura rispetto all’eccezionale collega. Ovviamente, un Hotas o anche solo un buon joystick tornano a farla da padrone in War Thunder, disponibile in VR fin dai primi esperimenti sui DK di Oculus e, da più di un mese, giocabile anche su HTC Vive. In quest’ultimo caso, però, per i meno pazienti è meglio aspettare: al momento è necessario sapere quali effetti visivi disabilitare nei menù, e non ci sono ancora opzioni (comunque costose, in termini di risorse video) per le percentuali di supersampling, al contrario di Elite Dangerous e altri giochi VR.
Infine, tanto HTC Vive che Oculus Rift hanno potuto contare sul recente supporto di The Vanishing of Ethan Carter e The Solus Project, perfetti per introdurre un ragionamento finale sui controlli. Il punto in comune è che entrambi hanno cercato di essere in VR esattamente come nella versione originale, al di là di tutte le aggiustature del caso su controlli e meccaniche; divergono, invece, nel metodo scelto per riuscire nell’impresa, banalmente con un gamepad e piccoli aggiustamenti nel gioco di The Astronauts e, al contrario, con un coraggioso adattamento delle meccaniche ai controller di Vive in The Souls Project. In tutti i casi è ben riconoscibile uno stile grafico non nativo per la realtà virtuale, con i dettagli delle texture che tendono a impastarsi ed effetti di luce molto meno convincenti, ma il survival sci-fi di Teotl Studios è quello che riesce comunque a farti sentire lì, grazie alla possibilità di “maneggiare” gli strumenti e all’effetto più “soffuso” della grafica di base. In termini di movimento abbiamo a disposizione due soluzioni: la prima è la stessa descritta sopra, il teletrasporto un (bel) po’ irrealistico verso la posizione desiderata, mentre la seconda assomiglia vagamente a quella che vedremo in Fairpoint su Playstation VR, dove il controller di move è associato al pad, con l’ovvia differenza che in questo caso la direzione della camminata viene gestita dal touchpad.
IL SEMPLICE BISOGNO DI CAMMINARE
A dire il vero la sensazione dei movimenti in The Solus Project è strana, come quella di diversi altri titoli in Accesso Anticipato (come il survival horror VR zGAME, o il fantascientifico Astral Domine) che si sforzano, allo stesso modo, di unire un sistema di movimento più tradizionale alle interazioni nello spazio dei controller Vive. In tali casi aumentano le vertigini anche in confronto a un normale pad, semplicemente perché il cervello riceve stimoli sensorialmente corretti per la testa e una mano, mentre al posto delle gambe – controllate dal secondo controller – sembra di avere un qualche apparecchio automatico per deambulare, come una sedia o rotelle o un paio di arti meccanici (il ché, dico io, può far nascere idee per futuri videogiochi, magari nello stile dei mech di Avatar). Mi rendo conto che tali discorsi diventano privi di senso nel gaming tradizionale, ma anche qui risiede uno dei nodi della VR di HTC Vive: a parte l’evoluzione dei sistemi di rilevamento e degli schermi, gli strumenti per portare nella realtà virtuale occhi, udito, movimenti della testa e delle mani erano concettualmente sul piatto da 10 o anche 15 anni, mentre le tecnologie per dare la sensazione di muoversi in uno spazio vasto (mi riferisco ai tappetini a basso attrito di Virtuix Omni e Cyberith Virtualizer) sono ancora imperfette, costose e difficilmente si adatteranno a tutte le situazioni. Anche per questo, in taluni giochi mi posso accontentare di un normale pad – come nell’indimenticata esperienza di Alien Isolation sul DK2 di Oculus – e comunque pretendo dai giochi VR più attesi qualcosa di più realistico del teletrasporto che mi è stato mostrato per l’adattamento di Fallout 4. Preferisco di gran lunga le vertigini.
VorpX, pur richiedendo di un po’ di abnegazione PCista, consente di adattare alla VR alcuni titoloni già sul mercato
Una piccola chiosa finale va riservata a VorpX, non l’unico ma il miglior sistema attualmente disponibile per adattare alla VR alcuni titoloni già sul mercato. Da qualche mese è stato aggiunto il supporto ad HTC Vive, e tuttavia nel suo caso diventa imprescindibile l’uso di un gamepad, e insieme mettere in pratica tutta una serie di attenzioni – o anche di pazienti tentativi – per far funzionare tutti i giochi compatibili. Il funzionamento è abbastanza semplice in termini ludici, con la possibilità di “magnificare” le schermate (ovvero, allontanare temporaneamente la visuale, come un rettangolo sospeso) in modo da poter gestire, ad esempio, le pagine d’inventario, delle skill e i menu in generale. Oltre a questo, a seconda del gioco, VorpX propone una serie di opzioni di modifica d’immagine o 3D stereoscopico per modellare ulteriormente l’esperienza VR, con risultati che non arriveranno mai a quelli dei titoli nativi ma riescono talvolta a stupire per senso di tridimensionalità e immersione. Insomma, se volete provare come si sta nelle regioni di Skyrim (magari con la mod per la soggettiva realistica) o nella Los Santos di GTA V, il sistema esiste ed è pure impressionante. Il resto, al solito, lo dovete chiedere alla vostra personale scimmia, ammesso che ne abbiate una per la VR.
Condivido a pieno le idee espresse nell'articolo. Effettivamente solo provandola si comprende quanto può esser coinvolgente un titolo in VR ben realizzato, tanto da portar in secondo piano la non altissima risoluzione grafica della "VR 1.0".
Approfitterò di questo fine settimana di sconti (Steam ha appena annunciato lo "Steam VR Weekend Sale") per accaparrami alcuni dei titoli segnalati nell'articolo :D
Grazie :)