Tales of Berseria - Recensione

PC PS4

Un paio di settimane fa vi ho raccontato di come ho conosciuto Velvet, Magilou e la sgangherata compagnia di Tales of Berseria, nuovo JRPG della serie di Bandai Namco, e delle speranze riguardo il mio viaggio alla ricerca di vendetta nel variegato mondo di Midgand. Quasi quaranta ore dopo, sono chiamato a fare i conti con un discreto senso di mancanza nei confronti di personaggi che mi hanno conquistato e di una storia che, al netto della tendenza agli spiegoni, mi ha convinto, ma non posso, tutto sommato, scrollarmi di dosso un certo rammarico per quello avrebbe potuto essere. Sì, perché con un minimo di equilibrio e di coraggio in più Tales of Berseria sarebbe stato uno dei JRPG più interessanti degli ultimi tempi (anche se è pur vero che siamo davanti al miglior titolo della saga da anni a questa parte).

TRA RAGIONE E SENTIMENTO

La particolarità di Tales of Berseria è l’essere un episodio estremamente alternativo di una serie tradizionale, sia per i presupposti narrativi, che – se vogliamo – per la capacità di portare avanti diversi discorsi in maniera parallela. Parliamo di un gioco estremamente eclettico, che mette in campo una quantità enorme di elementi, cercando di bilanciare lungo tutto l’arco narrativo la matrice oscura e fondamentalmente drammatica della storia con la solita ironia e leggerezza che contraddistinguono la saga.

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Berseria cerca di bilanciare lungo tutto l’arco narrativo la matrice drammatica della storia con la solita ironia e leggerezza che contraddistinguono la saga

Contemporaneamente, anche a livello di gameplay vengono proposte varie attività distensive, quasi a giustificare il fatto che il party ci venga presentato come un gruppo di umani, semi-demoni, demoni e malak – creature guida che, di solito, vengono private della volontà e si trovano al servizio degli umani – alla ricerca di vendetta o, semplicemente, di gloria personale. Una combriccola di cattivi, o meglio di personaggi con interessi ambigui e fortissimi, pieni di risentimento nei confronti di qualcuno o qualcosa, oppure alla ricerca del proprio posto nel mondo. I nostri si ritrovano insieme, perché – alla fine – è più utile, ma di fatto, come Velvet sottolinea più volte nel corso dell’avventura, ciascuno combatte per se stesso. Se sia davvero così, lo lascio scoprire a voi, ma il canovaccio narrativo è quello di una classica storia di vendetta, ribaltata e vista dagli occhi di chi, nel mondo, viene ripudiato perché mosso dall’istinto invece che dalla salvifica ragione.

A noi, dunque, è affidato il comando di un manipolo di anti-eroi che seguono un codice etico sensato, ma non esattamente tollerabile, soprattutto nel momento in cui decidono di opporsi all’Abbazia, una teocrazia retta dagli esorcisti e basata sul credo dell’Empireo, una gilda di guerrieri religiosi che hanno avuto il merito di salvare il mondo dalla demonite, un terribile morbo in grado di trasformare i comuni mortali in tremendi demoni. Qual è stato il prezzo da pagare? Velvet, suo malgrado, lo sa bene, dovendo convivere con i segni fisici (un braccio demoniaco) e psicologici (incubi per la perdita di una persona cara) di un sacrificio forse troppo grande anche per il bene del mondo, e benché allieva del più grande esorcista (nonché salvatore) di Midgand, è pronta a sfidare l’ordine costituito per saldare il conto. D’altronde, una teocrazia fissata con il controllo sociale e l’alta gerarchia militare, per quanto garante della pace, un po’ losca lo sembra, e dunque al chiaroscuro che caratterizza i “cattivi” si aggiunge il torbido candore degli interessi dell’Abbazia, regalando una vicenda che si muove non solo tra ragione e sentimento, ma anche e soprattutto tra le sfumature dei concetti di bene e male. Un passo in avanti notevole per la serie, almeno in termini di tematiche, e un ribaltamento efficace dei buoni sentimenti esaltati ai quattro venti in Tales of Zestiria, pur senza allontanarsi dalle tematiche meta-spirituali di radice cristiana del precedente titolo della serie, che d’altronde è ambientato nello stesso mondo, benché Berseria racconti una storia avvenuta centinaia di anni prima.

Un cambio di prospettiva e di mood così pesante, tuttavia, rischiava di modificare radicalmente l’identità della saga, per cui in Bandai Namco hanno ben pensato di bilanciare l’oscurità in due modi: per quanto riguarda il racconto, al di là di alcune evoluzioni della trama, introducendo personaggi in grado di alleggerire i toni in maniera da rendere più facile l’inserimento di skit ironiche – sequenze animate dove i protagonisti interagiscono approfondendo le backstory – e questline più gioviali, mentre in termini di struttura inserendo una sovrabbondanza di minigiochi e attività secondarie che esulano dalla summenzionata ricerca di vendetta. Il risultato, a mio avviso, è un po’ stridente: se da un lato, infatti, la vicenda è per lunghi tratti una corsa mossa dall’istinto e dall’urgenza, dall’altro la ricerca dei componenti per le ricette e i minigiochi legati al servire ai tavoli o in cui si combatte in arena risultano degli extra un po’ forzati, mentre più contestualizzate si rivelano la caccia ai demoni “codice rosso” (ovvero dei mostri elite particolarmente pericolosi) o l’esplorazione dei mari grazie alla flotta dei pirati, con cui scendiamo a patti dopo qualche ora di gioco. Il mio rammarico più grande è che la quantità di elementi proposti non aggiunge granché dal punto di vista ludico, anzi costringe Tales of Berseria a concedersi dei tempi pachidermici, soprattutto all’inizio, con la necessita, a metà gioco, di presentare ancora tutorial per alcune funzioni.

TROPPE ANIME, POCO SANGUE

Il paradosso di Tales of Berseria nasce dal contrasto tra una narrazione che procede spedita, a ottimi ritmi direi (con un incedere che richiede al giocatore di immergersi con estrema passione e trasporto, riuscendoci anche con discreto successo), e un gameplay che a tratti arranca, perché c’è sempre qualcosa di nuovo da capire ed inserire, il che spezza un po’ la magia.

Tales of Berseria immagine PC PS4 28Per carità, dal punto di vista della varietà non ci si può lamentare affatto, ma la sensazione che ci sia troppa carne a cuocere resta, e sono abbastanza convinto che sia stato fatto per allargare il potenziale bacino d’utenza.

il Linear Motion Battle System si conferma splendido, e il sistema delle Arti si sposa benissimo con il meccanismo delle anime

Lo stesso conflitto interno lo si vive per quanto concerne il combattimento: il Linear Motion Battle System si conferma uno splendido modo di interpretare le battaglie in tempo reale, e il sistema delle Arti (tecniche speciali marziali, occulte e mistiche) si sposa benissimo con il meccanismo delle anime che regolano la quantità di energia magica a disposizione, ma anche il numero possibile di attacchi effettuabili durante una combo. In questo modo, gli scontri sono sempre strategicamente multidimensionali: da un lato, infatti, occorre studiare le debolezze del nemico per adattare le proprie tecniche di combattimento alle esigenze della battaglia, mentre dall’altro c’è bisogno di colpo d’occhio e destrezza per accumulare le anime con parate al momento giusto e attacchi mirati per infliggere stordimento e status alterati (che permettono di rubare anime all’avversario). La forza del LMBS è tale che regge anche al caos dato da più di quattro personaggi da gestire, visto che è possibile alternare al volo i componenti del gruppo producendosi, tra l’altro, in combo spettacolari. L’idea, poi, di diversificare moltissimo le tecniche in base alla natura di ogni personaggio è la chicca finale e regala estrema profondità all’intero sistema.

Tutto bellissimo, a patto però di alzare la difficoltà di una o due tacche, perché altrimenti si rivela abbastanza inutile investire tempo nella personalizzazione dei personaggi e nello sviluppo delle tecniche. Per dire, con il livello di difficoltà base ho provato a giocare un paio di sequenze andando da boss a boss, evitando accuratamente gli altri combattimenti sulla mappa (i mostri sono tutti visibili e rispondono a dinamiche di aggro in base all’aggressività), e non ho avuto nessuna difficoltà. A dire il vero, fino a metà avventura il senso di sfida è comunque bassino, e si rischia di andare in difficoltà solo contro i mostri elite. La sensazione, anche qui, è che nel gioco degli equilibri il piatto della bilancia penda un po’ troppo verso l’accessibilità, con il sacrificio parziale di alcune potenzialità di un titolo che avrebbe potuto ambire a ben altre forme di complessità. D’altronde, è chiaro che Tales of Berseria punti tantissimo sul suo impatto narrativo, da cui ne esce benissimo.

PECCATO PER LE SCENOGRAFIE

Dal punto di vista del racconto, infatti, la storia scritta da Naoki Yamamoto, orchestrata da Yoshimasa Tanaka e raccontata musicalmente dal ritorno di Motoi Sakuraba, tocca vette mai raggiunte dalla saga di Tales, e il merito va a personaggi con cui è facile empatizzare, vuoi per la natura diversa, vuoi per l’ottima caratterizzazione.

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La grande varietà di paesaggi e strutture è più suggerita dalle cromie e dal colpo d’occhio che rappresentata dai dettagli

La dinamica del viaggio e i ritmi forsennati della narrazione, quando non ci sono rallentamenti strutturali, donano ampio respiro alla storia, che si sposta da un lato all’altro del mondo con agilità, e racconta di una Midgand abbastanza viva e dalle location varie e interessanti. A gravare sull’impatto estetico, purtroppo, c’è un comparto tecnico vecchio e inadeguato, che risente pesantemente della natura cross-gen di un titolo che in Giappone è disponibile anche per PS3 e che, di fatto, è pensato intorno a quell’hardware. Di conseguenza, la grande varietà di paesaggi e strutture è più suggerita dalle cromie e dal colpo d’occhio che rappresentata dai dettagli, e le ambientazioni finiscono per essere spoglie e squadrate, nonostante la regia sia studiata in maniera tale da stringere quasi sempre sui personaggi, per favorire da un lato il racconto emotivo e, dall’altro, nascondere il più possibile le magagne estetiche o il riciclo di componenti.

In questo senso, l’idea di ridurre al minimo l’esplorazione è abbastanza ruffiana, ma funzionale: le aree di gioco di collegamento, infatti, sono tutte istanziate, e non offrono moltissimo se non combattimenti, collezionabili e saltuarie interazioni. Per questo motivo Tales of Berseria fa molto meglio all’interno dei dungeon, o nei centri abitati, dove vengono rappresentati gli accadimenti principali. In un paio di circostanze, ci sono quest che richiedono di andare avanti e indietro sulla mappa del mondo, e in quei casi la pochezza del contesto un po’ si fa sentire, ma per fortuna i modi per evitare il backtracking e velocizzare i viaggi diventano ben presto abbondanti e si “sopravvive” felicemente. Certo, in termini estetici restano alcuni stacchi netti, ma pare che Berseria sia l’ultimo titolo ad essere pensato per la vecchia generazione. Nel futuro, si spera, non dovremo più sostenere gli stacchi netti con le splendide sequenze animate o con le skit disegnate, ma c’è comunque da dire che la direzione artistica ispirata e il riuscito character design salvano elegantemente la baracca.

Discorso a parte per ciò che concerne la colonna sonora: io sono un classicista e amo parecchio il lavoro di Sakuraba, ma forse le nuove generazioni sentiranno la mancanza di Go Shiina, autore delle musiche di Zestiria. L’accompagnamento di Berseria funziona egregiamente, a mio avviso, e riesce a fondere temi epici di stampo mitsudiano con schitarrate rock-metal gustose, per poi sottolineare momenti più intimi con ottime melodie più raccolte. Degno di nota anche il doppiaggio, sia in versione originale che in lingua inglese, capace di tenere botta senza troppi patemi d’animo. Insomma, nonostante il comparto tecnico zoppicante, la messa in scena di Tales of Berseria è in ogni caso promossa, e forse rappresenta nella maniera migliore possibile l’identità di un prodotto fedelmente arroccato nella sua tradizione, che continua una sua lenta evoluzione, ma che non rinuncia a stilemi di genere e a un suo barocchismo di fondo che, per quanto simpatico e familiare, ne soffoca un po’ gli slanci più moderni e interessanti.

Tales of Berseria offre, probabilmente, il miglior pacchetto possibile delle recenti incarnazioni della serie Tales. Con una narrazione sugli scudi, una scrittura ambiziosa e un sistema di gioco funzionale e molto profondo, il nuovo titolo di Bandai Namco è un piacere da giocare e non deluderà minimamente i fan della saga. Nel tentativo di piacere un po’ a tutti, però, fallisce nel portare la serie verso orizzonti ludici più interessanti. Una generale mancanza di coraggio, qualche errore nel bilanciamento del sistema e un comparto tecnico figlio della vecchia generazione sono fardelli che appesantiscono troppo l’opera e le tarpano un po’ le ali. Tutti peccati, comunque, che non inficiano il divertimento e la godibilità di un’esperienza nel complesso solida e valida, ma tutt’altro che impeccabile.

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Pro

  • Narrativamente ottimo.
  • Personaggi indovinati.
  • Sistema di combattimento intrigante.
  • Adatto sia ai fan, che ai newbie…

Contro

  • … ma fin troppo accessibile.
  • Poco coraggioso.
  • Troppi elementi “fuffa”.
  • Tecnicamente vetusto.
7.8

Buono

Se serve un tuttofare il buon Mancini è l’uomo da chiamare. La nostra principessa fotografa, usa la videocamera come se fosse un’estensione naturale del corpo e monta video manco fosse in una catena di montaggio. Ah… e scrive anche. Insomma… il classico “bravo guaglione”.

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